Lis Hartel
L’amazzone in sedia a rotelle
Le foto dei podi olimpici meriterebbero un libro a parte. Aprono le porte del backstage della vittoria, svelando i sacrifici, le rinunce, tutto ciò che il semplice gesto del baciare la medaglia cela alla competizione ufficiale. Con risvolti umani (quasi sovrumani) e geopolitici inimmaginabili. Da Sohn Kee-chung, che con il nome di Son Kitei fu costretto a correre per il Giappone e sul podio della maratona alle Olimpiadi del 1936 è colto nel disperato tentativo di coprire il nipponico sole sul petto con la quercia tedesca vinta; allo stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani sul petto di Tommie Smith, John Carlos e Peter Norman sul podio dei 200 piani di Messico 1968, esaltato dal pugno di sfida verso il cielo dei due atleti neri; al sorriso incredulo di Steven Bradbury, nello short track di Salt Lake City, che dietro allo scandalo cela una favola…
La foto della premiazione del dressage individuale alle Olimpiadi del 1952 svoltesi a Helsinki si presenta come segue: sul gradino più alto un uomo di mezza età in uniforme militare. Alla sua destra, un altro ufficiale ripete il saluto militare. Alla sua sinistra, una giovane donna con tuba, giacca scura e pantaloni a sbuffo, di tipo jodhpurs, si asciuga una lacrima.
Il suo nome è Lis Hartel. È una civile, la prima civile a vincere una medaglia in una disciplina che fino all’edizione precedente era strettamente riservata agli ufficiali di cavalleria. Rigorosamente uomini.
In quell’estate del 1952 il dressage si apre ai contendenti civili e alle donne. Gareggiano per la Danimarca Lis Hartel, per la Germania Ida von Nagel, per la Norvegia Elsa Christophersen e per gli Stati Uniti Marjorie Haines.
L’etichetta della disciplina è sempre stata rigida: soltanto quattro anni prima, ai Giochi di Londra, la squadra svedese finì nei guai perché il sergente Gehnäll Persson, promosso tenente soltanto tre settimane prima delle Olimpiadi e vincitore dell’oro nel dressage a squadre, fu degradato due settimane dopo. La medaglia fu ritirata. La squadra squalificata.
Lis Hartel era una civile ma non era estranea alle battaglie. Quelle gambe nascoste dalla forma a sbuffo dei pantaloni sono paralizzate da sotto al ginocchio a causa della poliomielite. Il fatto di riuscire a cavalcare, in era pre-vaccinazione, era considerato esso stesso un miracolo. La performance olimpica d’argento fu un’impresa che aprì la strada non soltanto all’equitazione femminile ma anche al campo dell’ippoterapia.
Vincere la polio
Lis era soltanto una ragazza danese originaria di Hellerup che amava i cavalli. Nata il 14 marzo 1921, cominciò a praticare il dressage e il salto con gli ostacoli -che nell’edizione del 1952 è ancora prerogativa maschile- assieme alla sorella Tove. A 20 anni sposa un ragazzo del luogo, amante dei cavalli. Tre anni dopo, mentre aspetta la seconda figlia, la tragedia: un’insidiosa forma di polio la paralizza quasi completamente. Dopo aver dato alla luce la secondogenita, nata in piena salute, con l’aiuto del marito e della madre e contro la volontà dei medici, che la definirono «fortunata se riuscirà a spostarsi da sola con l’ausilio delle stampelle», intraprende un percorso di riabilitazione “autogestito” con il preciso intento di tornare a montare.
Prima occorre reimparare ad alzare il braccio, a gattonare, a spingere la sedia a rotelle, a stare dritta in piedi contro al muro, a camminare. Una graduale e lunga agonia.
Nella primavera del 1945 Lis cammina con le stampelle, ma gli arti inferiori rimarranno paralizzati sotto al ginocchio per tutta la vita. Cosce, braccia e mani rimarranno indebolite. Nonostante ciò, un anno dopo essere tornata a casa, l’appassionata amazzone riesce a tornare in sella.
Issata sulla schiena del cavallo, apprende a poco a poco a sentire il movimento dell’animale e attraverso questi risveglia i propri muscoli, guadagnando ogni giorno un po’ d’indipendenza in un ritmato ripetersi di gesti e schemi, in un’imitazione tra corpi che getta le basi della futura ippoterapia, facendo perno sugli effetti positivi che il cavallo suscita al sistema di controllo posturale del paziente.
Lis cade spesso, e anche pericolosamente, finché non capisce come trovare l’equilibrio sulla sella senza l’aiuto delle gambe.
Nel 1947, tre anni dopo l’attacco del virus, partecipa al campionato scandinavo, guadagnando il secondo posto nazionale. I punti le permetterebbero di partecipare alle Olimpiadi di Londra, ma la disciplina non ha ancora aperto alle donne. Occorreranno ancora quattro anni per rappresentare la Danimarca ai Giochi. A quel tempo, sulla scena internazionale nessuno è al corrente della condizione della Hartel, nonostante sia sempre il marito a issarla in sella. Il suo modo di montare è peculiare, un delicato spostamento di peso che fa perno sulla schiena, leggero ed elegante.
