Mexico 1968

Mexico 68 (elaborazione originale)

Mexico 68 (elaborazione originale)

 

Giochi di record, Giochi di sangue

[podcast disponibile in fondo alla pagina]

Città del Messico, sabato 12 ottobre 1968. Sono passati solo dieci giorni dalla strage di Piazza delle Tre Culture, dove esercito e polizia hanno massacrato centinaia di studenti che manifestavano pacificamente. Dieci giorni surreali, che hanno lasciato il mondo allibito ed incredulo. Nel torrido pomeriggio d’inizio autunno Queta Basilio Sotero, velocista di Mexicali, accende il tripode dello Stadio Olimpico. Resterà acceso per tutta la durata dei XIX Giochi dell’Era Moderna. L’orrore lascia il posto allo sport, giusto o no che sia.

la repressione in Piazza delle Tre Culture

la repressione in Piazza delle Tre Culture

 

In piscina gli USA, oltre a ventuno ori, incassano anche qualche grossa delusione. Don Schollander, eroe di Tōkyō, e Mark Spitz, considerato il suo erede, non vincono alcuna gara singola, nonostante i pronostici. Le due distanze più prestigiose, i 100 m e i 200 m sl, se li aggiudica infatti l’australiano Mike Wenden. Al termine delle gare il vero fenomeno risulta però Roland Matthes, un tedesco orientale che inizia un periodo di assoluto dominio nel dorso.

La protesta di John Carlos e Tommie Smith

Sul ring, nasce la stella di George Foreman. L’americano travolge tutti gli avversari, compreso Giorgio Bambini che pure gli tiene testa per due round. In finale Foreman vince facilmente sul sovietico Jonas Čepulis. È l’inizio di una grande carriera che si arresterà solo davanti al Più Grande, Muhammad Ali.

I veri fuochi d’artificio si accendono però sulla pista d’atletica. Tutto inizia il 17 ottobre, con la gara dei 200 m. Lo statunitense John Carlos esce in testa dalla curva, ma subito dopo il texano Tommie The Jet Smith opera un’accelerazione bruciante e lo sorpassa senza apparente sforzo. Smith vince con il record di 19” 83 e Carlos, imballato, viene superato anche dall’australiano Peter Norman.

 

il pugno di Carlos e Smith (© Real Clear Sports)

il pugno di Carlos e Smith (© Real Clear Sports)

 

L’eccezionale episodio sportivo passa però in secondo piano poco dopo, durante la premiazione. I due sprinter americani si presentano scalzi sul podio. Quando l’inno USA inizia a risuonare, Tommie e John abbassano il capo e alzano il pugno guantato di nero. È il saluto del Black Power, il movimento per la liberazione degli afro-americani. Con quel gesto i due portano di fronte al mondo una muta, dignitosa protesta contro le ingiustizie di cui è vittima il loro popolo. Immediatamente scoppia lo scandalo. Tra le polemiche alcune star, come Don Schollander e il discobolo Al Oerter, solidarizzano con i due connazionali.

Don Schollander (© Olympics.com)

Don Schollander (© Olympic.com)

 

Il giorno dopo la storia si ripete con il podio dei 400 m Lee Evans, oro con il record di 43” 86, Larry James e Ron Freeman ripropongono il gesto e stavolta indossano anche il basco nero delle Black Panthers, l’ala estrema del movimento. Lo spirito libertario del 1968 è entrato clamorosamente nello sport.

Anche nel salto in alto c’è aria di cambiamento, ma questa volta solo tecnico. Ai 2,22 m del primato olimpico sono rimasti in gara in tre. Il sovietico Valentin Gavrilov, lo statunitense Ed Caruthers e un estroso ventunenne dell’Oregon, Richard Fosbury. Gavrilov non passa e i due americani restano a contendersi l’oro. Sui 2,24m  entrambi sbagliano i primi due tentativi. Fosbury parte per l’ultimo salto. Dopo otto passi stacca col piede destro e inizia a salire. Quando il piede è a mezzo metro d’altezza, il corpo si avvita: le spalle passano per prime l’asticella, ricadendo verso i sacchi, mentre le gambe vengono richiamate verso l’alto per superare l’ostacolo. È l’oro olimpico per Dick, ma ciò che più conta è la nascita dello stile Fosbury, una vera rivoluzione copernicana.

