Marcel Cerdan
Il re dei tre continenti
Era un pied-noir, letteralmente un “piede nero”, un francese nato in Algeria, dominio della Francia. Marcellin “Marcel” Cerdan nacque a Sidi Bel Abbes, sede della Legione Straniera, nel deserto, tra fortini militari e tramonti mozzafiato, il 22 luglio 1916, ultimo di cinque figli. Ultimo e pied-noir: non sapeva ancora quanto avrebbe dovuto combattere per farsi valere nella vita. Il pied-noir Albert Camus, quasi suo coetaneo, avrebbe scritto. Lui avrebbe fatto a pugni.
Il padre Antonio, macellaio, si crogiolava nel sogno dorato del colonialismo francese organizzando incontri di boxe. Nel 1922 accettò la proposta di gestire un locale in Marocco e trasferì la famiglia a Casablanca. Fu lì, dietro il balcone del bistrot del quartiere di Cuba, in quell’atmosfera di gran bazar, medine e Rick’s cafés che il film con Bogart renderà celebre, che Marcel cominciò gli allenamenti. All’epoca aveva sei anni, a otto concluse il suo primo combattimento. Proprio nella sala del bistrot del padre. In palio avrà un paio di espadrillas, ma avrebbe preferito il premio di consolazione, una tavoletta di cioccolato.
In realtà ciò che avrebbe veramente preferito sarebbe stato avere la libertà di poter giocare a calcio: nel deserto di Sidi Bel Abbes non perdeva occasione di correre dietro a un pallone. Ci penseranno i rivolgimenti della politica internazionale a coronare il sogno calcistico: con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Marcel fu richiamato dall’arma marocchina. Ciò significò stop agli allenamenti. Prestò servizio prima nell’artiglieria costiera della Marina, poi come piantone dello Stato Maggiore. Passò l’anno 1940 assistendo al conflitto a Casablanca, principalmente sui campi da calcio. In primavera fu selezionato dalla nazionale marocchina con una partita contro la madre Francia. Sarà l’ala destra di una squadra che ha per capitano Larbi Ben Barek, la prima “perla nera” del calcio europeo, un “piede nero” dai piedi d’oro, che già rendeva felici i tifosi dell’Olympique Marseille. Fu proprio Cerdan a servirgli la palla che chiuse la partita in pareggio: 1 a 1. Furono felici come quando da piccoli giocavano per le strade di Casablanca a piedi scalzi.
A casa dei Cerdan si faceva a pugni. Vincent, il primogenito, fu campione dell’Africa del Nord per i pesi piuma e disputerà più di cento combattimenti. Antoine, il secondo, a sua volta conquisterà il titolo e si ritirerà imbattuto. Armand, campione del Marocco nei pesi gallo, terminerà la sua promettente carriera per un infortunio avvenuto durante una partita a calcio.
Chi fosse il pugile più talentuoso, si capì dalle espadrillas.
Marcel non amava studiare, non sembrava portato a stare in sala. Il padre decise per lui, gli mise i guantoni: «sarà boxeur». Precoce e combattente in ogni centimetro di muscolo.
Amico del signor Cerdan era un parigino appassionato della nobile arte, Lucien Roupp, che attrezzò il suo garage a palestra. Fu con questi che a 17 anni Marcel passò al professionismo. Prima nei pesi mosca, poi nei welter, cominciò a battere dapprima i ragazzi che frequentavano il garage Roupp, poi gli atleti dell’Africa del nord, molti dei quali battuti per ko e alcuni molto celebri, tra cui gli algerini Omar Kouidri, che gli causerà una frattura alla mano destra che continuerà a dargli fastidio per tutta la vita, e Kid Marcel, battuto ai punti.
Jeff Dickson, il manager statunitense che rese la boxe popolare in Francia, voleva portare Marcel Cerdan a combattere nella ville lumière. Il Marocco non era abbastanza. Lo mise alla prova: organizzò per il 13 settembre 1937 un incontro a Casablanca contro Edy Rabak, conosciuto come “il Carpentiere Ceco”. Alla settima ripresa Rabak cadde ko.
Con la sconfitta del campione cecoslovacco si spalancarono le porte dei quadrati internazionali. Marcel Cerdan aveva solo 21 anni.