Giubilo, di nome e di fatto
Alla fine degli anni Quaranta la Hartel comincia ad allenarsi con l’allenatore danese Gunnar Andersen al Club Sportsrideklubben di Copenhagen. Monta Jubilee, una cavalla di pedigree sconosciuto che Pernille Siesbye, la figlia di Lis, in un’intervista al giornale Eurodressage definirà «non nobile né bella. Aveva un collo molto lungo e quando era giovane i suoi attributi non avrebbero fatto presagire un avvenire nel dressage. Successivamente con l’allenamento il suo aspetto migliorò, ma rimase sempre una cavalla piuttosto ordinaria. Chi la veniva a vedere nella stalla rimaneva sorpreso e spesso chiedevano se si trattasse proprio di Jubilee».
Jubilee è la cavalla delle Olimpiadi. Vince con Lis dal Prix St. Georges di Rotterdam del 1951. Jubilee si reca a Helsinki in barca, accompagnata dallo stalliere Poul Jörgensen, che non era stalliere di professione ma accompagnava la coppia sin dall’inizio degli anni Quaranta, dopo averli visti per caso.
Nell’arena di Ruskeasuo, Jubilee si comporta in modo esemplare, impeccabile, nonostante la Hartel fosse preoccupata per le difficoltà di Jubilee nel movimento del piaffe, obbligatorio nel programma olimpico.
Mentre i vincitori si recano al podio, gli spettatori, scioccati, li accompagnano con lo sguardo: Henri St. Cyr, l’ufficiale svedese vincitore della medaglia d’oro, porta la Hartel in braccio.
Non soltanto una donna raggiunge la medaglia al primo tentativo, ma è una donna con un handicap che nessuno durante la competizione aveva notato, un handicap che la rende traballante anche sulla pedana, una donna che fa visibilmente fatica a stare in piedi. Un contrasto netto rispetto all’ordinata linea dei due militari a fianco.
Tutto è pronto per la foto d’ordinanza: due ufficiali ripresi nel gesto del saluto, un’amazzone ripresa mentre si asciuga una lacrima di giubilo.
I successi di Lis e Jubilee continuano nel corso degli anni Cinquanta.
L’affiatata coppia viaggia molto, tra competizioni ed esibizioni, in armonioso unisono. Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Germania… Jubilee vince i campionati nazionali dal 1953 e il 1954 e due anni dopo vola ad Aachen, la Mecca degli sport equestri.
Nel 1956 torna l’appuntamento olimpico.
I Giochi del 1956 si tengono a Melbourne, ma a causa delle ristrette misure doganali dell’Australia, che prevedono tutt’oggi lunghi periodi di quarantena per gli animali, le competizioni equine si tengono in Europa. La Svezia si candida per ospitare le gare.
Jubilee nuovamente corre vicino a casa. A Stoccolma. Nuovamente si mostra davanti ai giudici obbediente, affidabile e vezzosa. Nonostante qualche polemica sul punteggio, che vede favorire i padroni di casa, Jubilee prova che l’impresa di Helsinki non era una favola bella ma un risultato meritato: è ancora argento, sempre dietro a St Cyr, il beniamino di casa.
«Anche se Jubilee vinse la medaglia d’argento – ricorderà in futuro Pernille Siesbye, la figlia di Lis, – fu senza dubbio la “regina di cuori” della manifestazione. Il pubblico la celebrò almeno tanto quanto l’eroe nazionale St. Cyr. La stampa definì la coppia Lis-Jubilee “bellezza del creato”, “dee dell’arte equestre”».
St. Cyr sarà per la Hartel un amichevole rivale tutta la vita.
Stoccolma sarà per Jubilee l’ultima occasione mondana. Lis intende utilizzarla per allenare le giovani promesse e mettere al mondo campioni di dressage, ma sfortunatamente Jubilee si ammala a una gamba e non potrà godersi la pensione dorata che le prospettava l’amazzone.
Lis continua, vincendo il suo ultimo campionato nazionale nel 1959.
Ma è fuori dalle competizioni che continua a prodigarsi per la disciplina, divenendo la portavoce di fondazioni per la polio, facendo cavalcare le persone con handicap sino ad inaugurare un centro di ippoterapia che colpì la comunità medica internazionale inaugurando un nuovo ramo riabilitativo.
Nel 1992, Lis è indotta nella Hall of Fame danese e nel 1994 è la prima scandinava a essere introdotta nell’International Women’s Sports Hall of Fame.
Il suo legato è ben più intangibile di una medaglia d’argento. La sua memoria è portata avanti dalla Fondazione che porta il suo nome. Associato a una sedia a rotelle, a un cavallo, a un’immensa fede nelle proprie possibilità.
Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti