Guida al Buio
Dal Record alla realtà
Il 29 maggio 2015 Daniele Cassioli e Omar Frigerio hanno siglato un record unico nella storia, sul circuito di Castelletto di Branduzzo (PV). Grazie agli occhi di Omar, Daniele Cassioli, plurititolato campione non vedente di sci nautico, è riuscito a compiere un’impresa straordinaria: effettuare un giro completo di pista in due minuti e quindici secondi alla media di 50,66 chilometri orari. Dopo oltre otto mesi di duro allenamento, Daniele e Omar hanno coronato il loro sogno, convalidando il Guinness World Record; ma la loro sfida non si ferma qui. Il record non è stato altro che un punto di partenza per lanciare un altro straordinario progetto: una Guida al Buio che potesse dare a tutti la possibilità di sperimentare le emozioni provate da Daniele e Omar nel corso della loro epica impresa.
L’idea è nata dalla personalissima esperienza di Omar Frigerio, istruttore di guida e drifting, che per la prima volta nella sua vita si è trovato nella situazione di dare lezioni di guida a un non vedente. Per prepararsi adeguatamente alle difficoltà del caso, Omar si è dovuto mettere nei panni di Daniele, sperimentando sulla propria pelle il significato di una guida al buio.
La sensazione è stata subito fortissima e ha spinto Omar a pensare di poter allargare questa opportunità anche ad altri, a chiunque volesse mettersi in gioco, in tutta sicurezza, per provare il brivido di guidare un’auto privato dell’uso della vista.
Da qui ha avuto origine un progetto che si propone di sensibilizzare le persone sul tema della disabilità -e non solo, intende inoltre fornire gli strumenti per conoscere le capacità più inesplorate della mente umana. Ma qual è il vero significato di una Guida al Buio? Ognuno poi lo scoprirà da sé; noi, per ora, possiamo raccontarvi la nostra esperienza.
L’esperienza di una Guida al Buio
Pensate alla velocità. Nessuno ci presta mai troppa attenzione al volante; si ha il pensiero fisso della destinazione, dell’arrivo, e spesso la velocità si regola di conseguenza, guardando sempre avanti, di fretta. Il movimento si percepisce con un’intensità unica ad occhi chiusi, è come se ti attraversasse: il corpo rimane inerte nello spazio, sbilanciato da spinte opposte che non si capisce da dove arrivino né dove ti porteranno. Questo è l’effetto di una guida al buio: viene meno il significato proprio del verbo “guidare”, perché in questo caso è il corpo ad essere guidato. Si ha una perdita completa di punti di riferimento e la sensazione esatta è quella di correre nello spazio.
Per un attimo sembra di essere fuori dal mondo. È come se venisse completamente annullata la percezione del tempo; perché, quando si è privati dell’uso di un senso, tutti gli sforzi, tutta la concentrazione sono impegnati a compensarlo concentrandosi unicamente sul “qui” ed “ora”, annullando automaticamente tutto il resto. Un automobilista al volante è abituato ad avere il controllo della vettura, ha l’assoluta consapevolezza che, una volta avviato il motore, ogni singolo movimento della macchina dipenderà da lui. Ecco, sperimentare una guida al buio significa provare il più completo disorientamento e questa è una faccenda seria, molto seria, soprattutto per noi che viviamo in un’epoca che ha fatto del controllo un modo di vivere. Una volta indossata quella mascherina oscurata -con l’ordine preciso di non toglierla né sollevarla neppure per un istante- si precipita nel buio più assoluto e ci si accorge che è scuro, troppo scuro. Muoversi nell’oscurità fa uno strano effetto, d’improvviso si ha paura di tutto e non si riesce ad essere completamente se stessi: i passi sono piccoli, esitanti, i gesti impacciati. Ora, immaginate di salire a bordo di un veicolo in queste condizioni. Trovare la maniglia della portiera è già un’impresa. Le mani toccano, tastano disperatamente ogni sporgenza in cerca di un appiglio, di sicurezza. La sicurezza si trova nel contatto con il volante, con i pedali, che sono esattamente al loro posto, proprio dove devono essere. Una volta avute queste conferme, si ritrova qualche certezza. Si inizia a vedere la realtà con gli occhi della mente, che non vuole accettare il buio.
Poi, con la velocità, tutto cambia. L’auto ha un sobbalzo e il nostro corpo si sbilancia in avanti, si irrigidisce: com’è strano avvertire il movimento con così tanta violenza. Ѐ allora, quando la macchina inizia a muoversi, che si comprende, con la più assoluta consapevolezza, di non avere più il controllo.
Siamo in movimento, ma non abbiamo la più pallida idea di dove andare; sembra di fluttuare nello spazio. Il corpo impara a non bastare a se stesso: le mani possono essere salde sul volante, il piede premuto sul freno, ma tutta la concentrazione è rivolta al suono di una voce che ci dia una direzione. Ed è incredibile con quale rapidità il nostro cervello assimili i comandi dati dalla voce dell’istruttore. Ripenso alle mie prime lezioni di Scuola Guida, quando mi veniva sempre rimproverato di fare troppo di testa mia, di non ascoltare le istruzioni. In questo caso, guidando al buio, viene spontaneo appigliarsi ad una voce esterna con una fiducia incondizionata. Non vedere ci educa all’ascolto e, in questo modo, anche all’umiltà: riconosciamo di essere imperfetti, incompleti e, per quanto questo ci getti nel più totale disorientamento, può anche aiutarci a comprendere che non tutto nella vita è sottoposto al nostro controllo. Guidare al buio non è solo un modo per mettersi nei panni di una persona non vedente, ma è anche un viaggio all’interno di noi stessi. Ci insegna ad affrontare i nostri limiti e a superarli. Ci dimostra che non siamo invincibili e che di buio c’è n’è tanto -e fitto- anche nella vita di tutti i giorni, solo che abbiamo imparato a non vederlo.