I suoi ganci stretti e letali, i suoi montanti corti e devastanti che fioccavano senza tregua dal tocco del gong gli valsero l’appellativo di “Bombardiere Marocchino”. Non era elegante né raffinato. Non aveva la raffinatezza di Sugar Ray Leonard né l’allure di Sugar Ray Robinson. Ricordava un rude boscaiolo al lavoro che fa cadere gli alberi sotto pesanti colpi d’ascia. Ma era un boscaiolo destinato a diventare re di Francia.
A Parigi il debutto avvenne in Salle Wagram, il santuario per affamati di gloria e di quattrini. Organizzato da Dickson. Marcel portava ancora i calzoncini cuciti dalla madre Assomption: azzurri a strisce bianche, con una medaglietta del Bambino Gesù infilata nella cintura. Quando la madre morì nel 1936, vi aggiunse una striscia nera. Al segno della croce che si faceva prima di ogni incontro, univa la preghiera: «mammina, fammi vincere».
Vinse due incontri ai punti. Dopo aver conquistato Parigi, Marcel tornò a Casablanca per sfidare Kouidri per il titolo di Campione di Francia per i pesi medi. Lo aveva già battuto due volte ma il 21 febbraio del 1938 c’erano diecimila spettatori a riempire lo stadio Philip. Kouidri resistette per dodici riprese, alla tredicesima dovette arrendersi ai colpi del Bombardiere.
Gli articoli dell’epoca riportano di strade bloccate fino a tarda notte da tifosi festanti.
Marcel era un figlio del popolo, un figlio di tutti. Un pied-noir in riscatto. Il campione di Francia.
Con la fascia di campione nazionale batté ai punti Charles Pernot e sconfisse nuovamente Rabak, che dopo esser andato al tappeto due volte perse ai punti.
Il 2 maggio 1938 ricevette a Parigi il Premio Théo-Vienne, che ricompensava il miglior pugile francese dell’anno. Qualche giorno dopo ebbe la soddisfazione di sconfiggere ai punti Anacleto Locatelli, l’italiano dai pugni veloci (e dalle tasche bucate) che era stato uno dei suoi modelli. “Cletò”, come lo chiamavano i francesi, fu sconfitto dal suo più sincero ammiratore.
Parigi aveva adottato un nuovo favorito.
E in silenzio il tout Paris lo guardò soffrire, pochi giorni dopo la vittoria contro Locatelli, al Palais de Sport. Quella sera la folla era muta. Assisteva al massacro del suo nuovo favorito, sotto i colpi accaniti ed efferati di Gustave Humery. Humery era pieno di rabbia, picchiava cattivo. Cerdan incassava a fatica. Ma al sesto round, quando soltanto un imprevisto sembrava poterlo salvare, Cerdan ritrovò le sue mosse: sinistro, destro, sinistro,… La silhouette angolosa di Humery, che fino a due minuti prima si ergeva minacciosa, finì lunga e distesa sul ring.
…Sette, otto, nove, dieci: knock-out.
Il Bombardiere dimostrò di saper incassare, ma dimostrò altresì di aver scovato sotto la cascata di colpi avversari il suo pugno più portentoso.
I successi continuarono.
Ma arrivò anche una squalifica, che rimarrà come una macchia nella carriera di Cerdan.
Era il 9 gennaio 1939. Earls Court Empress Hall, Kensington, Londra. Cerdan affrontava Harry Craster. Cerdan conduceva quando al quinto round, stando ai giudici, sferrò un colpo basso. È la sua prima sconfitta in quarantacinque incontri.
Non vi fu tempo per arrabbiarsi: c’era il titolo europeo da conquistare.
Il 20 febbraio 1939, al Velodrome d’hiver, Marcel affrontò il campione d’Europa in carica, l’italiano Saverio Turiello, che perse ai punti. Turiello non si arrese e chiese la rivincita, che fu fissata per il 3 giugno al Vigorelli di Milano. Tra le camicie nere festanti, davanti a 25mila milanesi scatenati a sostenere il connazionale, il Bombardiere di Casablanca mandò in scena la sconfitta di Turiello in quindici riprese. La folla, esaltata, portò in trionfo Cerdan e strappò il suo accappatoio blu per farne delle reliquie.
