Martina Caironi
Il sapore di una medaglia
È giovane, ha una risata contagiosa, scrive con emoticon, è diligente, ha battuto il record del mondo nei cento metri alle Paralimpiadi di Londra, è salita sul gradino più alto del podio e ha provato a sbucciare la sua medaglia d’oro. Ma dentro, come ha confidato lei stessa, non ha trovato cioccolata.
Martina Caironi, solare ragazza della classe 1989, cinque anni fa è rimasta coinvolta in un incidente stradale che le ha causato l’amputazione della gamba sinistra all’altezza del femore.
«Dopo un incidente del genere le prime cose che pensi sono quelle che non puoi più fare», racconta Martina, che porta quella notte suggellata nel profondo dell’animo. «Una volta uscita dall’ospedale inizi a confrontarti con la realtà e sperimenti i tuoi nuovi limiti. Prima di poter pensare a correre ho pensato di ricominciare a camminare, una cosa per volta. E, appena imparato a camminare, non mi è più bastato».
Partendo dalla sala operatoria, la giovane di Alzano Lombardo ha a poco a poco infranto barriere che sembravano insuperabili: «Mi arrabbiavo ogni volta che perdevo il pullman per cinque metri, così ho cominciato a pensare che una corsettina non mi avrebbe più fatto perdere il bus. E ho voluto provare a correre».
Martina ha sempre amato gli sport, ma è a Budrio, in provincia di Bologna, che nasce la voglia di provare la pista d’atletica.
«Quando ero nel centro specializzato di Budrio per la mia prima protesi da cammino ho visto i cartelloni degli atleti amputati e il mio cervello ha iniziato a elaborare anche questa possibilità di riprendere a correre. Dopo poco tempo mi sono informata e poi c’è stata una reazione a catena dopo l’altra: mi hanno presentato tecnici come Alessandro Kuris che a loro volta mi hanno fatto conoscere altri, fino ad arrivare al mio allenatore attuale, Mario Poletti. Lui mi ha coinvolta e motivata, trattandomi fin da subito come un’atleta e non come una disabile. Questo mi ha aiutata davvero a sentirmi abile come prima. Quindi pian piano, con le dovute strumentazioni – una protesi da corsa sponsorizzata dal CIP – ho iniziato a correre e ad allenarmi sempre più. E ha iniziato anche a piacermi».
Studio e allenamento, tecnica scientifica, materiali all’avanguardia e tanto sudore. La corsa per le Paralimpiadi di Martina prosegue tra lacrime e sorrisi.
«La “scelta” della protesi da cammino è caduta sull’Austria, per conoscenze mie e per l’avanguardia dei materiali lì utilizzati. Il soprannome che anni fa le diedero le mie amiche è Berta, per sdrammatizzare un po’ tutto quanto e riderci anche su. La protesi per correre mi è stata fatta a Budrio e la soprannomino Cheeta, che è una specie di ghepardo africano, come fa Pistorius per le sue, ma dovrò cambiarle nome prima che mi chieda i copyright».
Trovata la protesi, occorre lavorare sulla spinta della protesi e allenarsi, allenarsi, allenarsi. L’esempio di Oscar Pistorius ti ha aiutata nel cammino verso le Paralimpiadi?
Il suo libro Balde Runner mi ha aiutata a correre, ma mi aiutano anche i libri universitari: studio Mediazione Culturale e i testi d’esame mi tengono incollata alla sedia fino al momento in cui, esausta, mi alzo ancor più motivata per andare a correre e staccare un po’.
C’è una canzone che ti canti prima delle gare?
La canzone che canto prima delle gare è quella che mi è rimasta “impigliata” nella testa dalla sera o dalle ore prima. In genere me la canticchio mentre mi preparo, ma non è mai la stessa.
La tua corsa è stata un miglioramento continuo. Da promessa dell’atletica, hai siglato e infranto più volte dal 2008 a oggi il record italiano, nel 2011 hai vinto il titolo mondiale, successivamente hai battuto il record del mondo sui cento metri piani, oro a Londra 2012, abbassando ancora il tuo primato. La federazione ha puntato molto su di te in quanto prima donna amputata monolaterale a scendere sotto i 16’’ nella gara di Londra. Cosa hai provato?
