Bob Morse
… e Varese conquistò il cielo
1972. Immaginate uno studente americano che atterra a Milano Malpensa fresco fresco di specializzazione universitaria e pronto a passare due anni in Italia. Anni che oggi si chiamerebbero Erasmus e che tanti ora affrontano. Allora invece l’Italia non era neanche tra le mete più gettonate.
Ma in questo ragazzo, molto alto e molto biondo, il Belpaese suscita un’attrazione innata. Tanto che oggi questo ragazzo, che più ragazzo non è, insegna Lingua e Letteratura italiana al Saint Mary’s College di Notre Dame, nello stato americano dell’Indiana.
In mezzo però c’è un altra storia, che sembrerebbe non avere nulla a che vedere con questo inizio né tanto meno con questo epilogo. Il biondo americano, alto 203 centimetri, ha infatti un’altra dote oltre a quella del biologo, titolo con il quale si è presentato in Italia. Il biondo americano, anche perché alto 203 centimetri, sa giocare a pallacanestro.
Nulla di stupefacente, si potrebbe pensare. È normale o quanto meno giustificato che un ragazzo americano di ventuno anni sappia giocare a pallacanestro. E infatti la cosa particolare non è che giocasse a pallacanestro, ma come giocasse a pallacanestro. Talmente bene che giusto il tempo di disfare i bagagli e già viene chiamato in palestra.
Per un americano che viene, c’è un messicano che va
Sembrerebbe un detto di frontiera, da adoperare sotto il sole di El Paso, invece è un ritornello varesino. Manuel Raga, talentuosa ala messicana nonché idolo della Ignis Varese, è in partenza, ed il coach Aza Nikolic ha trovato come sostituirlo. Contatta il biondo ragazzone americano, sbarcato per studiare in Italia poco tempo prima. Robert si chiama, ma se lo chiedete a lui vi risponde Bob. Bob Morse.
La famiglia Borghi, proprietaria della squadra lombarda si fida, i tifosi meno. E infatti muovono una dura contestazione. Manuel Raga è insostituibile, tutti dubitano di questo americano preso in prova. Nikolic dal canto suo non batte ciglio e lo mette subito in campo in amichevole, nello stesso ruolo di Raga. Alla fine del primo tempo i tifosi fischiano più di prima, perché Morse fa fatica ad entrare in partita, ma Nikolic, dall’alto della sua posizione (un palmarès incredibile, coronato con l’ingresso nella Hall Of Fame di Springfield), non si scompone. Viene ricambiato.
Bob Morse comincia il secondo tempo con una sola costante: fa sempre canestro. Al decimo consecutivo, da una distanza siderale che il regolamento di allora non fa ancora valere tre punti, anche il pubblico si lascia convincere. Gli sono bastati poco più di venti minuti, al biondo Robert, per diventare il grande Bob.
Varese, centomila abitanti e un cuore a spicchi
La pallacanestro in Italia ha avuto una natura particolare, incentrata fondamentalmente sul grande fenomeno sportivo chiamato Olimpia Milano.
In Lombardia però non esiste solo il capoluogo, ed ecco che all’ombra della grande cugina cominciano a formarsi realtà sempre più consistenti, tra le quali Varese. Il primo scudetto targato VA arriva nella stagione 1960-1961 ad inaugurare un ventennio al vertice per i lombardi. L’esplosione ha un nome ed un cognome. Il nome è quello di Giovanni Borghi, l’industriale che ha prelevato la società nel 1956, e il cognome è Ignis, l’azienda dello stesso presidente divenuta sponsor ufficiale della squadra. Da quello scudetto ha inizio la favola della Ignis Varese, che negli anni Settanta, grazie anche a Robert Bob Morse, diverrà la piazza più importante della pallacanestro europea.
Da Filadelfia a Varese. Da Varese ad Anversa
Antonello Riva, Oscar Schmidt, Carlton Myers e Bob Morse. Non sono quattro nomi a caso. Non sono neppure pensabili nella stessa squadra. Sono semplicemente i primi quattro marcatori della storia del campionato italiano di pallacanestro.
Con i suoi 9785 punti, Morse è entrato non solo nel cuore dei fan della Ignis Varese, ma anche nella prima pagina della storia del gioco, almeno in Italia. Anche se poi, a dir la verità, il fenomeno Morse non colpisce solamente il nostro campionato o le competizioni europee. Bob Morse infatti viene selezionato con la trentaduesima scelta al Draft 1972 (lotteria per lo smistamento delle migliori stelle universitarie nella NBA) dai Buffalo Braves, lo stesso anno in cui la NBA seleziona altri due volti noti del basket italiano: Bob McAdoo e Chuck Jura.