Dopo l’Europa, Marcel, sempre seguito da Roupp, sognava l’America. Ma con lo scoppio della guerra dovette cambiare i piani. Mise i guantoni per prestare aiuto alla resistenza francese, a cui donerà tutti i proventi degli incontri del 1941-42. Difese il suo titolo europeo e ottenne l’autorizzazione a recarsi negli Stati Uniti per nuovi match. Purtroppo la guerra, che nel 1942 vide l’entrata degli Stati Uniti, interrompe’ di nuovo il sogno americano.
Il 26 aprile 1942 fece la sua rentrée parigina: al Velodrome d’hiver affontò Gustave Humery, il pugile che aveva rischiato di mettere fine alla sua carriera al Palais des Sports. Il velodromo era pieno: donne con cappelli floreali e uomini con la cravatta avevano gli occhi fissi sul ring. Lo spettacolo durò dodici secondi, più i dieci che contò l’arbitro. Un destro diretto al mento mandò Humery a tappeto.
E dal tappeto all’ospedale Boucicaut.
Humery stette 36 ore in coma.
Cerdan, disperato, pregò per lui e lo vegliò parte della notte.
Humery si risvegliò, ma non salì più sul quadrato.
Cerdan subì una seconda sconfitta contro Victor Buttin ad Algeri: all’ottava ripresa Buttin si gettò a terra, gemente. L’arbitro vide un colpo basso e Cerdan fu squalificato. Si seppe qualche giorno dopo che il francese Buttin era stato operato di appendicite e non avrebbe dovuto combattere. A Cerdan non resterà che cercare una rivincita sul ring: a fine guerra lo manderà knock-out.
Marcel fu richiamato a Parigi per una sfida contro José Ferrer, “l’Aquila catalana”. Ferrer si presentò sul ring della Francia collaborazionista con una svastica cucita sull’accappatoio. Si vociferò che Hitler in persona chiamò a colloquio il pugile qualche giorno prima dell’evento per fare gli auguri e caldeggiarne la vittoria. Cronache riportano che Ferrer si presentò spavaldo sul ring, sputando al pied-noir. Fece il saluto nazista ai quattro lati del ring. Cerdan non reagì. Almeno fino all’inizio del match: mise da parte la sua tecnica di sequenze corte e ricoprì il catalano di una pioggia di pugni. A nulla valse la posizione di difesa del catalano. Per cinque riprese consecutive Ferrer andò a tappeto: alla sesta gettò la spugna. Erano passati 83 secondi dall’inizio.
Davanti a sedicimila spettatori, nella Francia occupata, il Bombardiere di Casablanca strappò il titolo di Campione Europeo dei welter al catalano Ferrer, che da due anni non perdeva un incontro. Marcel se ne andò dal palazzetto senza nemmeno prendere la borsa. Qualcuno pensò che non volle dare la mano agli organizzatori. La cintura di campione gli verrà consegnata postuma. Con Ferrer s’incontrerà anche a fine guerra, nella Plaza de Toros di Barcellona. Sarà un altro ko ma Cerdan aiuterà il catalano a trovare altri incontri.
Il 1943 fu per Cerdan l’anno dell’amore, quello ufficiale: si sposò con Marinette Lopez, che viveva a Casablanca ma la famiglia era di origine spagnola, come la mamma di Marcel. Fu anche l’anno in cui si fece conoscere negli Stati Uniti. A maggio, terminata la campagna del Nord Africa e cacciate le forze dell’Asse, gli americani organizzarono diversi incontri pugilistici. Ad agosto Cerdan sconfisse John McCoye, a settembre Koudiri, e a ottobre Larry Cisneros, che prestava servizio nella marina statunitense ed era considerato uno dei migliori pugili mondiali. Lo abbatté alla sesta ripresa. Due mesi dopo, nella rivincita, l’americano non resistette cinque riprese.
Marcel si aggiudicò il diritto di partecipare nel 1944 a due Tornei Interalleati per pugili professionisti, organizzati il primo ad Algeri e il secondo nella Roma liberata, al teatro Brancaccio, luogo di spettacoli e varietà. Per questioni di peso dovette combattere nella categoria dei medi. Gli statunitensi caddero sotto le sue bombarde: ad Algeri Sammy Drouhin fu steso in ko alla prima ripresa; Sammy Adragna all’ottava e Joe Di Martino alla seconda. A Roma Clinton Perrey fu mandato a tappeto in 59 secondi, Floyd Gibson perse ai punti e Frankie Burney alla seconda ripresa. Passò la notte in ospedale.
