Margaret Gast
Modista, fisioterapista, ciclista, pilota
“Donna Alfa”: l’esaltazione dei nostri tempi. È istruita, indipendente, protagonista della propria epoca; poco ideologizzata, la Donna Alfa è sessualmente libera di provare piacere, esprimere opinioni, perseguire la parità sul lavoro e molto determinata a raggiungere posti chiave nel mondo della politica, della finanza, della scienza e nello sport.
Non è un’invenzione moderna: è sempre stata rara.
Ma c’è sempre stata.
Margaret Gast fu una di queste pioniere. La sua vita è disseminata da avventure, aneddoti, depistaggi e bugie, come si conviene alle grandi. Ha studiato musica in un Conservatorio a Monaco di Baviera? Il padre era pompiere? Capo pompiere? Ha avuto una relazione con il suo allenatore? Emigra con il fratello? Sola con quattro ragazze? Chissà.
Gli articoli di giornale e le lettere rimangono là, preziosa eredità ai nipoti, a testimoniare una vita da romanzo vissuta in punta di pedale.
La vita, tra realtà e leggenda
Siamo in Baviera, in un piccolo villaggio. La Germania è un impero. È arrivata l’industrializzazione e in ritardo la nazione sta partecipando alla corsa coloniale. Gli uomini votano, le donne no. Ma non restiamo in Baviera a lungo.
Ritroviamo Margareta Nagengast sedicenne dall’altra sponda dell’oceano: emigra nel 1893 negli Stati Uniti. Forse sola, forse con il fratello, forse con altre ragazze, con cui avrebbe festeggiato il compleanno durante la traversata. Sa scrivere e per facilitare il suo inserimento nel nuovo continente si lascia ribattezzare Gast. Margaret Gast.
Pare che si sia fermata a New York, dove dapprima svolse qualche lavoretto in attesa di imparare la lingua inglese: bambinaia, insegnante di tedesco, poi modista, ciclista, motociclista, attrice, fisioterapista.
Si racconta così nel 1957: «Mi chiamavano The Little Dutchy, la piccolo tedeschina. Quando sono arrivata a New York a sedici anni c’erano molti club ciclistici, per uomini e donne. Quelli della Vanderbilt crearono un circuito per la nuova automobile: 25 miglia che venivano usate per l’allenamento sia in bicicletta che per le auto».
È il periodo della moda della lunga distanza. E dei record su lunga distanza. Del trionfo delle due ruote.
Jane Lindsay è la detentrice del primato su 1000 miglia (1609 km): nel 1900 impiega 164 ore e 40 minuti a percorrerle. È la rottura di una serie di primati che hanno appassionato le cronache e di cui oggi non resta che, nei casi più fortunati, una foto sbiadita o il titolo di un giornale.
«Ho dichiarato di avere 18 anni per competere». La “piccola tedeschina” ha un primato da battere.
Solo un assaggio prima di farsi conoscere nell’ambiente dell’endurance di ciclismo e intraprendere una brillante carriera come pilota di moto.
I primati della bicicletta
Non è una cosa comune: Henry John Lawson ha dato al velocipede la forma che attribuiamo oggi alla bicicletta nemmeno vent’anni prima, in Inghilterra. E lo sport è disciplina prettamente maschile, le competizioni femminili, di qualsiasi disciplina, sono considerate a parità di uno spettacolo di saltimbanchi.
In Italia dal 1883 a Torino esce la bisettimanale «Rivista Velocipedistica». Un anno dopo l’arrivo della tedesca in America, sul numero 326 del 23-26 ottobre 1894, appare il seguente trafiletto, con titolo “Una nuova accusa”:
«Il velocipedismo femminino è in pieno trionfo. Un trionfo ottenuto a prezzo di grandi battaglie contro i pregiudizi e la moda. I pregiudizi una volta vinti non ritornano più, massime quando chi li debella è la moda. La moda passa, ma il velocipedismo femminile rimarrà negli usi. Gl’inventori non riposano e presto metteranno in commercio delle selle speciali munite di tutti i perfezionamenti, perché le signore possano liberamente pedalare senza tema di ledere nessun organo anche delicatissimo. Del resto è destino che tutte le cose belle e buone si adoperino anche a cattivi fini. Il bicicletto che è fonte incontestata di salute e vita, può bene anche, usato in certi casi, originare infermità e morte. Non per nulla gli uomini sono dotati da madre natura d’una testa per ragionare!».
