Amedeo Amadei
L’Ottavo Re di Roma
Dai Castelli romani vedi Roma e capisci, capisci tutto. Una grande bellezza, una donna splendida adagiata sui colli che sembra compiacersi fin troppo di se stessa e delle storie che l’attraversano, ma di cui è quasi impossibile non invaghirsi. Un’eleganza che sa di antico, di inesauribili leggende. Quella di Amedeo Amadei, il “fornaretto” che consegnava in bicicletta il pane ai negozi del suo quartiere prima di diventare l’”Ottavo re di Roma”, è una di queste.
Per la verità, Amadei nasce a Frascati, il 26 luglio 1921. La sua famiglia gestisce un panificio ben avviato in Piazza del Gesù, ma lui ha altro per la testa e così, non ancora quindicenne, si presenta , di nascosto dal volere paterno, ad un provino per giovani calciatori organizzato dalla Roma. Il club giallorosso lo tessera immediatamente.
In famiglia non sono contenti, il padre non ne vuole sapere, si dice che al rientro da quel provino Amedeo dovette addirittura inventare la scusa di una foratura, per giustificare il ritardo, ma è comprensibile, sono anni difficili quelli, anni in cui due braccia in più al lavoro servono maledettamente all’economia famigliare. Per fortuna, però, le sorelle di Amedeo, Adriana ed Antonietta, si fanno commuovere dal bagaglio di sogni del fratello e si rendono disponibili a supplirne le assenze.
L’esordio in serie A avviene poco dopo, il 2 maggio 1937, a quindici anni, nove mesi e sei giorni, ancora oggi il più precoce esordio nei campionati a girone unico. Sette giorni dopo, contro la Lucchese, arriva persino il suo primo gol, ma gli inizi saranno tutt’altro che facili, perché molte saranno le critiche che gli pioveranno addosso. Il ragazzo però è solido e non si lascia smontare, e poi gode della fiducia di tecnico e compagni, ai quali inizialmente, come capita alle matricole del tempo, fa persino da portaborse.
Al campo del Testaccio sono un po’ tutti colpiti da quel ragazzino che arriva agli allenamenti in bicicletta dopo aver finito di preparare il pane: sarà per l’impegno che ci mette, sarà per le doti che lascia intravedere, o forse per quella sua serietà di fondo che fa a pugni con la sua giovane età, che lo contraddistinguerà poi per tutta la vita. Il suo primo stipendio consiste in un impermeabile e 800 lire al mese.
Dopo due anni di apparizioni saltuarie Amedeo va in prestito all’Atalanta: non è una vera e propria bocciatura, piuttosto il tentativo di farlo maturare lontano dalle pressioni del tifo capitolino, e in terra bergamasca al termine del campionato 1938/39, concluso con 4 reti all’attivo e soprattutto 33 partite giocate, diventerà definitivamente un calciatore.
Racconterà anni dopo che solo allora il padre cominciò ad accettare davvero quella sua strana “carriera”. Un giorno il genitore gli regalò una valigetta per le sue trasferte con la squadra. Sensazioni, sguardi, silenzi inspiegabili: Amedeo capì, così, senza chiedere.
L’agognato scudetto
Roma e la Roma intanto lo riabbracceranno a partire dal campionato successivo, per esplicita volontà del tecnico romanista Alfred Shaffer che, credendo in lui, prima lo impose come ala destra e poi lo provò come centravanti al posto del deludente argentino Providente, consegnandolo di fatto alla storia calcistica del nostro paese e del club per il quale Amadei collezionerà qualcosa come 228 presenze e 115 reti, diventando l’emblema di una città e di una squadra.
“Core de Roma” come verrà ribattezzato in seguito, si rivelerà un centravanti di grandissima tecnica, ambidestro, specialista dei calci di punizione, forse non eccelso nel colpo di testa, ma soprattutto in possesso di una velocità impressionante, che risulterà funzionale allo schema difesa e contropiede attuato dal tecnico romanista.
Insieme ad un gruppo di compagni affiatato e che vantava anche altre buone individualità, nel campionato 1941/42, Amadei si rende artefice della conquista del primo storico scudetto romanista, segnando diciotto reti in trenta partite e guadagnandosi da parte di Bruno Roghi, sulle pagine del Calcio Illustrato, quell’appellativo di “Ottavo re di Roma” che in futuro sarà riscomodato solo per definire il divino Paulo Roberto Falcão della Roma anni Ottanta e il romanissimo Francesco Totti.
È una squadra di grinta e corsa quella Roma scudettata, e la foto che ritrae i giocatori, nel giorno del trionfo, con in testa i cappelli da bersaglieri, è la testimonianza più vera dello spirito che l’animava.
L’anno seguente però succede qualcosa di imprevedibile, e quella che dovrebbe essere una stagione di conferma diventa per la squadra capitolina un vero e proprio calvario che culmina con la squalifica a vita di Amadei, reo, secondo la Federazione Italiana Gioco Calcio, di aver inferto un calcio al posteriore di un guardalinee durante la gara di Coppa Italia contro il Torino.
Fortunatamente una provvidenziale amnistia gli restituirà la possibilità di tornare a giocare, e la confessione postuma di un suo compagno anche l’immagine di sportivo corretto qual era sempre stato. Ma un dramma ben più atroce gli brucerà in un istante gli anni migliori: lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Al termine del conflitto Amadei riprenderà a giocare e segnare ancora per la sua Roma e con i soldi guadagnati aiuterà anche la famiglia a ricostruire il panifico andato distrutto sotto i bombardamenti, ma la sua società non naviga in buone acque finanziarie e così all’avvicinarsi della stagione 1948/49 gli chiede il sacrificio di accettare il trasferimento all’Inter in cambio di una cospicua somma di denaro.
