Audrey Mestre e Pipín Ferreras
Sino all’ultimo respiro
C’era un limite estremo in quell’amore. Un limite che fa rallentare il cuore a venti battiti al minuto, che riduce i polmoni a due spugnette, che sembra farti esplodere le orecchie. Un limite da sfidare a occhi chiusi, spronandosi l’un l’altro, trasportati dalla passione per il “grande blu”, attaccati a una slitta che scende sempre più giù, per poi schizzare in superficie in una nuvola di bollicine.
Solo uno è tornato indietro.
Le profondità della passione
Audrey Mestre voleva essere una sirena. Anzi, sentiva che la sua vera natura era quella delle sirene. Una sirena nata a Saint-Denis, alle porte di Parigi. Perché no? Quando è alle superiori, la famiglia si trasferisce in Messico. Lei studia biologia marina all’Università di La Paz, nella Bassa California del Sud. Fa una tesi su come il corpo umano si adatta alle profondità dell’oceano. Nei termini della medicina iperbarica si chiama “blood shift”, è lo scivolamento ematico che, pur con intensità diversa, si realizza sempre in condizioni d’immersione. La massa sanguigna per l’azione di pressione dell’acqua si sposta dalla periferia al centro, verso il cuore e i polmoni, sottraendo ossigeno ai muscoli periferici. Tonificazione e allenamento compensano questa mancanza. Il corpo che al momento della ricerca incarna la sfida agli abissi è quello del massimo interprete di uno degli sport acquatici più rischiosi, controversi e affascinanti, campione di apnea in assetto variabile assoluto “no limits”, già campione nazionale di pesca subacquea, nonché primatista e uomo dei record: il cubano Francisco Ferreras detto “Pipín”.
I lavori di ricerca durano otto mesi, durante i quali Audrey cerca di capire e ricreare le condizioni delle quattordici atmosfere di pressione a cui si sottomise Pipín Ferreras per raggiungere le profondità dei suoi record. Poco dopo la discussione della tesi, nel febbraio 1996, Audrey legge sul giornale che poco lontano, a Cabo San Lucas, Pipín organizza un tentativo di record mondiale d’immersione. La separano 250 km dal soggetto di così tanto studio: prende un autobus colmo di passeggeri, volatili, cani, e dopo quattro ore di viaggio è pronta a tuffarsi con un uomo che già conosce bene. S’immerge con bombole, pagando la tariffa richiesta, come sub di affiancamento. Non sa bene di cosa parlargli: lo ha studiato così tanto che non osa confessarglielo. Durante l’immersione Pipín nota l’abilità della ragazza ed è l’occasione per parlare: «Vuoi fare parte della mia squadra di tuffatori di sicurezza?».
Le insegna anche a scattare fotografie e girare filmati sott’acqua. Audrey ha l’occasione di documentare la fauna sottomarina che tanto l’affascina. Disegna delfini e tritoni, cetacei e sirene. La coppia viaggia un po’ insieme e prima che l’anno finisca lei si trasferisce a vivere con lui a Miami. Lui ha 34 anni, vive un periodo d’oro di primati, alimentati da una sete di autoperfezionamento e una fame di competizione che si nutre, dentro e fuori dalla sfera sportiva, nella sfida con l’italiano Umberto Pellizzari; sfida che sarà anche nel 2001 oggetto di un film, Ocean Men. Lei ha 22 anni e un cielo capovolto da conquistare e condividere a occhi chiusi.
Il mare per la coppia è tutto: è avventura, passione, amore. Il mare è la vera nascita: Pipín viene alla luce a Cuba il 18 gennaio 1972, bambino con piedi e gambe deformi, problemi alla vista. In acqua tutto scompare, anzi, si potenzia. Come i pinguini, impacciati e buffi fuori dall’acqua, atletici ed esibizionisti in acqua. Un riscatto marino, molto più di una rinascita.
Il mare è anche la seconda nascita di Audrey, costretta per lunghi anni dalla scoliosi in un busto che si toglie solo quando il nonno materno la porta a nuotare nel sud della Francia. «C’è un Dio che vive laggiù alla base dell’oceano», racconta Pipín in Ocean Men, «e quel Dio mi protegge». L’acqua libera dalla trappola del corpo. L’acqua dà da mangiare. Pipín ringrazia il Dio a suo modo, con l’aiuto della santería cubana.
Il cercatore di record
Il ragazzo Pipín voleva cacciare i pesci più grossi e i pesci più grossi stanno in profondità. Ecco la spinta a cercare di andare più giù, più a fondo. Nel 1987 a Cayo Largo (Cuba) scende in assetto costante a -67 metri, entrando nell’albo d’oro dei primati mondiali d’immersione. Si allena per mesi, con la collaborazione di fisiologi, scienziati e biologi marini, rubando metri e primati al rivale italiano, Umberto Pelizzari. Nel settembre 1990 a Milazzo conquista i -92 metri, che saranno l’anno successivo migliorati di tre metri dall’azzurro. Nel 1991 prende parte a una competizione in assetto variabile; il suo record di -115 metri è il primo ripreso dal vivo in una competizione d’apnea. Il 27 maggio 1992 batte il primato mondiale d’immersione in apnea in assetto costante, che nel mese di settembre Umberto riconquista a -70 m. È una rincorsa continua, una sfida di Icaro alla rovescia: non dalla terra in su ma dalla terra nel profondo blu. Nel gennaio del 2000 a Cozumel, in Messico, Pipín Ferreras raggiunge l’incredibile profondità di -162 metri. Poco prima, Umberto Pellizzari l’aveva detronizzato raggiungendo -150 metri.
