Gigi Meroni – 2
Il volo spezzato della Farfalla granata
Nell’aprile 1965, Gigi fu convocato in Nazionale maggiore per una partita di qualificazione mondiale contro la Polonia. L’abito eccentrico, i capelli lunghi e la barba esibiti all’arrivo a Varsavia provocarono un mare di polemiche. Il ragazzo rispose per le rime difendendo le sue scelte e la libertà di pensiero, ma naturalmente finì per non giocare quella partita.
Il campionato 1965-66 del Torino non risultò particolarmente esaltante, e le prestazioni sia della squadra che della geniale ala destra mancarono di continuità. In ogni caso Meroni trovò il modo di mostrare il suo repertorio, imponendosi all’attenzione di tifosi e sportivi. Fu di nuovo convocato da Edmondo Fabbri, anche se – a dare retta ai maligni – piuttosto contro volontà e a furor di popolo. Un gol contro la Bulgaria e uno contro l’Argentina obbligarono il CT azzurro a inserirlo nella rosa per i Mondiali del 1966.
In Inghilterra Meroni non giocò contro la Corea e la sua partecipazione si limitò al match contro l’URSS. Fu una scelta assurda, come lo stesso Gigi rilevò in seguito: i colossi sovietici erano meno adatti alle caratteristiche tecniche della Farfalla dei piccoli coreani. Al ritorno in patria gli azzurri furono accolti in maniera tutt’altro che trionfale e l’attaccante, nonostante le responsabilità molto relative, finì al centro degli attacchi di quotidiani e critici.
Il campionato che seguì (1966-67) fu invece il migliore della sua carriera. Con la guida di Nereo Rocco, Meroni iniziò a capitalizzare le sue doti, aumentando a nove il numero di gol nel torneo. Lo convinsero persino a tirare i rigori, cosa che Gigi aveva sino allora rifiutato, perché li considerava «troppo facili». Insomma, la maturazione definitiva era avviata e il Paròn profetizzò che a venticinque anni Meroni sarebbe diventato un calciatore completo.
Un giocatore decisivo
Il suo capolavoro calcistico Gigi lo realizzò il 12 marzo 1967 in Inter-Torino. Era da poco passato il primo quarto d’ora di gioco quando la Farfalla manovrò un pallone al limite dell’area, marcato stretto da Giacinto Facchetti. L’ala operò un tocco di esterno verso il centro e recuperò la sfera. Mentre il nerazzurro stava rinvenendo, Meroni fece un pallonetto di esterno destro. La palla si innalzò a superare le mani del mitico Giuliano Sarti e a tutti parve diretta fuori: la sfera ricadde invece di colpo, insaccandosi nel sette. Nell’entusiasmo incredulo dei presenti, il meno emozionato sembrò proprio Gigi che esultò con molta moderazione. Il Torino vinse per 2-1 e i meneghini si videro interrotta un’imbattibilità casalinga che durava da tre anni. Anche se nessuno lo immaginava, era l’inizio della fine della Grande Inter, ma questa è un’altra storia.
Durante l’estate 1967 Meroni fu al centro di un vero e proprio caso. La Juventus, fresca vincitrice del campionato, offrì settecentocinquanta milioni di lire per il suo acquisto. Un’enormità. Sembra che Orfeo Pianelli, molto tentato, stesse per acconsentire, ma la reazione della tifoseria granata lo dissuase in tempo. A Gigi queste vicende interessavano poco e, quando necessario, le trattava con garbata ironia. Più seria, per lui, era la sua vita privata che pareva finalmente assestarsi. A settembre, infatti, Cristiana Uderstadt ottenne finalmente l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota. I due abbandonarono così le loro mansarde e andarono a vivere assieme al numero 46 di Corso Re Umberto.
Il 24 settembre 1967 prese il via il nuovo torneo, l’ultimo per Meroni. Nereo Rocco, che di Gigi era stato estimatore e maestro, era tornato al Milan, sostituito proprio da Edmondo Fabbri. Il rapporto tra Meroni e Mondino non era mai stato facile. Motivi tecnici, certo, ma oltre a ciò il mister detestava le stranezze della Farfalla, come guidare una Balilla foderata di giallo e con i fari dipinti in oro, o passeggiare con una gallina al guinzaglio. Per non parlare, naturalmente, della sua relazione con Cristiana. Ciò nonostante, i due si impegnarono per convivere sul piano sportivo e l’inizio del campionato fu discreto. Gigi andò in gol contro il Vicenza e giocò un paio di buone partite, pur fallendo un rigore con la Fiorentina. Si arrivò così al fatale 15 ottobre.