Tra azzurro e nerazzurro
Amedeo parte per Milano, ma all’ombra della Madonnina rimarrà solo due stagioni, dal 1948 al 1950, facendo in tempo a segnare 42 reti in settanta partite ed a guadagnarsi l’incondizionato affetto del popolo nerazzurro, al quale tra l’altro regalò con una straordinaria tripletta la gioia di vincere per 6 a 5 il famoso derby del 6 novembre 1949, che aveva visto i cugini rossoneri portarsi inizialmente in vantaggio per 4 a 1.
Con l’approdo al club milanese, il 27 marzo 1949 contro la Spagna, inizia anche la sua trafila con la maglia azzurra, fino ad allora mai frequentata causa la scarsa considerazione che nei suoi confronti aveva il CT Vittorio Pozzo ed il massiccio uso che in Nazionale si faceva del blocco proveniente dal Grande Torino.
Sarà un breve ma intensa esperienza che lo porterà a giocare 13 partite segnando un solo gol, su rigore, nel pareggio contro la temibile Inghilterra, ed a disputare persino il Campionato del Mondo del 1950 in Brasile.
La parentesi azzurra terminerà il giorno dell’inaugurazione dello stadio Olimpico, il 17 maggio 1953, ancora a Roma, nella sua Roma, ideale conclusione di tutta la sua parabola calcistica e umana.
Si dice che nessuno è profeta in patria, ma per Amedeo Amadei mai postulato fu più falso di questo, perché lui era un figlio del popolo, un pezzo di Roma che ogni romano sentiva parte di sé, uno che si ama come un figlio.
E lui ricambiò con un’eccezionale attaccamento alla maglia giallorossa, che lo spinse a mettere in chiaro, con qualsiasi squadra giocasse, che non sarebbe sceso in campo contro la squadra della sua città, qualora vi fossero stati in ballo punti pesanti per la sua salvezza.
Fu così all’Inter, e lo fu anche al Napoli, dove si trasferì nella stagione 1950/51 al termine degli sfortunati mondiali brasiliani e dove, oltre a stringere amicizie importanti, restò per sei stagioni indimenticabili, in cui segnando qualcosa come 47 reti in 171 partite, raggiunse il traguardo delle 174 realizzazioni in 423 gare di Serie A e divenne uno tra i più grandi marcatori di sempre.
Durante la stagione 1955/56, a trentacinque anni, accettò poi la proposta del presidente Achille Lauro di sostituire in panchina Eraldo Monzeglio, appena esonerato, e nel ruolo di giocatore-allenatore, condusse la squadra partenopea ad un quattordicesimo posto valido per la salvezza.
L’esperienza da tecnico sembra appassionarlo e così prosegue la nuova avventura anche nei due campionati successivi, centrando al termine del secondo il quarto posto assoluto, togliendosi anche la soddisfazione di battere la Juventus di Giampiero Boniperti, John Charles ed Omar Sivori sia all’andata che al ritorno.
Un calcio sempre più spietato
Ma il calcio sta cambiando, nuovi imprenditori ed una nuova filosofia societaria si stanno affacciando all’orizzonte, il denaro comincia a minare valori storici da sempre patrimonio del calcio, e all’alba del campionato 1959/60 il presidente campano decide di promuoverlo osservatore della società, di fatto sostituendolo con quell’Annibale Frossi al posto del quale dopo le prime quattro sconfitte consecutive verrà richiamato a furor di popolo. La stagione si concluderà con un’altra salvezza afferrata per i capelli, ma sarà il preludio alla disgraziata stagione successiva, al termine della quale il Napoli retrocederà in serie B dopo 11 anni.
Quella sciagurata esperienza aprirà ferite insanabili nel suo animo di uomo e sportivo esemplare e di più lo farà scoprire, per ammissione del suo stesso presidente, che durante quel suo periodo difficile molti colleghi si erano offerti a sua insaputa per sostituirlo.
Lasciò Napoli deluso e dopo una breve parentesi alla Lucchese si chiamò fuori una volta per tutte da un mondo che sentiva lentamente non appartenergli più, da un circo nel quale non voleva rischiare di diventare come tutti gli altri.
Per lui il calcio era stato impegno, rispetto, sacrificio, correttezza, cosa aveva a che spartire con l’imbarbarimento dei costumi che andava affermandosi?
Guidò ancora a titolo gratuito la Nazionale italiana femminile dal 1972 al 1978, poi tornò ad occuparsi esclusivamente del panificio di famiglia a Frascati, dei suoi cantuccini al vino dei Castelli e di altre delizie simili, diventando un imprenditore di successo e un mito vivente.
Nel 2001 a Frascati fu organizzata una grande festa per il suo ottantesimo compleanno, con tanto di onorificenze e banda in piazza, ma quando nel 2008 accettò l’invito della F.C. Internazionale per presenziare alla cerimonia del suo centenario di fondazione, a Roma non pochi si risentirono per quella scelta, perché come mogli o sudditi traditi non potevano perdonargli amori diversi da quelli capitolini.
Giocatore e uomo amatissimo dentro e fuori dal campo, il 24 novembre 2013, all’età di 92 anni, Amedeo Amadei ci ha lasciato, suscitando la commozione del suo popolo e l’omaggio delle istituzioni. Questo il saluto dell’attuale presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, su Twitter: «Ciao Fornaretto, campione di un calcio umano che non c’è più e che rimpiangiamo. Ci mancherai».
Marco Tonelli
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