D’un tratto premere il piede sull’acceleratore assume un altro significato; la nostra mente inizia a dare un peso alla velocità, subisce la sua vertigine e non riesce a regolarla. Anche la più piccola accelerazione ad occhi chiusi sembra condurci lontano, il più lontano possibile. Ѐ una sensazione strana per chi è abituato ad autogestirsi: la memoria possiede tutti gli schemi conoscitivi utili a guidare un’auto e il nostro corpo è portato a farlo, eppure, in quel momento, si avverte un ostacolo insormontabile e la nuova percezione del movimento ce lo dimostra. Si avverte il contatto delle ruote con il terreno, i dislivelli, le variazioni del suolo, come se ogni parte del nostro corpo si prolungasse per poter percepire di più, sentire oltre. L’impatto di una frenata, lo squilibrio dato da un affossamento, tutti questi cambiamenti ci attraversano, come se accadessero dentro il nostro corpo e non all’esterno. Sensazioni così intense provocano un estremo senso di smarrimento. I momenti di silenzio fanno paura, una paura terribile, ad ogni pausa ci si sente portati a chiedere: «E adesso?». Si resta in attesa di un comando qualsiasi, senza sapere quale sarà e in quale momento arriverà. La voce dell’istruttore diventa indispensabile e la sua calma rassicura. L’oscurità ci permette di percepire ogni singola inflessione di quella voce, ci appare quasi una voce diversa da quella che abbiamo percepito prima, alla luce. Tutti i rumori di fondo all’improvviso assumono rilievo, come se la nostra mente, piano, iniziasse ad avvertire la presenza di una realtà diversa. Siamo abituati a vedere il mondo in una sola prospettiva, renderci conto che non è la sola possibile ci immerge in una consapevolezza del tutto nuova e straordinaria. Ѐ come se, nel tempo della guida, la nostra mente si dilatasse e prendesse le forme dello spazio.
Non si sa se si sta andando nella traiettoria giusta. All’inizio la direzione sembra essere l’unica preoccupazione, poi, col tempo, cessa di avere questa grande importanza. Le mani smettono di tastare freneticamente il volante nel tentativo di pilotarlo; semplicemente si sente la forza irresistibile della velocità e ci si abbandona alla sensazione del viaggio, anche se l’istinto, sempre presente, porta il piede inevitabilmente verso il freno.
Io proprio non riuscivo a gestirlo questo bisogno, impellente, di rallentare. Ora, a mente lucida, sono ancora più cosciente della grandezza del Guinness World Record siglato da Daniele Cassioli e Omar Frigerio. Loro hanno conosciuto la velocità allo stato puro, la velocità nella sua essenza, quando è una forza che ti attraversa e l’istinto grida di rallentare. Daniele e Omar non si sono fermati, il record l’hanno battuto. Non si è trattato di una semplice sfida; sono riusciti a diventare loro stessi velocità. Da un’impresa così unica non poteva che nascere un progetto altrettanto straordinario, che merita di essere valorizzato. Nella nostra realtà nessuno contempla neppure la possibilità di guidare un’auto al buio; si tende a considerarla con un certo scetticismo, la gente si domanda: «Perché? A che scopo?». La considerazione più comune dice che per guidare servono gli occhi. Proprio qui risiede il significato della Guida al Buio: un’esperienza del genere dimostra che per guidare la vista non è fondamentale, che è possibile “guidare nonostante”. Nel nostro mondo calcolato e perfetto sono sempre meno le situazioni che ci spingono a mettere in discussione il nostro punto di vista, sono occasioni rare e proprio per questo motivo vale la pena sfruttarle. Non possiamo dire di conoscere veramente noi stessi se prima non ci poniamo a confronto con i nostri limiti. Daniele e Omar l’hanno fatto e ora vogliono dare anche agli altri la possibilità di provare quello che loro hanno sentito. E per ciascuno sarà un’esperienza diversa.
Curiosamente si ha l’opportunità di scoprire che il buio ha molte forme, colori e dimensioni. Nella mia esperienza l’oscurità totale l’ho avvertita solo per pochissimi istanti, come se la mia mente non riuscisse ad accettarla del tutto. Mentre guidavo visualizzavo un percorso, che poi si è rivelato essere molto diverso da quello reale; immaginavo una strada di campagna, degli alberi, invece una volta tolta la mascherina mi sono ritrovata, con stupore, in mezzo all’asfalto e al cemento.
Ad un certo punto, poi, mi è accaduta una cosa strana: ho iniziato a vedere un piccolo puntino bianco. Subito, allarmata, ho domandato se fosse normale. Mi è stato risposto di sì, che la nostra vista col tempo impara ad abituarsi all’oscurità e nel buio tende a cercare la luce, finché non riesce a trovarla, anche se soltanto in un piccolo foro, appena percettibile. Ѐ un’altra delle lezioni che ho imparato e che porterò sempre con me, insieme al ricordo di quella strada di campagna che, a quanto pare, è esistita solo nella mia immaginazione.
Non dimenticherò quel piccolo puntino bianco che piano oscillava nel buio, sembrava ricordarmi quanto i miei occhi siano affamati di luce.
Alice Figini
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Per ulteriori informazioni sulla Guida al Buio rimandiamo al sito ufficiale: http://www.guidaalbuio.com/
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