La sfida non si placa: Pipín, sempre con l’appoggio di Audrey, che è diventata sua moglie, continua a tentare di migliorare le sue prestazioni con l’aiuto della strumentazione più all’avanguardia: quanto si può scendere in profondità senza mandare il metabolismo in black out? Lo sforzo fisiologico è tenuto sotto controllo da misurazioni biomediche e strumenti avanzati che monitorano l’organismo quattro volte al secondo. È tempo di tentare di raggiungere la quota -164 metri. Ferreras ha 38 anni, una squadra affiatata, sponsor, una moglie appassionata. È motivatissimo ma non ce la fa: sviene al termine della risalita, resta incosciente per più di un minuto. Si chiama “sincope delle acque di superficie” ed è il nemico della riemersione. Per le regole dell’Aida, Federazione Internazionale di Apnea – con cui Pipín si è già scontrato, arrivando a fondare una sua associazione di free divers, la Iafd -, il black out dopo la riemersione rende nullo qualsiasi risultato. Ferreras si prende un periodo di pausa.
Nasce una star
Pipín in contemporanea allena la moglie, che sotto lo sguardo della mamma ha stabilito il record di 80 metri per la nazionale francese.
È il 1998, è nata una stella, ma nell’oceano non è l’unica: Tanya Streeter il 6 maggio alle Grand Cayman con un solo respiro si prende il primo record mondiale femminile: in 3 minuti scende di 113 metri. Bionda, occhi chiari, vincente in uno sport estremo, attrae sponsor. Il no limits free diving diventa sexy. Pipín spinge Audrey a raccogliere il guanto e nel maggio 2000 organizza alle Canarie una spedizione per battere il record della Streeter. C’è anche un elicottero a riprendere il tutto dall’alto. Audrey scende di 125 metri: quando risale ha un piccolo black out.
Il 17 agosto del 2002 Tanya Streeter alle Caucas Islands batte il record maschile e femminile: con un solo respiro si prende 160 metri in tre minuti e mezzo. Lungo il tragitto ci sono 17 sub che osserveranno la discesa della slitta e la risalita. Tanya racconterà che ogni metro è dolorosissimo. Deve addirittura stoppare la slitta a 1 metro e dieci perché non riesce a decomprimere. Dal nervoso e dall’eccessiva aerazione ai polmoni, era svenuta poco prima di scendere, ma il black out pre-immersione al tempo non è invalidante per la federazione. Chiede al giudice il permesso d’immergersi: il permesso è accordato. Il record no limits è conquistato per la categoria sia maschile che femminile.
Sei settimane dopo, il 29 settembre 2002, la squadra di Pipín parte per la Repubblica Domenicana. Vuole far scendere Audrey a -161. In allenamento la francese scende a -170: dovrà solo rifarlo, e possibilmente meglio. Il giorno prescelto l’atmosfera del team è tesa: pettegolezzi di una gravidanza, rumors di un imminente divorzio, frizioni tra i coniugi Ferreras, si sommano ai capricci del cielo che si esprime con un gran temporale. Poi, la schiarita. Audrey rimane molto in silenzio, in disparte, concentrata. Contrariamente ai 17 sub di sicurezza di Tanya, Audrey ne avrà solo due: Eduardo “Wiky” Orjales a -80 metri e Pascal Bernabé a 172, con un gap di 130 metri. Qualcuno chiede se le bombole per la risalita della slitta sono piene; qualcun altro risponde affermativamente. Il catamarano va al largo, i sub si posizionano, si fanno gli ultimi controlli mentre Audrey si riempie i polmoni d’aria. Un bacio in acqua a Pipín e con l’ultimo respiro Audrey svanisce nel blu.
Scende fino a -171 metri, niente è sbagliato, è fatta, ma quando sblocca l’aria della borsa che la farà risalire, la sirenetta francese rimane lì. È Pascal a immetterle l’aria con le bombole, ma l’ascesa è troppo lenta, passa più di un minuto affinché l’altro sub a -80 metri la veda. Da sopra i membri della spedizione scrutano l’acqua; poi Pipín comincia a urlare. Non ha indosso le bombole, che cerca frenetico. A 124 metri Audrey si è staccata dal filo e fluttua come una foglia. La sacca torna in superficie. Sola. Pascal sta facendo decompressione a -90; Pipín le strappa Audrey dalle mani, comincia a risalire velocissimo, mettendo a rischio la sua stessa vita, per cercare di salvare quella della moglie. Quando emergono, sono passati 8 minuti e 30 secondi da quell’ultimo bacio: Audrey è supina sulla superficie e bolle rosa escono dalla sua bocca e dal naso. C’è polso: la issano a bordo e chiamano il dottore di bordo della spedizione che risulta essere un dentista. Non c’è strumentazione di soccorso adatta. Il tempo di tornare a riva, sbarcare in barella, trovare un mezzo di soccorso e arrivare in infermeria è sufficiente per dichiararne il decesso. Francisco Pipín Ferreras è al centro di un uragano di accuse, che risuonano e poi esplodono su internet. La polizia interroga a lungo la sua squadra.