Intanto, gli appassionati a stelle e strisce, mafia inclusa, avevano cominciato a guardare al demolitore pied-noir.
A fine guerra Marcel tornò a Parigi: si stabilì a Montmartre, ai piedi del Sacro Cuore.
Con fatica conquistò a fine anno il titolo di Campione di Francia dei Super Welter.
Nel 1946 un primato: affrontare un incontro al Parc des Princes, che per la prima volta accoglie un ring sulla sua erba. La stampa parlò di “match del secolo”: Marcel Cerdan contro Robert Charron. Era maggio, ma in giornata si scatenò una tempesta di fine autunno. Il tempo inclemente non riuscì a bloccare gli spettatori: ben 37mila. Tutti bagnati e infreddoliti. Si contò un incasso astronomico per l’epoca: 15 milioni di franchi. Il Bombardiere di Casablanca, ferito alla mano, non offrì il degno spettacolo che tanto attendeva la folla. Vinse ai punti, con poco entusiasmo degli astanti.
Mancava l’America. Durante il suo servizio militare aveva conosciuto Joe Longman, l’uomo dalle lenti scuri con la passione per il pugilato. Era figlio spirituale di Lew Burston, ex manager teatrale votato allo sport, braccio destro di Mike Jacobs, il promoter sportivo più potente degli anni Trenta a New York, patrono del Madison Square Garden, il tempio della boxe.
«Se Cerdan batte Holman Williams, gli darò la possibilità di affrontare il vincitore che uscirà dall’incontro tra Tony Zale e Rocky Graziano».
Gigante in un’era di giganti, Cerdan nell’incontro del 7 luglio 1946 al Roland Garros mise tutta la sua forza contro il campione dei medi: batte’ il messicano Holman Williams in dieci riprese, nonostante una nuova frattura alla mano destra.
Eccolo, il passaporto per l’America.
Con la sua vittoria in tasca si recò al Club des Cinq per festeggiare. Fu il suo primo incontro con il passerotto di Parigi, Édith Piaf. Fu un assaggio della vita in rosa.
Burton gli organizzò un incontro al Madison Square Garden contro Georgie Adams, sparring di Sugar Ray Robinson e con la stella di David sui pantaloncini. Roupp gli organizzò un incontro pre-America contro il polacco Jean Pankowlack, per testare la frattura alla mano. Il polacco andò ko alla terza ripresa. Il destro poteva combattere. Magari con l’aiuto di un po’ di novocaina iniettata dalle fasce.
Il match al Madison fu uno dei più brutti della carriera di Cerdan. Non era in forma. Aveva ancora un forte raffreddore ed era pieno di dubbi. Vinse ai punti in dieci round, ma fu talmente sfiancato dallo statunitense che l’arbitro dovette trascinarlo al centro del ring e alzargli il braccio a peso morto in segno di vittoria. Le mani malmesse, l’algerino combatté nuovamente al Garden contro Harold Green. Vinse ancora: anche l’America si prese una cotta per lui.
Era l’eroe dei tre mondi: Africa, Europa, America. Avrebbe cominciato a portare al polso tre orologi: uno settato sul fuso orario di Casablanca, uno su quello di Parigi, uno su quello di New York.
La notizia si dipanò dai fili della radio, volò sulla carta stampata.
L’Algeria lo osannava; il Marocco lo adorava; la Francia, che usciva poco a poco dal trauma bellico, lo portò in trionfo.
Fu la consacrazione.
Si battè tra Stati Uniti e Canada, vincendo anche l’incontro con il terribile Anton Raadik, l’estone che la stampa presentava come il pugile più pericoloso d’America.
Rivinse il titolo di campione d’Europa dei medi nel 1947 a Parigi.
Nacque il terzo figlio a Casablanca.
Strinse l’amicizia con Édith Piaf.
Peccato che lui avesse una moglie e tre figli, di cui uno nato da poco.
Fu chiaro: non avrebbe mai lasciato la propria famiglia. Ma come resistere a una donna che era simbolo di un’epoca intera?
