Suzanne Lenglen
La diva del tennis
La definirono La Divina: fu lei la prima donna a presentarsi a Wimbledon vestita con abiti che non fossero divise, oppure degli orribili scafandri volti più a nascondere che a vestire. Mentre le altre tenniste cercavano di uniformarsi alla logica di uno sport dal dominio maschile, lei sfidò ogni convenzione indossando gonnelle che scoprivano i polpacci e maglie che mostravano gli avambracci nudi. Se le sue avversarie erano disposte a demolire la propria femminilità pur di emergere in un gioco di battute e continui attacchi, lei la esaltava, soprattutto nel suo lato frivolo e vanitoso, annullando le distinzioni che separavano le donne a casa da quelle con una racchetta in pugno al centro del campo.
Se l’abbia fatto per malizia o per ribellione non ci è dato di sapere, quel che è certo è che Suzanne Lenglen, apparsa in un campo da tennis agghindata come per una sfilata, sarebbe diventata la stella del suo sport, e avrebbe continuato a dominare le scene, anche mondane, negli anni a venire.
Disputò il suo primo torneo nel 1914 a quindici anni non ancora compiuti, ed allora la sua presenza era ancora abbastanza discreta da non suscitare troppo scalpore. Si distinse, semmai, per la bravura: giunse alla finale dei Campionati francesi ed ebbe il privilegio di sfidare la campionessa Margherite Broquedis. Venne battuta, ma solo dopo tre set molto combattuti; pochi mesi più tardi vinse a Saint Cloud i Campionati internazionali.
A bloccare l’ascesa sportiva di Suzanne intervenne la guerra, pur lontana dalla vita della ragazza, figlia di un commerciante di carrozze e abituata fin dalla più tenera età a privilegi e agiatezze. Ma quando venne firmato il trattato di Versailles Suzanne era ancora giovanissima e per lei si aprirono le porte del torneo di Wimbledon, dopo una pausa di quattro anni dalla sua ultima sfida.
Di nuovo non deluse le aspettative: giunse in finale, dove l’attendeva l’americana Dorothea Douglass Chambers, già sette volte vincitrice. Non solo l’incontro segnò il suo primo memorabile trionfo nel Grande Slam, ma permise inoltre alla sua personalità di emergere in tutta la sua completezza. I giornali dedicarono intere pagine alla descrizione della grazia dei suoi movimenti, intervallando gli elogi con pesanti critiche al suo comportamento troppo audace.
Gli onori e gli oneri del successo
Le sue mise e i suoi atteggiamenti sconvolsero l’opinione pubblica dell’epoca, del tutto impreparata ad accogliere un simile cambiamento nella rappresentazione della personalità femminile. Suzanne beveva cognac ghiacciato nelle pause fra un set e l’altro, fumava senza ritegno, e vestiva un abbigliamento poco adatto al contesto sportivo. La gente cominciò ad appassionarsi a quella giocatrice dotata di eleganza e sfacciataggine in ugual misura; era una donna incapace di passare inosservata, i suoi abiti erano un capolavoro di buon gusto – spesso esibiva in campo le creazioni del sarto Jean Patou – e, nonostante non fosse propriamente una bellezza, riusciva ad esercitare un magnetismo irresistibile.
I giornalisti furono impietosi nel descrivere i suoi vizi. Preda di inspiegabili attacchi di isteria e depressione, Suzanne era caratterizzata da una fragilità nervosa alla quale si univa una fragilità fisica: la Lenglen soffriva d’asma fin da quando era bambina, eppure quegli stessi problemi di salute che tante volte l’avevano fatta sentire sul punto di non farcela erano stati, al contempo, la sua benedizione: fu proprio l’asma a condurla verso il tennis, considerato dal padre Charles un rimedio alla malattia.