Audrey ha una cerimonia privata e il 12 ottobre 2002 Pipín getta le sue ceneri nel mar delle Antille, là in quell’oceano di cui si sentiva parte e da cui veniamo tutti, dove la vita cominciò 3 miliardi e 700 milioni di anni fa.
La sirena
Non vi è chiarezza in quelle profondità. Pipín definì la vicenda «un tragico errore di squadra». Sedici giorni dopo il report della Federazione riassumerà le cause accidentali della morte in quanto «non è dato individuare un’unica causa dell’incidente di Audrey Mestre. Molti fattori hanno contribuito al suo verificarsi e forse se anche solo uno di questi fosse stato diverso, l’immersione non sarebbe terminata in tragedia come è accaduto». Un giornalista dell’ESPN, Gary Smith, scriverà un articolo che darà nuova risonanza a quell’amore blu: “Deadly Dive”, il “tuffo mortale”, attira l’attenzione del regista hollywoodiano James Cameron, grande appassionato di apnea, immersioni e del mondo sottomarino, che ha più volte mostrato nei suoi film.
La corsa agli abissi aveva già affascinato il mondo del cinema. Dopo aver messo piede nello spazio, l’uomo si era infatti rivolto alla conquista del blu. Negli anni Settanta l’Italia aveva Maiorca (che Pipín incontra a Milazzo, rimanendone affascinato), la Francia Mayol: Luc Besson girerà anni dopo Le Grand Bleu. Con l’interesse del regista di Titanic, Ferreras è nuovamente sotto la luce dei riflettori. Il 10 ottobre 2003 in una conferenza stampa è annunciato il film che il regista girerà sulla vita della coppia. Pipín accetta, a un anno dalla morte della moglie, di tentare di rompere il record che inseguirono tragicamente. A Cabo San Lucas, dove si conobbero. Carlos Serra, ex partner di Pipín, quasi un fratello, a lungo a capo della Iafd, si dissocia. Dichiara all’ESPN che Pipín non è un uomo ma un personaggio, «scritto, diretto e interpretato da Pipín». Tre anni dopo scriverà un libro in cui spiega le ragioni per cui la morte di Audrey non si può considerare accidentale. Ma intanto con l’anniversario della morte della moglie Pipín è alla ricerca di un altro record. Ad assistere, oltre a James Cameron, anche Salma Hayek, che spera in un casting. I coniugi Mestre, genitori di Audrey, hanno preferito non vederlo dal vivo ma restano in casa accanto al telefono in attesa di notizie: la madre consegnerà un toccante racconto di quel giorno sul sito della figlia. L’impresa è un successo: -170 metri in 2 minuti e 39 secondi. Pipín telefona raggiante ai coniugi Mestre, che riceveranno congratulazioni da tutto il mondo, poi se ne torna a casa da Boo e Adyss, i suoi due rottweiler.
Poi Francisco Pipín Ferreras si ritira dalle competizioni, vive a Miami, promuove fotografie e vive di sponsor. Dopo dieci anni il record femminile di Tanya regge ancora. E la fame di record del cubano è più viva che mai: nel maggio 2014 ha annunciato, a 51 anni, di voler battere il record “no limits” di Herbert Nitsch, -244 metri. Per batterlo sta studiando con una squadra di scienziati ed esperti di medicina. Per una buona preparazione, Ferreras ha annunciato sul web che dovrà tenere il respiro per cinque volte consecutive in 30 minuti e scendere ad almeno oltre 100 metri. Vuole dimostrarlo in streaming. A una giornalista del Miami Herald ha dichiarato «non sono pazzo, non è una competizione ma un esperimento scientifico». Sarà. O sarà forse quella ricerca di blu, di giovinezza, di fascino per quel confine indefinito tra ciò che appare umanamente possibile da ciò che sembrerebbe non esserlo. L’inseguimento di una chimera, non leone capra e drago ma pesce pinguino e donna. Quasi una sirena. Magari di nome Audrey.
«…Sai cosa bisogna fare per vivere nel mondo delle sirene? Devi scendere in fondo al mare, molto lontano, così lontano che il blu non esiste più, laddove il cielo non è che un ricordo. E quando sei là, nel silenzio, ti fermi, e se decidi che vuoi morire per loro e restare con loro per l’eternità, allora le sirene vengono verso di te, a giudicare l’amore che offri. Se è sincero, se è puro, allora ti accoglieranno per sempre…» (Le Grand Bleu, 1988).
Melania Sebastiani
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