Anche la gara del lungo resterà per sempre nella storia dello sport. Alle 15.45 del 18 ottobre, il newyorkese Robert Beamon prende la rincorsa per il suo primo salto di finale. Il tartan rende morbida ed elastica la sua falcata e lo stacco è millimetrico. La punta della scarpa sfiora il limite dell’asse di battuta senza toccarlo. Spinto e sorretto da un vento di 2 m/s, proprio al limite del consentito, Beamon incrocia le braccia davanti a sé e protende le gambe in avanti per sfruttare al massimo la traiettoria del salto. Poi si piega per assorbire il contraccolpo e chiudere il volo, si raggomitola su sé stesso e si arresta con due saltelli. Sul tabellone luminoso compare un impossibile 8,90 m, ben cinquantacinque centimetri più del vecchio record. Una voragine senza precedenti.

l'incredibile salto di Bob Beamon

l’incredibile salto di Bob Beamon

 

L’aria rarefatta e i materiali innovativi rendono i Giochi memorabili sul piano tecnico. Nel salto triplo, per esempio, Giuseppe Gentile migliora due volte con 17,10 m e 17,22 m il primato del mondo, per poi essere superato dal brasiliano Nélson Prudêncio con 17,27 m, e dal sovietico Viktor Saneev con 17,39 m.

Nei 100 m lo statunitense Jim Hines in 9” 95 abbatte lo storico muro dei dieci secondi e quasi altrettanto esaltanti sono i 110 ostacoli, dove il valdostano Eddy Ottoz conquista un bronzo che ha il sapore dell’oro. Nelle gare di fondo, infine, in cui viceversa l’altezza di Città del Messico si trasforma in un nemico implacabile, l’Africa inizia un dominio che dura sino ai nostri giorni.

Comunque non c’è solo l’Olimpiade delle stelle. Fuori dallo stadio e dalle piscine atleti non meno formidabili si sfidano in gare durissime e l’Italia si ritaglia uno spicchio di gloria nel canottaggio, il 19 ottobre. Primo Baran, Renzo Sambo e il timoniere Bruno Cipolla sono considerati solo outsider. Sulla laguna di Xochilmilco, il due con della DDR parte velocissimo, seguito dal nostro armo e dai campioni uscenti dell’Olanda. Ai 1.000 m gli olandesi sono già nettamente in testa e la gara sembra chiusa. A 500 m dall’arrivo, invece, gli azzurri cambiano marcia, mentre gli olimpionici di Tōkyō cedono di colpo: alla fine il margine di Baran, Sambo e Cipolla è di un’intera imbarcazione, una vera apoteosi.

Per il resto, la nostra Olimpiade non è ricca di successi. Un altro oro viene dai tuffi, con la vittoria dalla piattaforma del grandissimo Klaus Dibiasi che completa poi la sua partecipazione con l’argento dal trampolino.

L’Olimpiade insanguinata

Il ciclismo ci regala la terza vittoria. Pierfranco Vianelli, sull’ultima salita di una gara massacrante, attacca il danese Leif Mortensen che per un lungo tratto ha condotto da solo. Il ciclista nordico è stanco e Vianelli viaggia sull’onda dell’entusiasmo. Al traguardo il distacco che divide i due è di 1’ 55”, un abisso.

Vianelli sul podio

Vianelli sul podio

 

Tutto qui, anche se la sorte nega agli azzurri un altro possibile successo. Il ginnasta Franco Menichelli, olimpionico a Tōkyō, si rompe un tendine nel salto finale del corpo libero. Per qualche ora la disavventura di Franco ruba la scena della ginnastica alla star dei Giochi, Věra Čáslavská. La bionda cecoslovacca vince quattro ori e li dedica tutti alla Primavera di Praga e al suo leader Alexander Dubček, che si è invano opposto all’invasione delle truppe del Patto di Varsavia.

La XIX Olimpiade è finita. La fiamma del tripode si spegne la sera di domenica 27 ottobre 1968. I morti di Piazza delle Tre Culture possono riposare in pace, se ci riescono.
Tanto per loro non pagherà mai nessuno (testo non coincidente con quello del podcast).

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 


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