Hélène Dutrieu
La Divina
La sportiva nell’Ottocento: una figura affascinante, curiosa, originale. Può essere graziosa e casta o guerriera libertina, ma in un mondo in cui lo sport è un affaire d’hommes, rimane una squisita stranezza, come una pianta esotica in vetrina
all’Esposizione Universale.
Le donne non si mescolano agli uomini negli sport e si limitano a essere spettatrici, confinate nelle pratiche d’ordine estetico e morale. Gonne lunghe, corsetti, doveri verso la famiglia mal si combinano con allenamenti e sudore all’aria aperta. «La bicicletta rende le donne sterili», recitano le pubblicità dell’epoca.
Il 10 luglio 1877, pronta a scardinare per terra, per aria e per mare la concezione della “sportiva” ottocentesca, a Tournai, in Belgio, nasce Hélène Marguerite Dutrieu, figlia di un ufficiale dell’esercito. A quattordici anni comincia già a guadagnarsi da sola il pane per vivere, lanciandosi nell’avventuroso dinamismo delle due ruote, incoraggiata dal fratello Eugène. Pantaloni infilati nelle calze, pull e bicicletta minimale, comincia a partecipare alle corse che vengono organizzate in tutta Europa. Le gare femminili sono soltanto corse su pista.
Il “quarto di Vichy”
Quando Hélène si affaccia all’agonismo, nel 1895, molti velodromi offrono alle donne la possibilità di esprimersi. Hélène s’iscrive a tutte le gare ciclistiche della sua città natale, vince e, soprannominata “quarto di Vichy” a causa della sua piccola taglia, a sedici anni è già professionista con la squadra Simpson Lever. Pare aver raggiunto i 40 km l’ora in allenamento: all’epoca, è un ufficioso record del mondo.
È appena maggiorenne e diviene la prima stella del ciclismo. Nel 1897 e 1898 Hélène si conferma a Ostenda campionessa mondiale femminile di velocità su pista. Nel 1898 s’impone anche a livello europeo nel Grand Prix di agosto e nella corsa londinese Dei dodici giorni del mese di novembre. Il re del Belgio, Leopoldo II, le consegna la Croce di Sant’Andrea, alta onorificenza belga destinata a uomini che abbiano dato prova tangibile delle qualità sportive.
La doppia campionessa del mondo è ormai una professionista celebrata dal pubblico e dalla stampa. Soddisfatta, sposta l’entusiasmo per la velocità dalla bicicletta alla moto, con uno sguardo al mondo del teatro.
L’abilità atletica diviene spettacolarizzazione: nel 1903 la ritroviamo in un cabaret di Marsiglia con un numero aereo acrobatico. In una specie di gabbia che occupa metà palco, Hélène esegue rotazioni complete ad anello, in verticale, in sella a una motocicletta. Quasi un completamento dell’idea di sportiva del tempo: la Dutrieu è paragonabile a un moderno animale da circo, pregiato, di gran valore e per questo molto pagata. Si parla di lei anche a Londra.
Dopo poco, decide di cambiare il suo numero sopprimendo la gabbia ed effettuando una capriola in alto su se stessa per ricadere sulle ruote. Per mettere a punto le evoluzioni da stunt girl affitta un terreno a Boulogne-sur-Seine, alle porte di Parigi, e commissiona il progetto all’architetto Frossard, facendosi aiutare da un ingegnere per creare una pista adatta alle sue acrobazie. La stampa la soprannomina “la freccia umana”: riesce a saltare nel vuoto lanciandosi con la moto a tutta velocità su un piano inclinato. Altro che scimmia.
Il fascino dei motori
L’adrenalina della giovane belga, ormai adottata dalla Francia, ha bisogno di continui stimoli. Le due ruote non sembrano riuscire a soddisfarla, con o senza motore. Dal 1904 al 1907 si concentra sulle corse automobilistiche.
Nel campo pittorico e in letteratura, gli artisti cominciano a esaltare le invenzioni a motore dell’era moderna, lodano la velocità tonitruante, sono affascinati dai sempre più rapidi mezzi di trasporto: prima il treno, poi l’automobile, poi l’aereo. Hélène incarna questa fascinazione: le manca solo di gareggiare per aria.
Nell’estate del 1908, assiste a un volo di Wright e decide di diventare aviatrice.
La società Clément-Bayart con cui collabora nella sua carriera di pilota di auto, ha giusto giusto appena costruito un piccolo apparecchio volante, chiamato Demoiselle, su disegno di Santos Dumont, brasiliano pioniere dell’aviazione trasferitosi a Parigi per compiere studi di scienza e meccanica. Suo, due anni prima, il primo volo di un apparecchio più pesante dell’aria in grado di decollare autonomamente, riconosciuto ufficialmente in Europa dall’Aeroclub di Francia.
Il collaudo di Demoiselle deve ancora avvenire, c’è qualche difficoltà e c’è soprattutto la necessità di un pilota leggero. Se poi questo pilota fosse anche donna, è garanzia di pubblicità. Hélène non possiede un brevetto, non ha mai volato ma è spregiudicata e possiede una virtù rara: non pesa nemmeno cinquanta chili.
In un giorno di dicembre, un meccanico si avvicina a Hélène con qualche raccomandazione tecnica. È una pazzia, ma tutto è pronto. La Demoiselle si mette in moto, decolla, sale al cielo come una freccia e torna poco dopo precipitosamente a terra. Troppo precipitosamente. La Demoiselle è distrutta, Hélène è solo molto spaventata.
