Amelia Earhart – 2
Gloria e tragedia di “Lady Lindy”
L’Atlantico in solitaria
Si prepara a fondo, prendendo lezioni di volo strumentale e studiando attentamente la meteorologia e le correnti aeree atlantiche. La stampa fa a gara per avere informazioni di prima mano. Vengono a conoscenza del pubblico decine di particolari, dai dati più tecnici come il nuovo motore dell’aereo (un P&W Wasp da 450 Hp) e la quantità di carburante imbarcata (quattrocentoventi galloni), alle curiosità più spicciole, come il fatto che la trasvolatrice, che non beve tè, né caffè, si terrà sveglia fiutando sali, o che tutte le provviste imbarcate consisteranno in un thermos di zuppa e una lattina di succo di pomodoro. Alle 19.12 locali del 20 maggio 1932, quinto anniversario del volo dello Spirit of St. Louis, Earhart decolla da Harbour Grace, sull’isola canadese di Terranova: destinazione, Europa. Ancora una volta, il meteo non le è amico. È una lunga notte di maltempo, quella che la donna affronta, sola nel cielo con i suoi pensieri, cercando nell’incontro tra l’immensità del cielo e quella dell’Oceano l’orizzonte di un’esistenza vissuta sempre al massimo. Raggiunge la costa dell’Irlanda alle 13.46 locali, dopo aver percorso duemilaventisei miglia in quindici ore e trentadue minuti. Si trova duecento miglia a nord della rotta prevista, e atterra in una località chiamata Gallagher’s Fields, a Culmore, un paesino del Donegal vicino a Londonderry. Un contadino si avvicina all’aereo, incuriosito dal suo arrivo. «Dove mi trovo?», gli domanda l’aviatrice. «Nei pascoli di Gallagher. Vieni da lontano?» risponde l’uomo. «Sì… dall’America!» conclude Amelia, aprendosi in un liberatorio sorriso di gioia. Ha l’altimetro fuori uso, un collettore di scarico rotto e l’indicatore di livello carburante che funziona male. Nel serbatoio le restano settanta galloni di carburante, insufficienti a raggiungere Parigi, come pure aveva considerato di poter fare.
I giorni che seguono sono trionfali. Amelia ha stabilito una serie impressionante di primati (prima donna ad attraversare l’oceano da sola, prima persona ad averlo fatto due volte, distanza più lunga mai volata da una donna in solitaria, traversata oceanica effettuata in minor tempo e tanti altri minori) e l’America è fiera di lei. Quando rientra in patria, il Presidente Hoover la accoglie con la Medaglia d’Oro della National Geographic Society e varie città le consegnano simboliche chiavi. Viene nominata Women of the Year, premio che lei accetta «in nome di tutte le donne». Earhart sente molto il problema della condizione femminile, e non esita ad adoperare la sua notorietà per richiamare l’attenzione del pubblico sul tema. Così quando un articolo francese su di lei termina domandando con malizia se l’aviatrice sia in grado di cucinare un dolce, lei risponde indirettamente e con finezza «…e così accetto tutti questi premi in nome delle donne che sanno far torte, e di tutte quelle donne che sanno fare cose altrettanto se non più importanti che volare, allo stesso modo che per le donne che oggi volano».
Una sfida dopo l’altra
Non cessa di stupire, Lady Lindy. Nel 1934 progetta un altro primato, il volo senza scalo dalle Hawaii alla California. Una rotta maledetta, lungo la quale già dieci piloti hanno perso la vita. La donna non si spaventa certo per questo, e si prepara al tentativo ricorrendo ad apparecchiature sofisticate per l’epoca: installa a bordo un radiotelefono a due vie, strumento sino a quel momento impiegato solo su aerei militari. Il decollo avviene dal Wheeler Field di Honolulu, l’11 gennaio 1935. Diciassette ore e sette minuti di volo, sino all’atterraggio a Oakland, dove viene accolta da migliaia di persone festanti. Ancora, un inquilino della Casa Bianca si congratula con lei: tocca a Franklin Delano Roosevelt, questa volta. Invia un telegramma entusiasta, in cui afferma che Amelia «ha di nuovo colpito il segno… Ha dimostrato anche ai San Tommaso che l’aviazione è una disciplina che non può essere limitata ai soli uomini». Nei mesi che seguono, l’attività di Earhart è senza soste. Le conferenze promozionali si susseguono con un ritmo costante, e sono appuntamenti trendy, cui la gente accorre sempre numerosa. A un ricevimento, Amelia conosce il Console Generale del Messico, che le procura un invito del governo messicano a una visita ufficiale.