L’ultima domenica della vita di Meroni era stata felice. Il Torino aveva battuto la Sampdoria per 4-2, anche se la prestazione discontinua di Gigi aveva generato qualche polemica. Tilli Romero, ad esempio, racconta che, per difendere il suo idolo, quel pomeriggio aveva litigato con un altro tifoso.
L’incidente
La sera Meroni volle vedere in casa la Domenica Sportiva assieme a Cristiana, al compagno di squadra Fabrizio Poletti e alla di lui fidanzata. Al momento di entrare si accorse però di non avere le chiavi. I due calciatori si recarono allora al vicino bar Zambon per telefonare a Cristiana. Mentre tornavano verso il portone, Poletti ricorda di aver attraversato la prima parte della strada con un gruppo di tifosi che litigavano per i gol falliti da Meroni quel pomeriggio. Sulla mezzeria, la tragedia. Poco importa se Gigi abbia o no fatto il passo all’indietro su cui si concentrò l’inchiesta: l’urto della 124 di Romero lo scagliò contro una Lancia Aprilia che sopravveniva in senso opposto. Il calciatore fu trascinato per cinquanta metri. La notizia arrivò alla Domenica Sportiva durante la diretta, ma Enzo Tortora, il presentatore, si rifiutò categoricamente di darla, come poco dopo rifiutò di annunciare la morte della Farfalla. Il rispetto per una famiglia ancora all’oscuro prevalse su questioni di audience. Altri tempi.
Gigi Meroni morì alle 22.40 all’Ospedale Mauriziano, assistito da Cristiana e da alcuni amici. All’alba, nella sede del Torino, iniziò l’omaggio dei tifosi alla bara in cui, tra fasci di gladioli rossi, era composta la salma del fuoriclasse. Una fila interminabile, centomila, duecentomila persone. Una piccola frazione di quelle che assistettero ai funerali, il martedì.
Persino in quell’occasione non mancarono le polemiche. Ci fu infatti chi criticò con durezza il sacerdote che aveva celebrato il rito religioso per un peccatore. Di contro Gianni Brera, che non apprezzava il Meroni calciatore, scrisse un epitaffio che gli sarebbe di sicuro piaciuto: «Tu eri giovane e puro abbastanza per non dimenticarti mai di essere vero pure nelle stranezze…».
La domenica successiva il Torino vinse per 4-0 il derby con la Juventus e tre gol li realizzò Nestor Combin, amicissimo di Gigi, sceso in campo nonostante la febbre per onorarne la memoria. Il quarto, lo segnò Alberto Carelli con un tiro di destro, ma per i più romantici a spingere la palla in rete fu la maglia numero sette che indossava la ventitreenne riserva.
Oggi, sul luogo dove Meroni fu investito, c’è un monumento dove non mancano mai i fiori. A Superga poi, sulla lapide che celebra i morti del Grande Torino, appare anche il nome di Pierluigi Meroni.
Non si tratta della Farfalla Granata, naturalmente, ma di uno dei piloti dello sfortunato aereo. A pensarci bene, è difficile non leggervi un malinconico, inquietante presagio.
Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata
Quella sera a Torino…
Il torinese Diego Ceresa è considerato il miglior letterista del fumetto italiano, disneyano e non. Da sempre grande amico di Storie di Sport, è uno storico tifoso granata. Da lui riceviamo e con piacere pubblichiamo un breve ricordo personale di quella tragica domenica:
“All’epoca avevo solo dieci anni, ma quel pomeriggio ero stato allo stadio. Avevo visto la partita ed ero tutto contento per la bella vittoria contro la Sampdoria.
La sera, a casa, mio fratello (che allora aveva sedici anni) ricevette una telefonata da un suo compagno di scuola, che gli comunicò la terribile notizia. Per noi due fu una vera tragedia: mio fratello (e io di riflesso) adorava Meroni. Copiava persino gli abiti estrosi che Gigi si faceva fare su misura. Ricordo ancora adesso le lacrime di quella sera.
Poi gli anni sono passati, tanti davvero e, per ironia del destino, ora abitiamo vicini al luogo di quella tragedia. Vicini al luogo in cui si trova la stele che ricorda Gigi.
Il giorno in cui fu scoperta, nel 2007, io e mio fratello andammo ad assistere alla cerimonia perché, anche dopo 40 anni, quel ricordo non si era cancellato.”
Diego Ceresa
© Riproduzione Riservata
Riceviamo dal noto letterista torinese Diego Ceresa un breve ricordo personale di quella domenica, che volentieri pubblichiamo. (La Redazione)