Non sorprende che la stampa mondiale andasse in deliquio per la relazione sentimentale nata fra Édith Piaf e Marcel Cerdan. C’erano tutti gli ingredienti da feuilleton: lui nato povero, francese d’Algeria, divenuto campione mondiale dei pesi welter a New York; lei nata in un vicolo, cresciuta nel bordello della nonna, divenuta l’ugola dell’esistenzialismo francese, la cantatrice delle ragazze di strada, dell’amore passione che salva o distrugge, ebbra di tabacco e java indiavolate. Due miti, sacri nella loro immensità e profani nel loro vivere la vita di tutti i giorni. Tragicamente belli. O bellamente tragici, come le loro esistenze.
«Papà disse che era una relazione pubblicitaria e noi tutti gli credemmo», dirà il figlio Marcel Jr in un’intervista degli anni Duemila.
Invece era un amore appassionato, come dimostra l’epistolario tra i due. Un amore contrastato da Roupp e dai migliori amici di Édith. Un amore consumato, nel letto e nei locali notturni. Un amore vissuto al di qua e al di là dell’Atlantico, quando la traversata era un avvenimento mondano e avveniva principalmente sui transatlantici, eleganti e mondani come i loro illustri passeggeri. Un viaggio che era una festa tutti i giorni, dove uomini e donne delle arti, della politica, dello sport, dello show-biz, principi e regine si facevano ritrarre.
Nel 1948 Cerdan all’Heysel di Bruxelles perse ai punti il titolo di campione d’Europa contro Cyrille Delannoit. Édith era lì a consolarlo.
Intanto Zale aveva sconfitto Graziano: come da promessa di Jacob, Cerdan si era conquistato il diritto di affontarlo.
Roupp lo portò in America in un luogo segreto per preparare l’incontro. Édith lo scovò e si stabilì con lui per tutta la durata della preparazione.
Marcel non era più solo l’atleta vincente che passava le giornate ad allenarsi da solo o con sparring partner (tra i quali, nel tempo, assunse vari suoi avversari), ma era anche, accanto a Édith, l’uomo della notte, delle feste, del tirar tardi. Lui, che schivò cene e celebrazioni per tutta la sua precedente carriera. Inevitabile fu la rottura con Roupp, che, da secondo padre qual era, aveva a cuore più gli allenamenti che la donna.
Il passerotto di Parigi cantava al Versailles, celebre locale di New York, una nuova canzone non ancora incisa: «Avremo per noi l’eternità, nel blu di tutta l’immensità. Nel cielo, non ci sono più problemi». È il suo inno all’amore, dedicato al suo pugile.
All’incontro contro Zale il 21 settembre a Jersey City era in seconda fila, l’ugola più famosa di Francia che urlava tutto il suo tifo per il campione di Francia.
All’undicesimo round Tony Zale, completamente inebetito, deve essere tolto dall’angolo dal suo team. Marcel Cerdan era campione del mondo dei pesi medi, un titolo che era in mano agli statunitensi da quando, nel 1891, fu vinto dall’inglese Ruby Robert Fitzsimmons.
Festa privata nell’appartamento di Édith, la notizia arrivò a Parigi alle quattro del mattino. A Montmartre gli amici avevano tirato tardi. Si prepararono i festeggiamenti per il rientro in Francia: il presidente Vincent Auriol abbracciò il campione come un eroe, il corteo ufficiale aveva difficoltà a muoversi per le vie. La Piaf, ancora a New York, soffriva del suo atroce amore: «Non sopporto che sia felice senza di me». Nell’America puritana il loro amore fu il segreto di Pulcinella.
Cerdan nel 1949 girò due film: L’uomo dalle mani d’argilla, ispirato alla sua vita, di Léon Mathot, e Al diavolo la celebrità di Mario Monicelli, dove ebbe l’occasione di mostrare tutta la sua ironia.
Era un ragazzo ordinario che dimostrò a tutti i ragazzi ordinari che potevano diventare straordinari.
Gli americani gli diedero l’occasione di tornare negli Stati Uniti: un incontro con Jake LaMotta, il Toro Scatenato del Bronx.
Perse il titolo di campione del mondo, ma la Francia lo accolse nuovamente come eroe.