Il volo in solitaria da Los Angeles a Ciudad de México avviene in aprile e, neanche a dirlo, è una prima assoluta, cui fa seguito, il mese successivo, un altrettanto storico ritorno a New York. Nel mezzo, un soggiorno trionfale, in cui è acclamata e contesa nei circoli più esclusivi. Le dedicano persino un annullo postale. A metà anno, Lady Lindy accetta un incarico come Visiting Faculty Member dalla Purdue University dell’Indiana: dovrà prestare consulenze al dipartimento di studi sulla carriera delle donne e al dipartimento dell’aeronautica. E proprio con i fondi dell’Università procede alla preparazione dell’aereo che dovrà consentirle l’avventura più rischiosa della sua vita. L’idea che va formandosi è quella di un giro completo del globo: non una prima assoluta, questa volta, ma comunque un volo da leggenda, perché sarebbe stata la prima donna a compierlo e soprattutto perché avrebbe navigato su una rotta equatoriale, ossia sulla massima distanza possibile. Nel luglio 1936, nello stabilimento di Burbank, la Lockeed Aircraft Corporation procede alla costruzione di un monoplano bimotore Lockeed L-10 Electra, modificato seguendo le istruzioni di Amelia, riguardanti in primo luogo la fusoliera, nella quale deve essere incorporato un grande serbatoio per il carburante.
Anche la scelta dell’equipaggio è accuratamente pianificata. Al capitano Harry Manning, che Earhart conosce personalmente, viene affiancato l’ufficiale di marina Fred Noonan, che ha una grandissima esperienza sia nautica che aerea. In previsione della necessità di una navigazione astronomica, Noonan, che ha di recente lasciato la Pan Am dove ha elaborato per anni le rotte degli idrovolanti China Clipper nel Pacifico, è apparso a tutti la persona ideale. Anche se per la verità alcune fonti insistono nel volerlo imposto dal governo USA. Dietrologia, forse, ma chi può dirlo? I tempi non sono certo dei più tranquilli. Comunque sia, i piani iniziali prevedono che Noonan ricopra il ruolo di navigatore da Honolulu all’Isola di Howland, il tratto forse più difficile della rotta, per essere poi sostituito da Manning sino all’Australia, da dove Amelia proseguirà da sola.
La folle scommessa
Il 17 marzo 1937, l’aereo con l’equipaggio al completo e l’aggiunta di Paul Mantz, imbarcato come consulente tecnico, decolla da Oakland verso Honolulu. Gli inconvenienti iniziano subito, con problemi di lubrificazione al mozzo dell’elica. Il velivolo deve essere riparato, e la sosta alle Hawaii si prolunga oltre le previsioni. Finalmente, dopo tre giorni, l’Electra è nuovamente posto in grado di volare. Evidentemente, l’impresa è però nata sotto una cattiva stella: durante il decollo da Pearl Harbour, l’aereo va in testa-coda. Sbanda sulla sinistra, fuori controllo, il carrello cede e la fusoliera striscia a lungo e con violenza sulla pista prima di arrestarsi. Per fortuna non sopravviene un incendio, letale con la quantità di carburante caricata, ma i danni sono tali da costringere Amelia a rimandare il velivolo via mare in fabbrica, a Burbank, per il ripristino. Il raid è per il momento fallito, e, come spesso succede, non manca qualche polemica sulle cause dell’incidente. Testimoni oculari, tra cui un giornalista della Associated Press, indicano l’esplosione di uno pneumatico, il destro secondo l’aviatrice, che ipotizza pure il collasso strutturale del carrello. Altri però, tra cui Mantz, comunque non presente a bordo in quella fase, parlano di un chiaro errore di pilotaggio. Un’ombra sulla reputazione di Earhart, che comunque, come al solito, non si scoraggia. Mentre l’aereo viene riparato, Amelia e Putnam raccolgono altri fondi, e imbastiscono un nuovo tentativo. La rotta scelta, questa volta, è in direzione occidente-oriente, a causa principalmente dei mutamenti atmosferici dovuti all’andamento stagionale. L’annuncio ufficiale avviene a Miami, dove Lady Lindy è arrivata da Oakland con un volo non pubblicizzato.
