Rari Nantes Napoli
La squadra che inventò il Settebello
«Quatte segge arremeriate, nu bigliardo, nu salotto, ciento socie sfrantumate, venti scuoglie e ‘o mare a sotto». Nacque così, spartanamente, tra via Partenope e via Nazario Sauro, la società che avrebbe regalato a Napoli il suo primo scudetto in una disciplina di squadra. Nel 1905 la sua sede era poco più che una baracca, poi divenne il cuore degli sport acquatici partenopei, in primis della pallanuoto. A fondarla furono sei “cape pazze” – Cesare Cancelli, Gennaro Cangiullo, Ferdinando Olia, Carlo Cunimberti, Remo Bozza ed Ector Bayon – che ne affidarono la presidenza a Luigi Salsi. Si “facevano la guerra” in mare mentre gettavano le basi di una grande storia sportiva: nel 1927 il Circolo fu ribattezzato Rari Nantes Napoli. Avrebbe vinto cinque scudetti a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, cedendo generosamente alla Nazionale italiana di pallanuoto quel soprannome che è oggi il suo marchio di qualità: Settebello.
Una brillante trovata
Fu un calciatore del Naples F.C. a lanciare il primo sasso nello stagno. Era un pallone, e i nuotatori della Rari Nantes, che nel frattempo avevano assunto i colori biancocelesti, iniziarono a cimentarsi in quello sport che gli inglesi chiamavano water polo e che in Italia faticava a prender piede (i primi due tornei organizzati dalla Federazione nazionale furono vinti dalla R.N. Roma per mancanza di avversari). Quando arrivò il pallanuotista ungherese Bandy Zolyomy, il salto di qualità fu servito.
Il primo alloro giunse una mattina del settembre 1939: la Rari Nantes Napoli, dopo due stagioni consecutive dietro il colosso toscano della Florentia, strappò il primato ai liguri del Cavagnaro. Sette vittorie su sette, grazie a una squadra formidabile composta, oltre che dallo stesso Zolyomy, allenatore-giocatore, da Pasquale Buonocore, Emilio Bulgarelli, Gildo Arena, Giovanni de Silva, Enrico Fortunati e Mimì Grimaldi. I primi tre avrebbero trionfato con la maglia azzurra nelle piscine di Londra 1948; l’ultimo avrebbe fatto arrivare in Nazionale una delle sue brillanti trovate.
Mimì era il matador del gruppo. Baffetti corti, aria da guascone. Fu lui a coniare nel 1937 la definizione di Settebello, ripescando nel corso di una partita a carte un episodio galante di pochi mesi prima.
I giovanotti della Rari Nantes stavano tornando a Napoli da una trasferta in Versilia, quando sul treno salì un gruppo di ragazze tedesche. Mimì, che davanti al mare di Santa Lucia aveva imparato l’arte dell’ “acchiappanza”, provò ad abbordare anche loro, forte di qualche parola tedesca afferrata l’anno prima ai Giochi Olimpici di Berlino, cui aveva partecipato da spettatore. «Wir sind sieben schon», «Siamo sette belli», aveva detto un po’ spavaldo. Poco conta che le ragazze avessero ceduto solo di fronte alla prestanza di Bulgarelli, il terzino della squadra.
Quando tempo dopo gioca a scopa col socio Pasquale Cangiullo, che rivendica per sé il Settebello, Mimì glielo ricorda ironizzando: «E no, tu non hai preso il Settebello, il Settebello siamo noi».
Da Napoli a Londra
Quel nome finisce anche sul Littoriale, il giornale di regime, che celebra così lo scudetto del 1939: «La vittoria del “sette bello” premia una squadra ed una società che da anni inseguivano il primato con inesausta passione sino a giungere all’ambito successo». E poi sulla bocca del radiocronista Nicolò Carosio, che commentando alla radio le performance degli azzurri durante l’Olimpiade di Londra prenderà alla lettera il suggerimento di Arena: «Ci chiami Settebello».
Carosio prende in prestito pure un altro nome, affibbiandolo proprio a Gildo, che diventa il Meazza delle piscine. È il pallanuotista scoperto da Zolyomy, quello «che stava a galla come un sughero», la star degli azzurri. Nella Rari Nantes aveva inventato la beduina, l’equivalente della rovesciata calcistica. A Londra sigla 11 gol, di cui l’ultimo, il decisivo, contro l’Olanda in finale.
Ma in quell’occasione si distingue anche Buonocore – lo Zamora della pallanuoto, secondo la definizione dello stesso Carosio – , parando a Rudy Van Feggelen un rigore, lui che l’anno prima, per partecipare con gli azzurri agli Europei di Montecarlo, poi vinti, aveva dovuto rinunciare a un mese di stipendio. Al rientro a Napoli dalla trasferta monegasca, la sua ditta si era infatti rifiutata di retribuirgli il permesso richiesto; lui allora per racimolare un po’ di soldi aveva provato a vendere la medaglia d’oro appena conquistata, salvo scoprire che ciò che luccicava in realtà era… vermeil!
Vittorie e mondanità
Intanto la Rari Nantes vince altri quattro campionati (1941, 1942, 1949, 1950) e la terrazza sul mare di Santa Lucia diventa un salotto mondano: memorabili negli anni Cinquanta le partite a poker di Fārūq I d’Egitto, che a Napoli trascorse parte del suo esilio, e del regista Vittorio De Sica, entrambi incalliti giocatori.
Arrivò anche il momento degli addii: su tutti, quello dolorosissimo di Gildo Arena, che passò alla società rivale della Canottieri Napoli per una Fiat Cinquecento. Gli altri si cimentarono in carriere più ambiziose. De Silva, per esempio, divenne il più giovane prefetto d’Italia.
Oggi il primo Settebello della storia non è che una fotografia sbiadita datata 1939: sette campioni con il sole a picco sui corpi abbronzati e bagnati dall’acqua, col sorriso cameratesco e quel pizzico di compiacimento di chi è appena diventato l’orgoglio di Napoli. “Cape pazze” anche loro.
Graziana Urso
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Fonti
http://www.napolistyle.it/notizia/695/sport/il-pallone-del-primo-scudetto-napoletano-galleggiava-75-anni-fa-nasceva-il-leggendario-settebello-e-gildo-arena-inventava-la-beduina.html
http://www.lisolaweb.com/alla-rari-nantes-la-pallanuoto-divenne-settebello/
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