La cura migliore per guarire dalla paura di volare è continuare a volare, così la giovane belga impara a decollare, virare e atterrare senza distruggere i velivoli grazie all’allenamento con Roger Sommer e Henry Farman, due campioni della bicicletta come lei, come lei affascinati dall’aria.
Nel 1909, l’Aero Club francese cambia le leggi: non è più possibile pilotare un velivolo senza brevetto di volo, così com’è necessaria una patente di guida per condurre autovetture che vanno più veloci dei 30 km/h in aperta campagna.
Crescono le scuole di aviazione: i fratelli Wright aprono a Pau, i campioni di ciclismo Louis Blériot e Henry Farman aprono nella regione parigina. Hélène dovrebbe essere la prima donna al mondo ad avere il brevetto da pilota, ma è di nazionalità belga: l’Aero Club francese si rifiuta di concedere il brevetto a una straniera, per quanto celebre e titolata. L’8 marzo 1910 sarà Elise Deroche la prima donna a ottenere il brevetto di volo e si farà chiamare Raymonde, baronessa di Laroche.
La donna dei record
Hélène rimane la donna dei record: il 9 aprile batte il record del mondo femminile di distanza con un volo di quarantacinque chilometri tra Belfied e Bruges, compiuto in quaranta minuti. Effettua anche voli “audaci” su Parigi: gli aneddoti, tra realtà e leggenda, raccontano di ricognizioni aeree sui tetti in reggiseno.
Per qualche anno partecipa agli incontri dell’aviazione in tutta Europa. Nel corso del meeting di Odessa del 1910, però, si schianta con un passaggio basso con un biplano di proprietà di Roger Sommer. In quest’occasione lui scopre che la sua pilota collaudatrice (aveva appena costruito il biplano a cui diede il nome) non possiede alcun brevetto di volo. Il contratto con Sommer è sciolto, ma vengono fatte pressioni all’Aéro-Club francese affinché Hélène possa ufficialmente iscriversi all’esame di volo.
La portata mediatica della ragazza è infatti unica: è spesso la sola donna in mezzo a un nugolo di uomini, ed è in grado di eseguire acrobazie incomparabili. Tra le sue indimenticabili prestazioni c’è il primo volo non stop sulla campagna di Ostenda nel 1910, il primo volo al mondo di una donna sulla campagna; il record di altezza a quattrocento metri; il record di durata di all’incirca quaranta minuti; suo anche il record di distanza di quarantacinque chilometri; suo il primo volo con un passeggero, a febbraio del 1911, prima a Barcellona poi a Madrid, con un aereo Farman-Gnôme; e suo il primato di essere la prima pilota di aerei in Belgio.
Quando non basta più l’aria, aggiunge l’elemento acquatico: nel luglio 1912 è la prima donna a volare con un idrovolante. Atterra sul lago d’Enghien, nella Val d’Oise, con un Farman a motore Gnôme di cinquanta cavalli. Il 5 dicembre 1910 vince la Coppa Fémina, percorrendo sessanta chilometri e ottocento metri in un’ora e nove minuti. L’anno 1911 è tutto dedicato alle esibizioni e al sodalizio con il costruttore Maurice Farman con il fine di promuovere gli aeroplani Farman e l’aviazione in generale.
Grazie alla propria celebrità, Hélène può dettare le sue condizioni: ha un budget personale, una logistica che fa impallidire gli altri piloti, un’automobile e due meccanici a sua disposizione, una riserva di biplani e motori.
Il 5 dicembre è a Firenze a disputare la Coppa del Re, dove vince la prova di resistenza sbaragliando gli altri tredici concorrenti. Vince un’altra Coppa Fémina con un volo di duecentocinquantaquattro chilometri e ottocento metri in due ore e cinquantotto minuti.
È instancabile, non la ferma la fragilità delle macchine né la novità degli elementi, ma gareggia sempre con entusiasmo in un milieu prettamente maschile, dove la mortalità è molto elevata.
Un prestigioso riconoscimento
Il 9 gennaio del 1913, il Governo francese le accorda la Legione d’Onore: un conferimento eccezionale, tenendo conto che solitamente era riservato agli uomini e raramente agli stranieri. Il Belgio provvede a renderla ufficiale dell’Ordine di Leopoldo.
La brillante carriera di Hélène è fermata dalla Grande Guerra. Con lo scoppio del conflitto mette la sua abilità automobilistica al servizio della Croce Rossa francese, ma presto passa dal guidare l’autoambulanza ad altre funzioni. Alla fine del 1914 è il generale Gallieni in persona che la chiama per farla partecipare alle conferenze di propaganda negli Stati Uniti.
Nel 1917 torna in Francia, dove dirige l’ospedale di Val-de-Grâce fino al termine del conflitto. A guerra finita, si lancia nel giornalismo. Nel 1922, a quarantacinque anni, sposa lo scrittore e direttore di giornale Pierre Mortier, di cinque anni più giovane.
Ottiene di fatto la nazionalità francese e lavora per le riviste del marito fino alla morte di lui nel 1946, quando si ritira solo per dedicarsi, ancora una volta, alla promozione dell’aviazione in generale e all’aviazione femminile in particolare. Crea la Coppa Dutrieu-Mortier, un premio di duecentomila franchi per l’aviatrice che riesce a coprire con il suo aereo la distanza più grande senza fare scali.
Hélène Dutrieu, ormai per tutti “la Divina”, muore a Parigi il 25 giugno 1961, a ottantaquattro anni. L’era dei corsetti è lontana, l’uomo deve ancora andare sulla luna, la donna che ha sfidato i motori e gli elementi riposa comodamente nel letto.
Melania Sebastiani
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