Il solo navigatore previsto per il progetto, un viaggio di quarantaseimila chilometri, è Fred Noonan, e con lui a bordo, Amelia spicca il volo il 1º giugno in direzione sud. La prima sosta è San Juan di Portorico, poi la rotta segue la costa orientale del Sud America, dal Suriname al Brasile, per deviare verso l’Africa e toccare Dakar, Karthoum, e quindi l’India. Dopo Calcutta, l’Electra procede verso Rangoon, Bangkok e Singapore. A Bandoeng, sull’isola di Java, i due restano per dieci giorni, a causa dell’arrivo dei monsoni, e approfittano della sosta per alcuni aggiustamenti agli strumenti di bordo. In realtà, Amelia non sta bene. Da una settimana soffre di dissenteria, ma non vuole rallentare ulteriormente sulla tabella di marcia, e così il raid riprende. Il 27 giugno Port Darwin in Australia è raggiunto, e il 29 il bimotore atterra in Nuova Guinea, a Lae: sono stati percorsi trentacinquemila chilometri e ne mancano undicimila alla mèta. Qualche giorno di pausa, sino al nuovo decollo. È la mezzanotte in punto del 2 luglio 1937. Di quel maledetto 2 luglio 1937.
La scomparsa dell'”Electra”
Poco dopo l’ultimo, preoccupante messaggio di Earhart, l’Itasca inizia una ricerca (secondo alcuni non esente da negligenze) a nord e a est dell’isola di Howland, basandosi sulla provenienza delle trasmissioni dell’aereo. Viene lanciato l’allarme, che rimbalza veloce in tutto il mondo e riempie le prime pagine dei giornali. La perdita dell’Electra è avvertita dagli Stati Uniti come una tragedia nazionale: Roosevelt ordina la più grande e dispendiosa operazione di ricerca della storia americana, che costerà quattro milioni di dollari. Una cifra sbalorditiva, per l’epoca. La Marina statunitense agisce rapidamente e nel giro di tre giorni tutte le risorse disponibili sono concentrate nelle vicinanze dell’isola di Howland. L’Itasca, la portaerei Lexington, la nave da battaglia Colorado e due navi giapponesi (il vascello oceanografico Koshu e la nave appoggio idrovolanti Kamoi) coprono un’area di 390.000 km2, un quarto di più dell’intero territorio italiano. Gli aerei da ricognizione della Lexington sorvolano senza sosta l’Oceano, i radioamatori di tutto il mondo scandagliano le frequenze sperando in qualche messaggio di Amelia. Ne ottengono centinaia, alcuni forse plausibili, altri decisamente catalogabili come scherzi di pessimo gusto. Nessuno decisivo, purtroppo. È la fine. Il 17 luglio hanno termine le ricerche ufficiali, anche se Putnam non si rassegna e affitta due piccole navi, estendendo le ricerche alle Isole della Fenice, alle Kiribati, alle Marshall. Tutto inutile: dell’Electra, nessuna traccia. Il 5 gennaio 1939 Lady Lindy è dichiarata legalmente morta. «Le donne devono pagare per tutto. Ottengono più gloria degli uomini per imprese che sono a loro comparabili, ma hanno più notorietà di loro quando falliscono». Aveva ragione ancora una volta, Amelia. A tre quarti di secolo di distanza, la sua scomparsa conserva intatto tutto il fascino di un intrigante mistero, per spiegare il quale mille ipotesi sono state fatte, dalla missione segreta per conto del governo alla cattura da parte dei giapponesi. La donna che sfidò i cieli è ancora tra noi, un personaggio che sentiamo vicino in tutta la sua complessa femminilità e in tutta la sua straripante volontà. Può anche darsi che un giorno qualche ritrovamento arrivi a scrivere la parola fine su uno dei gialli più famosi e appassionanti del XX secolo, ma perché poi scriverla, la parola fine? È molto più seducente pensare Lady Lindy e il suo Electra nell’azzurro, al confine tra il tempo degli umani e quello della fantasia, come una gentile Americanina Volante. O magari, chissà, che se ne sia fuggita sull’asteroide B 612, la bella ragazza con i capelli rossi e le lentiggini, e ora sorrida nel coltivare la rosa con il piccolo Principe.
Danilo Francescano
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