Cesare Lombroso in un trattato del 1900 uscito su La Nuova Antologia collega la bicicletta alla delinquenza. Ne “Il ciclismo nel delitto” scrive che «è il veicolo più rapido sulla via della delinquenza, perché la passione del pedale trascina al furto, alla truffa, alla grassazione».
Alla generale avversione per la bicicletta, che si manifesta in tutti i paesi, si accompagna una mentalità vittoriana: comportamenti e status leciti e illeciti, morale stretta e rigida definizione dei ruoli. Margaret Gast sin dalla decisione di inseguire tale record saluta la morale puritana e si getta senza risparmiarsi nel mondo delle corse in bicicletta (beninteso, già a partecipazione mista, ufficialmente sin dal 1869, con la Parigi Rouen, cui parteciparono cinque signorine, sotto pseudonimo).
Quando nel 1893 nasce l’UCI prende il ciclismo femminile sotto la sua ala. La bicicletta è simbolo di progresso, dinamismo, competizione. A quel tempo le corse su pista femminili si svolgono tra un siparietto di music hall e una pièce teatrale, dando enfasi alle acrobazie più che al gesto sportivo. Vi sono tracce della partecipazione di Margaret Gast a corse di sei giorni organizzate al Madison Square Garden a partire dal 1896, ma queste gare non corrispondono alle maratone di oggi, non duravano in realtà che qualche ora al giorno. Considerate come spettacoli, non vi è un archivio che permetta di raccontarle.
Il mondo dell’endurance del tempo è epico, caratterizzato dall’assenza di regole e una farmacopea aleatoria. Si dorme poco, dove capita, si arraffano polli, si rubacchia qualche frutto lungo la via,.. si sposa con tentativi folli, talvolta inutili, che mirano a sottolineare il sovrumano dell’individuo.
Sempre mescolando realtà e menzogna, Margaret Gast dichiara di prepararsi a battere il record in cinque settimane, ripetendo tre o quattro volte un percorso di 25 miglia (40,230 Km) sia la mattina che il pomeriggio. Se fosse vero quanto dichiarato, Little Dutchy avrebbe percorso 100 miglia al mattino e 100 al pomeriggio, ovvero 321,87 km al giorno.
Qualunque fosse la sua effettiva tabella preparatoria, fu efficace: sulla rotta di Long Island, Margaret Gast dismette la gonna, si infila i pantaloni a sbuffo e nel giugno del 1900 percorre in bicicletta 1000 miglia in 120 ore, migliorando il record di Jane Lindsay.
È un successo mediatico senza precedenti: il New York Herald Tribune le dedica una pagina intera. La Lindsay non ci sta a vedersi rubare il titolo, si rimette in sella e stavolta stabilisce un nuovo record su 1500 miglia. Nel mese di ottobre Margaret risponde migliorando di due ore il tempo della Lindsay e va oltre, puntando alle 2000 miglia. È un’impresa formidabile che fa vacillare il record di Will Brown, campione di ultra endurance che è ormai divenuto manager della Gast. I giornali lasciano intendere una relazione amorosa, ma il nipote di Margaret, John Nagengast, che ha raccolto l’eredità della prozia e l’ha condivisa nel sito http://www.nagengast.org/nagengast/Gast, sembra mettere il pettegolezzo in quella sfera di bugie che Margaret lasciava trapelare nelle interviste.
«L’ho conosciuta che era già anziana, nella casa di riposo – racconta a Storie di Sport il signor Nagengast – permeata da un’aura di mistero che era intenzionata a mantenere».
Will Brown per la sua impresa poteva contare su un’intera armata: un triciclo, due tandem, 23 gregari tra cui la Lindsay e la Gast stesse. Un piccolo universo che si conosceva e che si emulava in una ricerca continua di miglioramento.
Margaret batte il record di Will: come riportato dal New York Times il 15 ottobre 1900, percorre la distanza di 2000 miglia (3218km) in 222 ore e 5 minuti e mezzo, contro le 225 ore e sei minuti di Brown. Impiega nove giorni, per una media percorsa di 350 km al giorno. «Se la signorina Gast si sentirà sufficientemente in forza», prosegue l’articolo «seguirà per altre 1000 miglia».