Morse però declina l’offerta e la rimanda all’anno successivo, poi a quello dopo ancora, finché non ne passeranno dieci, di anni. I dieci anni in cui Bob Morse strega Varese. Dalla stagione 1972-73 alla stagione 1981-82, l’accoppiata Morse-Ignis (poi Mobilgirgi, Emerson e Turisanda) porta a casa la bellezza di quattro Campionati italiani, una Coppa Italia e tre Coppe dei Campioni. Bob vince inoltre per sei volte il premio come miglior marcatore del campionato, con un massimo in carriera di sessantadue punti nel 1974-75 contro il Fag Partenope.
Tante glorie e tanti successi, dunque. Se però chiedete a Bob Morse quale sia stata la sua partita preferita, non ha dubbi. Siamo ad Anversa, il 10 aprile del 1975, alla Sporthal Arena. La Ignis è data per spacciata in partenza, perché non basta il talento cristallino di Bob Morse per battere i colossi spagnoli del Real. Non basta soprattutto se l’altra anima della squadra, Dino Meneghin, ha dovuto dare forfait per un infortunio.
La Ignis però ha mille risorse ed ha sempre l’asso nella manica. Ad affiancare Morse per quella partita tocca a Sergio Rizzi. Il quale, lasciato spesso libero di operare dalla difesa avversaria, compie il miracolo di trascinare Varese alla vittoria del suo quarto titolo continentale, con il risultato di 79 a 66.
La squadra lombarda a quell’epoca ormai non è più una bella favola, non lo è più da tempo. Si è trasformata in una solida realtà. Quelle stagioni servono a dimostrarlo, soprattutto in campo europeo, dove dalla stagione 1968-69 alle dieci successive la Ignis riesce sempre a centrare la finale in Coppa dei Campioni. Un successo strabiliante, per una città con meno di centomila abitanti, costretta a confrontarsi con le grandi potenze del tempo (Real Madrid e Maccabi Tel-Aviv su tutte). Una città piccola, ma che con il suo grande americano in campo sa gonfiare il petto ed affrontare ogni battaglia.
Alla fine si ritorna
Finito il periodo d’oro con Varese, Morse deve emigrare in Francia, agli Sharks Antibes, per una particolare legge del mercato interno italiano che impedisce gli scambi di stranieri tra le società (neopromossa escluse). Quando però, dopo tre stagioni in Francia, le Cantine Riunite Reggio Emilia decidono di chiamarlo all’appello, Bob Morse marca presente; talmente affascinato dal nostro campionato, dal nostro paese, dalla nostra letteratura, che non avrebbe potuto resistere ancora lontano dall’Italia.
A Reggio Emilia non è più il biondo ragazzone sceso dall’aereo per studiare, ma la naturalezza con la quale continua a giocare sorprende. Sorprende perché il suo entusiasmo mette in dubbio persino quindici anni di carriera. Ogni volta che scende in campo per Bob Morse sembra sempre la prima volta. Basta poco tempo per ammaliare il pubblico emiliano, bastano due sole stagioni per entrare cuore dei tifosi. Come altrettanto poco era bastato quindici anni prima per ammaliare prima Varese, poi l’Italia, fino ai tetti più alti d’Europa.
Una carriera al vertice, nella squadra giusta, con l’alchimia giusta. Non a caso, oltre a Bob, quella Ignis Varese poteva contare sul già citato Meneghin e sul coach Sandro Gamba. Due delle anime più illustri della nostra pallacanestro.
Bob è irriconoscibile, oggi. Non ha più la chioma bionda, anzi di chioma non ne ha proprio. Di sicuro però non passa inosservato, riesce ancora a far parlare di sé. Perché basta un’immagine, una parola ben detta, per rievocare i grandi ricordi del nostro passato.
E Bob Morse ha trasmesso talmente tanto al nostro sport che un grande lo è di diritto.
Mattia Pintus
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I played basketball with Bobby Morse at Kennett Consolidated. Coached by Nathan Kendig during the 1967 , 1968 season’s. It was a great pleasure to have been coached by Nathan Kendig. And an honor to have played team ball along side of Bobby. Today when I need a lift spiritually I think back to the days on the court at Kennett/ playground ball as well. And I feel blessed. I have not seen Bobby since we left Kennett High School back in the late 60’s. Bobby went to college and I went to the U.S.A.F, serving in Europe / Germany. H. Curtis Winters