Didier Drogba
Calcio e pace
2005. L’autunno che comincia a colorare i paesaggi europei è lontano dalle vie trafficate di Abidjan. La città-simbolo della Costa d’Avorio non conosce le atmosfere crepuscolari del letargo vegetale: il sole la bacia con la passione dell’Equatore e scalda l’entusiasmo di un popolo diviso.
Le strade si riempiono di vibrazioni: la nazionale di calcio ha appena conquistato il pass per la Coppa del Mondo, ma la gioia non riesce a esplodere. Le angosce e i lutti la soffocano nel profondo degli animi: la crociata xenofoba di Henri Konan-Bédié ha lacerato l’unità nazionale e ha acceso forti tensioni fra il Sud cristiano e il Nord musulmano; il populismo autoritario di Laurent Gbagbo ha peggiorato lo scenario sociale e ha trasformato i conflitti interetnici in una tremenda guerra civile, che investe il Paese e spazza via il mito della Patria di Félix Houphouët-Boigny.
Il padre dell’indipendenza della Côte d’Ivoire vive nella memoria del suo popolo e nelle titaniche opere pubbliche che hanno accompagnato la sua trentennale dittatura: solo lo stadio non sembra immerso nella paura che sconvolge gli interstizi delle strade. Negli spogliatoi riecheggia l’orgoglio degli Elefanti: quando la festa sta per cominciare, la grande anima del calcio ivoriano si ferma. Cerca un microfono, vuole una telecamera: i compagni lo osservano, aspettano, sospirano. Sanno che le sue labbra non si aprono mai per veicolare concetti banali. Anche se è diventato uomo sotto i benevoli cieli di Francia ed è ormai entrato nelle grazie di Stamford Bridge al Chelsea, Didier Drogba non ha mai dimenticato la sua Abidjan: a 27 anni ha appena coronato il grande sogno di partecipare ai Mondiali 2006, ma sente che il suo popolo non riesce a condividere con lui le emozioni più belle dello sport.
Quando un reporter corre dall’attaccante più forte della Premier League e gli offre il microfono, Didier grida a tutto il Paese la sua voglia di pace: la nazionale della Costa d’Avorio andrà tutta unita in Germania! Quanto sarebbe bello se il Nord e il Sud si abbracciassero sotto la stessa bandiera! Abidjan impazzisce: il suo figlio prediletto le ha regalato una meravigliosa speranza e le ha insegnato che il segno della croce è un gesto di fratellanza. Anche le comunità islamiche si fermano: se i fratelli Touré e i tanti musulmani che indossano la maglia degli Elefanti sostengono il cristiano Didier, le sue parole meritano la loro fiducia.
Le armi non tacciono ancora, ma la Côte d’Ivoire sente che la sua squadra di calcio sta compiendo un’impresa che l’esercito e gli affaristi non hanno mai voluto nemmeno tentare: la croce e la mezzaluna si sono riunite sotto il vessillo di una grande comunità e hanno raggiunto la ribalta planetaria.
Gli Elefanti volano insieme in Germania, ma l’orgoglio di Drogba non basta: il “girone della morte”, con Argentina, Olanda e Serbia e Montenegro, li rispedisce sulla costa africana, nell’atmosfera violenta di un Paese diviso. Anche se l’avventura mondiale ha avvicinato le due anime in lotta, la squadra e il calcio hanno bisogno delle istituzioni: il miracolo è vicino, ma serve l’ultimo passo.
Didier sa che la sua nazionale deve tornare al Nord poiché solo quel viaggio permetterebbe ai burkinabè di riabbracciare la bandiera e di esultare insieme ai loro fratelli del Sud. Nessun politico ha mai proposto questa soluzione: solo un uomo che non ha dimenticato la sua gente neppure quando è stato circondato dalle lussuose sirene dell’Occidente può avere il coraggio di elaborare un’idea del genere. Il Governo lo ascolta e si impegna a organizzare un match di qualificazione alla Coppa d’Africa nella roccaforte ribelle di Bouake: una scelta giusta? Una decisione avventata?
Il 3 giugno 2007 gli Elefanti partono per il loro viaggio di pace. Le misure di sicurezza sono ossessive, gli scettici non nascondono le loro paure, ma Drogba sorride: ad Abidjan non c’è una singola via che non rifletta le vibrazioni del suo animo, al Nord non può essere diverso. La bandiera è la stessa e i suoi compagni sono forti: la Costa d’Avorio travolgerà il Madagascar e i ribelli abbracceranno la loro nazionale. Quando la squadra scende dal pullman, il popolo impazzisce: Didier illumina gli sguardi, Kolo e Yayà Touré si sentono a casa, le maglie dei ragazzi del posto sprizzano il loro arancione fino al cielo. La partita è un inno allo sport e alla pace: gli Elefanti volano sul 4-0, ma Drogba non lascia il campo. Non può. Ha portato la speranza anche negli angoli sperduti di Bouake: deve segnare. A un soffio dalla fine, il suo fisico possente prepara il colpo: 5-0. La festa può cominciare.
Daniel Degli Esposti
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