Suzanne cominciò a giocare nel giardino della casa sul mare di Marest-sur-Matz, trovando nella racchetta un ottimo strumento con cui esibirsi. Lei, che aveva frequentato la scuola di danza per parecchi anni, si trasformava in una ballerina volante quando doveva afferrare la pallina: volteggiava, tagliava l’aria in sforbiciate, raggiungeva una perfetta elevazione ed eseguiva movimenti di una delicatezza impressionante se accostati ad un sport che richiede un notevole dispendio di forza.
Furono queste qualità a farne la regina di Wimbledon: sul prato inglese conquistò sei titoli in sette anni, escluso il 1924, quando l’asma, che continuava ad affliggerla, si presentò con particolare prepotenza. Per oltre un decennio dominò i campi da tennis di tutta Europa vincendo ottantun titoli nel singolare femminile e settantatré nel doppio, nonché due medaglie d’oro (singolare e doppio misto) all’Olimpiade di Anversa, nel 1920. Il suo record di vittorie a Wimbledon – singolare, doppio e doppio misto nello stesso anno – rimane tuttora imbattuto.
Ma anche l’invincibile Lenglen fu costretta a fermarsi. La prima delusione arrivò nel 1921 in America, la terra dei sogni e delle speranze, dove la Divina intendeva raccogliere fondi per le regioni nord-orientali della Francia, le più devastate dalla Grande Guerra. Chissà, forse si aspettava un passaggio a crociera nel ruolo di unica e autentica beniamina della pace, oppure credeva che gli americani l’acclamassero senza impegnarla in una sfida, sta di fatto che non era affatto preparata all’impegnativo susseguirsi di incontri a cui il viaggio l’avrebbe obbligata: al suo arrivo, le venne annunciato che avrebbe dovuto partecipare agli US Open, lo Slam americano. Si batté con Molla Bjurstedt-Mallory, campionessa uscente dello stesso torneo, ma perse il primo set e non fu più in grado di continuare, scossa da un violento attacco di tosse che la lasciò estenuata ed in lacrime, oltretutto derisa dalla stampa americana che non approvò l’abbandono della partita. In seguito, alla Lenglen venne diagnosticata la pertosse, il che in parte giustificò il suo comportamento e le difficoltà incontrate durante la rassegna.
Ma il riscatto era dietro l’angolo: nel 1922 a Wimbledon, nel suo “giardino”, come molti cronisti lo definivano, la Lenglen ristabilì le gerarchie, sconfiggendo la Bjurstedt-Mallory in soli ventisei minuti, senza concedere all’avversaria alcuna possibilità di recupero.
L’epilogo
L’ultima grande rivale fu per Suzanne l’americana Helen Wills, che l’avrebbe emulata nel successivo ventennio. La Divina, però, non aveva alcuna intenzione di passare il testimone fintantoché si trovava su un campo da gioco. L’incontro con la Wills, che avvenne nel febbraio del 1926 al Carlton Club di Cannes, fu uno dei più combattuti e seguiti del secolo, la solenne consacrazione del tennis femminile. A spuntarla fu Suzanne, ma a fatica; quando la folla si congratulò con lei gettandole orchidee, garofani e rose scoppiò in lacrime, addirittura svenne, sfinita dalla tensione e dai ritmi di gioco.
La sua carriera si concluse poco tempo dopo; il grande pubblico attendeva con ansia la sua apparizione a Wimbledon, ma Suzanne si ritirò, lasciando definitivamente la scena. Sembra che lei avesse intenzione di partecipare un’ultima volta al torneo, ma, a causa di un disguido di orari, fece attendere la Regina Mary e questo sgarbo fu mal interpretato dagli aristocratici. Suzanne non resse all’ennesimo scandalo e decise di abbandonare del tutto il mondo della racchetta per coltivare la sua passione in privato, gestendo una scuola con il suo amante Jean Tillier.
Morì anni dopo, il 4 luglio del 1938, affetta di leucemia, già cieca e indebolita dalla malattia. Il mondo del tennis, che le avrebbe in seguito dedicato una coppa e un campo degli Open di Francia, salutò una delle sue più grandi campionesse di sempre, la sua unica vera diva.
Alice Figini
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