Fu fissata la data della rivincita: il 2 dicembre 1949, al Madison Square Garden.
Cerdan decise di andarsi ad allenare negli Stati Uniti.
Se i cazzotti distruggono, l’amore consuma, frettolosamente: Édith aveva fretta di rivedere Marcel. «Torna prima, prendi l’aereo, ho bisogno di te. Non avrai mica paura di volare?».
Con tutti questi nomi da leggenda, gli aneddoti si moltiplicano. La vita vissuta si mescola alla storia che vorremmo leggere, o vivere.
Al cinema a Parigi c’era Madame porte la culotte di George Cukor con Katharine Hepburn e Spencer Tracy, Retour à la vie con Bernard Blier, Louis Jouvet e Serge Reggiani, festeggiava l’ottava settimana di successo. Howard Hughes aveva da poco battezzato l’ultimo gioiellino della sua aviazione, il Lockeed Constellation, orgoglio della flotta dell’Air France. Si liberarono due posti sul volo delle 21. Uno per lui, uno per Joe Longman, l’uomo dagli occhiali da sole che aveva tenuto al suo fianco.
Li avevano lasciati due ciclisti italiani, Nando Terruzzi e Severino Rigoni: avevano dovuto anticipare il volo per essere presenti al banchetto ufficiale della Sei Giorni di New York. In lista a dire il vero c’era una coppia di francesi, ma lasciarono volentieri il posto al Bombardiere di Casablanca.
Trentasette passeggeri e undici persone del personale di volo imbarcarono quella sera per la rotta Parigi-New York.
Il feuilleton Cerdan-Piaf riprese il ritornello: «Avremo per noi l’eternità, nel blu di tutta l’immensità. Nel cielo, non ci sono più problemi».
Il Constellation si schiantò nelle Azzorre. Nessun superstite. Fu il primo incidente registrato da Air France sulla rotta Parigi-New York, dopo più di duemila traversate.
Morirono, tra gli altri, Cerdan e Longman; l’affermata violinista francese Ginette Neveu, che viaggiava con il suo prezioso Stradivari e il fratello Jean; Guy Jasmin, giornalista del quotidiano Le Canada; l’artista plastico Bernard Boutet de Monvel; lo statuunitense Kay Kamen, inventore del merchandising della Walt Disney Company; morirono cinque pastori baschi ingaggiati in un ranch del far west e una telefonista di Mulhouse che aveva ereditato una fabbrica di calze di nylon a Detroit.
Ci volle una settimana per rimpatriare le bare in Francia. Le Azzorre ebbero una festa dei morti fuori dal comune, il 1 novembre di quell’anno. Il dramma fu percepito da tutta la popolazione: si ebbe l’impressione che quelle piccole isole fossero l’epicentro del mondo. Le bare pazientarono nella caserma di Ponta Delgada. Una bara prese il volo per Casablanca, dove atterrò alle dieci di mattina, ora locale. Le ali della folla bloccarono il traffico.
Cerdan, nato in Algeria, cresciuto in Marocco, consacrato in Francia, elevato a re in America, moriva tra un continente e l’altro, straniero e libero come in vita, pianto in tre continenti.
Édith solcò il palco la sera stessa dell’incidente, ma svenne cantando quell’inno all’amore che giaceva in fondo al mare.
Dei tre figli del Bombardiere di Casablanca, Marcel Jr seguirà le orme del padre sul ring, aiutato proprio dal passerotto di Parigi che diventerà una zia protettrice per tutti e tre i figli del suo amore. Non ebbe il successo del padre. Né il talento. Ma l’identificazione è completa: è lui a interpretare il padre sul grande schermo, diretto da Claude Lelouch. La vedova Marinette organizzò personalmente il primo incontro con la francese, per assicurarsi che non vi fossero rimorsi.
Chi si reca a Casablanca, può ancora oggi entrare nella Brasserie Marcel Cerdan, inaugurata nel 1948. Le spoglie del pugile, invece, non sono più a Casablanca ma a Perpignan: una battaglia che la vedova portò avanti contro le autorità marocchine per ben 46 anni.
Édith Piaf morì nel 1963, consumata dalla morfina, dal tabacco e dalle passioni vissute. L’Algeria era indipendente da un anno.
Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti