Abraham Tokazier
La medaglia mutilata
Cancellato dalla storia con un tratto di penna, al collo la medaglia recisa dal vento antisemita. Finlandia, 1938. Un omaggio all’alleato tedesco, prima ancora che la follia nazista spalanchi le porte del lager. Abraham Tokazier, sprinter ebreo di Helsinki, non finirà i suoi giorni in un campo di concentramento come i cinquantanove israeliti consegnati dal governo finnico a Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, ma dell’atletica non vorrà più saperne. «Insanabile la ferita dell’ingiustizia subita», rivela oggi il nipote Helliel.
Quell’estate Abraham è determinato a bruciare i cento metri in una gara nazionale di velocità sulle rive del Baltico, nella città in cui è nato e cresciuto. La Helsinki d’inizio secolo, non ancora capitale della Finlandia indipendente dal dominio zarista, è un centro residenziale attraversato da un imponente sviluppo urbanistico, in cui si respira un clima di tolleranza culturale e civile. Abraham sa di essere ebreo solo perché frequenta la sinagoga in stile art nouveau sorta nel 1906, e perché è un atleta del Maccabi club cittadino, polisportiva d’ispirazione sionista.
Per la sua società è stato anche giocatore di football e pesista, ma è soprattutto un corridore, un velocista. Ha vinto una medaglia d’argento nei cento metri di una manifestazione nazionale e ha rappresentato la Finlandia due volte, contro Svezia e Ungheria. È un atleta piuttosto noto quando s’iscrive all’evento che inaugura il nuovo stadio della capitale, l’Olympiastadion, un gioiello funzionalista situato nel distretto di Töölö.
Ci sono voluti quattro anni perché l’idea degli architetti Yrjö Lindegren e Toivo Jäntti trovasse la sua forma, ma il 21 giugno 1938 tutto è pronto. Sarà un assaggio dell’Olimpiade che bussa alle porte, quella che segue i Giochi di Berlino rivelatisi un boomerang per le teorie naziste sulla superiorità della razza ariana.
Abraham, che considera lo sport una zona franca, vuole emulare il suo idolo, un altro atleta finnico affiliato al Maccabi, Elias Katz, campione olimpico nei 3000 metri a squadre con la Finlandia ai Giochi di Parigi: l’obiettivo è partecipare all’Olimpiade di casa, e quella gara sarà la prova che può farcela.
La corsa è un testa a testa fino a quando Abraham, in divisa Maccabi, non taglia per primo il traguardo. Lo vedono tutti, arriva anche l’annuncio ufficiale: è lui il vincitore. Pochi minuti dopo, un secondo annuncio: i giudici assegnano la vittoria ad Aarre Savoilanen; due Toivo, Hakkinen e Avellan, completano il podio. Tokazier è solo quarto. Non ci sono irregolarità nella sua gara. Irregolare è la sua superiorità atletica: è un corridore ebreo.
Sono mesi che in Finlandia è partita una latente campagna antisemita. Per opportunismo politico – incombe la minaccia sovietica – il Paese guarda con simpatia al Terzo Reich, dove l’escalation di discriminazioni e violenze ai danni degli ebrei non risparmia neanche gli sportivi. Lo stesso Katz, che dopo il successo parigino si era trasferito a Berlino, nel 1933 era stato costretto a lasciare la Germania.
Tra le due guerre la comunità ebraica finnica conta duemila membri, troppo pochi per promulgare leggi razziali, come accadrà in autunno a Roma. Hitler non fa pressioni, ma meglio non contrariarlo. Così, i giornali cominciano a chiedersi se sia il caso di ammettere atleti ebrei ai Giochi del 1940, in previsione del probabile afflusso di turisti tedeschi: perfino il Presidente della Federazione Sportiva finnica Urho Kekkonen, futuro presidente politico della Finlandia, ufficialmente antinazista, esprime considerazioni ambigue sugli ebrei nella corrispondenza privata degli anni Trenta.
Insomma, Tokazier non può vincere, tanto meno quei cento metri che non poco imbarazzo avevano suscitato a Berlino dopo il trionfo di Jesse Owens. Nel pubblico c’è una delegazione del Führer e Abraham è un nome troppo ebreo per essere abbinato alla corsa più rappresentativa della manifestazione. Non vale l’oro, dev’essere consegnato all’oblio.
Ma una traccia della verità resta: una foto, nitida, inequivocabile, viene pubblicata il giorno dopo da alcuni giornali indipendenti. Uno di loro titola: “Il vincitore arriva quarto”. Il presidente del Maccabi sporge reclamo perché Tokazier riceva la medaglia negata, ma ottiene solo il silenzio della Federazione.
Settantacinque anni dopo, inaspettatamente, quel reclamo viene accolto. È un libro pubblicato nel 2013 dallo scrittore Kjell Westö a riaccendere i riflettori su una storia che ha umiliato Abraham, ma soprattutto lo sport e la civiltà finlandesi.
Il mea culpa della Federazione è amaro, il risarcimento tardivo, perché la medaglia d’oro che lo scorso 6 ottobre la Finlandia ha riconosciuto a Tokazier, scomparso nel 1976, non potrà mai essere da lui indossata. E forse neanche l’avrebbe voluta, lui che respinse le scuse ufficiose ricevute all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
Non gareggiò più, né ebbe modo di rimpiangere il suo sogno olimpico. Il conflitto impedì a Helsinki di celebrare i suoi Giochi. Cancellati dalla storia, inghiottiti dallo stesso odio che avevano fiancheggiato.
Graziana Urso
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