Il 16 ottobre la giovane bavarese si rimette in sella. Stando a un articolo del New York Times del 19 ottobre punta a correre 5000 miglia (8045 km), per abbattere il record stabilito nel luglio precedente da una certa Emma Bayne. Vorrebbe mantenere il ritmo giornaliero. Tutto fa pensare che possa farcela, quando nella contea di Nassau viene fermata dalle forze dell’ordine e obbligata a fermarsi. Ha percorso 2582 miglia e non ha alcuna intenzione di fermarsi. Viene arrestata in quanto il procuratore di Nassau ritiene che lo spettacolo di questa donna per le vie pubbliche sia “sconveniente, immorale e illegale”.
Negozia l’autorizzazione per arrivare almeno alle 2600 miglia, ma le viene interdetto di procedere oltre. Chiude con 2600 miglia percorse in dodici giorni, 8 ore e 55 minuti. Con una media di 16 ore al giorno in sella.
La motocicletta
Margaret cavalca e monetizza la propria fama, partecipando a spettacoli su due ruote in tour per Stati Uniti e Canada. E con l’avvento dei motori, sceglie la forma di competizione più pericolosa, rimanendo fedele alle due ruote. La passione per le lunghe distanze lascia il posto alla passione per la velocità e alle sensazioni che la moto suscita.
Si specializza nelle fiere in numeri pericolosissimi, portandosi dietro le piste smontabili. È la prima “mile-a-minute-girl”: la prima ragazza a percorrere un miglio al minuto.
La chiamano a esibirsi in Canada in occasione della visita del Principe del Galles al Dominion Park di Montreal.
Se dobbiamo credere alle interviste rilasciate in età adulta da Margaret, il fascino dei motori è inferiore a quello del velocipede. Il nipote John Nagengast conferma che fino alla fine, nelle lettere scriverà sempre agli amici del suo periodo in bicicletta, avanzando le speranze di vedersi riconoscere i propri risultati e la disciplina femminile. «È ciò che ha veramente amato», riporta John Nagengast.
Seppur con meno spensieratezza, continua a correre nei motodromi, dove resta a lungo, malgrado gli incidenti anche gravi. In un’intervista al Poughkeepsie Sunday New Yorker ricorda: «Ho concluso il numero più di una volta venendo portata via in ambulanza. Il mio peggior incidente fu a West Palm Beach: mi credettero morta e il giorno dopo lessi sui giornali che la “Mile-a-minute-girl” era morta».
La Gast guida principalmente una Flying Merkel, di cui, stando a quanto dichiarato nel 1914 al Motor Cycle Illustrated, è lei stessa il meccanico, in grado di smontarla e rimontarla autonomamente.
Guida senza paura anche l’automobile ma quando decide di interrompere gli show, spaventata dalle morti dei membri della sua troupe nel 1920, apre uno studio fisioterapico chiamato Dutchess Inn a Pawling, New York. Qui lavorerà come massaggiatrice fino agli 84 anni, scrivendo e recitando di tanto in tanto in qualche pièces teatrale.
L’impegno e la fine
La bavarese aderisce alla causa femminista, che è parte integrante della vita di Margaret: nel 1912 è madrina di una vendita per la raccolta fondi e negli anni Cinquanta accetta di posare come casalinga per una cartolina e rivista femminista. Ovviamente vicino a una bici.
Muore a 90 anni, ancora con vista buona e fisico forte.
Il suo nome verrà inserito nella Bicycling Hall of Fame degli Stati Uniti soltanto nel 1993.
Il numero di donne con i pantaloni a sbuffo in sella a una bicicletta è cresciuto, ha regalato alle cittadine del mondo nuovi spazi e nuove possibilità. In Italia ancora oggi il nome Alfonsina Strada è sinonimo di coraggio e libertà.
Ad oggi sono passati 69 anni dalla pubblicazione de “Il Secondo Sesso” di Simone de Beauvoir, ma le Donne Alfa hanno ancora molto da pedalare per prendersi il proprio posto nel mondo della politica, della finanza, della scienza e nello sport.
Melania Sebastiani
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