A Londra ero cosciente di poter migliorare il mio tempo. Sapevo che in gara l’adrenalina mi avrebbe dato quella spinta in più. L’importante era non fare la falsa partenza. Quando ho tagliato il traguardo non ho nemmeno guardato il tabellone, ero prima, il resto veniva dopo. È stata la Caporale a dirmi in diretta tv che avevo migliorato il mio record del mondo e io ho pensato “beh… tanto meglio!”. Ero felice davvero!
Cosa hai portato in valigia a Londra?
Oltre al materiale di Armani che bisognava portare perché era quello di rappresentanza, ho portato anche qualche cosina mia, tipo i miei strumenti di giocoleria (palline, kiwido, cerchi, flowerstick) che però non ho avuto gran modo di usare. Tra un allenamento e l’altro ero stanca e prima delle gare dovevo concentrarmi e riposarmi. Dopo le gare mi hanno assalito i giornalisti da ogni lato e non ho avuto molto tempo. Metaforicamente invece ho portato tutta la grinta della Marty!
Quale avversaria temevi di più?
La più temuta era l’australiana, non solo perché è forte e con una Paralimpiade in più di esperienza, ma soprattutto perché non avevo mai gareggiato contro di lei ed è quella che mi sta più alle costole nei 100 m e che mi supera nel salto in lungo. Ma è andata bene, mi è piaciuta anche come avversaria, sportiva e professionale.
Nel lungo sei bronzo mondiale.
E a Londra sono arrivata tredicesima, perché non ho fatto una gara brillante, e perché erano accorpate due categorie.
Hai trascorso l’anno che precede le Paralimpiadi in Spagna con il programma Erasmus. Come ti hanno accolta?
Bene, spaesata all’inizio, ma felice di intraprendere questa nuova avventura in una città nuova, con nuove persone da conoscere, un’altra lingua da imparare, con cui esprimere ogni mio pensiero (e all’inizio non è facile parlare solo di cose superficiali quando si vorrebbe dire di più, ma non si ha il lessico adeguato) , un ateneo organizzato diversamente mi ha fatto capire i pro e i contro del mio, messi a confronto avevano delle diversità, ma ovviamente anche delle cose in comune. Dopo i primi mesi sono entrata nel vivo della vita e davvero ho avuto tanto da quest’anno, dalle amicizie, alle nuove città visitate, dalle cose studiate, alle feste.. e insomma solo chi è stato un ‘erasmus student ‘può capire quanto significa avere un’opportunità come questa. Sono stata accolta proprio come una di loro, mi hanno offerto le strutture e l’allenatore, senza chiedermi nulla in cambio. Ho avuto due coinquiline spagnole che mi hanno introdotto nella loro realtà con tanto di festa a sorpresa per il mio compleanno.
Come facevi ad allenarti?
Lì mi sono informata fin da subito con l’università che mi ha messo in contatto con un allenatore e poi ho avuto la fortuna di avere proprio lì vicino all’ateneo un centro de alto entrenamiento, cioè di allenamento intensivo, a cui accorrono atleti da varie parti della Spagna per allenarsi. Ho potuto allenarmi lì tutto l’anno, anche con la neve perché c’era un pistino al chiuso, con inclusa la palestrina e lo spazio per il salto in lungo e il salto con l’asta (a Milano non so nemmeno se l’abbiano..) e l’università dava pure due ingressi settimanali in piscina gratuiti agli studenti dell’università, quindi ero ben organizzata.
Hai ricevuto aiuti speciali dall’Università?
No, ma ho sviluppato capacità speciali, come portare la spesa per le salite di quella città che è tutta un “su-e-giù”, anche quello era allenamento. Comunque l’università non mi ha potuto riconoscere un aiuto ulteriore per la mia condizione di disabile (ad esempio c’era una borsa di studio superiore per gli studenti disabili) perché per un errore di valutazione dell’INPS mi è stata abbassata l’invalidità (eppure la gamba, giuro, non è ricresciuta!) quindi ho un ricorso in corso.
Hai letto che, malgrado il fatto che l’Erasmus abbatta non solo le barriere nazionali, ma anche i pregiudizi, probabilmente il programma andrà a morire perché l’Unione Europea non ha più fondi?
Penso che sia uno di quei tagli che non dovrebbero mai esser fatti, perché l’Erasmus è un’esperienza di vita, oltre che didattica, permette agli studenti di uscire di casa e farsi un po’ la corteccia, conoscere nuove culture; permette anche di inserirsi in un contesto diverso che può aprire nuove prospettive per il futuro dello studente; permette di sperimentare la propria autonomia e far fronte alle vicissitudini di tutti i giorni potendo contare solo su sé stessi. In poche parole l’Erasmus fa crescere, fa cambiare punti di vista a molte persone, mischia i ragazzi di varie nazioni e rende l’Europa più dinamica e collaborativa. Se tolgono davvero anche quello mi sa che le prossime generazioni dovranno trovarsi un altro modo per uscire dal proprio guscio.
La tua prossima sfida quale sarà?
Ce ne saranno molte tra cui riprendere gli allenamenti (e non vedo l’ora); poi a luglio gli attesi mondiali a Lione.
Dicci, di cosa sa una medaglia d’oro?
Ho provato a sbucciarla, ma non c’è dentro il cioccolato, eheh. Comunque sa di felicità: sa di una goccia di sudore, la prima di quando ho corso di nuovo dopo anni; sa di una lacrima, quella che mi è scesa quando la mia gamba non c’era più; sa di un abbraccio, quello della mia famiglia e dei miei amici che mi hanno permesso di continuare ad essere me stessa in ogni momento; sa del sorriso del coach che lo sapeva già; sa di vittoria gratificante.
Ed è bella a vedersi, come il sorriso e la corsa di Martina Caironi.
Melania Sebastiani
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Sono contenta che avete parlato di Martina. Spero che in futuro pubblicherete ancora articoli su atleti paralimpici. Complimenti al sito
Adoro il vostro sito, ma a mio avviso le vostre interviste sono veramente stucchevoli e stancanti. Mai una domanda incisiva, mai una risposta interessante (e non certo per colpa degli atleti), mai qualcosa che possa stuzzicare la curiosita’ di noi lettori. Solo tonnellate di zucchero e buoni sentimenti: “ma come sei stato/a bravo/a”, “quali sono i tuoi sogni nel cassetto?”, cosa ti sei portato/a nella valigia?”. E basta, per favore! Non se ne puo’ piu’ di questa roba! In questo articolo, poi, si raggiunge il massimo. Martina Caironi e’ un’atleta formidabile, INDIPENDENTEMENTE dal fatto di avere una protesi, e NON perche’ ha una protesi. Martina Caironi e’ un’atleta a tutti gli effetti, perche’ lo e’ nella testa e non perche’ha vinto il trauma dell’incidente e bla bla bla bla. Per favore, cominciate a fare un po’ come fanno i giornalisti europei che, protesi o non protesi, considerano questi uomini e queste donne non come dei disabili ma per quello che sono veramente. Atleti veri e propri.
Ciao Roberta, a volte le parole non escono come vengono recepite. Ho fatto io l’intervista a Martina nel settembre 2012, e penso davvero che sia innanzitutto un’atleta formidabile, oltre che una persona di una determinazione e di un buonumore contagioso. Niente zucchero da parte sua. Niente cioccolata. Ma tenacia, tecnologia, forza fisica e mentale da oro, non a caso. Non è una cosa così scontata. Mi metto però i tuoi preziosi suggerimenti nell’astuccio e starò attenta a non dare l’impressione di derubricare o banalizzare il gusto di una medaglia. E se c’è una domanda che le vuoi porre per soddisfare la tua curiosità, puoi lasciarcela nei commenti. Incontreremo ancora Martina.
Melania
BRAVA MARTINA…. CONTINUA COSI’ CHE I TUOI RISULTATI LI OTTERRAI TUTTI!!!
Ti auguro buona fortuna per le prossime paralimpiadi di Rio, tieni alta la bandiera italiana durante la cerimonia di apertura, credi sempre in te stessa, va avanti per la tua strada, senza rimpiangere nulla, perchè ora tu sei una ragazza “nuova” con una grinta e con quella simpatia che ti rende solare.
CORAGGIO, BELLISSIMA MARTINA, IO FARO’ IL TIFO PER TE…. VINCI UNA BELLISSIMA MEDAGLIA D’ORO!!!
meravigliosa!