Shuss
La prima mascotte olimpica
L’Olimpiade non è soltanto una competizione. È anche l’immagine fatta evento di una serie di valori, che vanno dalla lealtà alla fratellanza. Con lo sguardo sempre rivolto a quel pizzico di fortuna, che sia un centesimo di secondo o un minuto di pioggia poco importa, che permetta di chiudere la gara sul primo gradino del podio.
È spettacolo, design e marketing. Ogni edizione moderna dei Giochi ha un proprio logo che racchiuda i valori dei Cinque Cerchi e l’identità del luogo. Dal 1968 poi, prima delle contestazioni in piazza, della ribellione generazionale e delle rivendicazioni civili, le Olimpiadi hanno anche una mascotte, che ne rappresenta il volto più giocoso (e commerciale).
Il termine “mascotte” deriva dal provenzale “mascoto”, diminutivo di “masco” che significava “strega”. La mascotte fu resa popolare dall’operetta omonima di Edmond Audran andata in scena per la prima volta il 29 dicembre 1880 al Théâtre des Bouffes-Parisiens di Parigi col titolo, appunto, La Mascotte. Nei tre atti della composizione, tra recitato e cantato, ambientata curiosamente nella Piombino del Cinquecento, Audran narra la storia di Bettina, guardiana di tacchini e Pippo, guardiano di pecore. Bettina è “uno di quegli angeli creati dal buon Dio per combattere contro le forze del male nel mondo, in buone parole un portafortuna”. Nomen omen, lo spettacolo ebbe più di cinquecento repliche in due anni, monetizzando la fortuna del suo creatore ed entrando nell’uso comune della lingua con valenza apotropaica.
La mascotte esiste sin dalle origini della storia dell’umanità, basti pensare alle Veneri paleolitiche, ai bisonti delle pitture rupestri, agli animali totem di certi popoli, ai simboli di certe casate, l’aquila per i romani o il metalupo per Jon Snow. Ma fu con l’opera buffa di Audran che perse il simbolismo magico/religioso per assumere quello pagano di ninnolo beneaugurante.
Oggi è un elemento imprescindibile nel mondo ludico/sportivo.
La prima mascotte a entrare in scena alle Olimpiadi è Shuss. In realtà non ha i crismi dell’ufficialità, ma è la pietra miliare da cui derivano le successive.
Nasce a Parigi, nel diciassettesimo arrondissement, una notte del gennaio 1967. Poco distante dalle colline di Montmartre, nel piccolo studio di Films et Promotion, Aline Lafargue dà alla luce della sua mente creatrice un personaggio di colore blu, con la testa rotonda e rossa, quasi una pallina da ping pong. Il personaggio ha il corpo a forma di fulmine, zigzagante, su un piede unico. Forse la sua realizzazione non fu molto riuscita, ma con la sua posizione aerodinamica e i colori francesi entrò nel cuore degli appassionati e dopo di Shuss ogni edizione dei Giochi ebbe la sua mascotte.
A quel tempo la sua creatrice Aline era impegnata a girare una serie televisiva per bambini dal titolo Le Petit Lion.
Un documento del 9 ottobre 1967 racconta la genesi di Shuss attraverso la sua voce:
«La serie televisiva mi assorbiva 16 ore su 24. Non pensavo minimamente alle Olimpiadi Invernali. L’agenzia Publinel fece affidamento a Films et Production per sottomettere un urgentissimo progetto per la creazione di un personaggio per Grenoble 1968. Il progetto andava consegnato la mattina seguente. Ed era già sera».
Il ricordo prosegue:
«La mia testa fondeva. Avevo ricevuto poche linee guida, avevo una matita in mano, un blocco di carta sulla scrivania e tutte le ore della notte davanti. Una piccola rassegna pubblicitaria sulla manifestazione mi orientò inizialmente verso un animale a piume o col pelo. Il nostro gallo francese sarebbe stato appropriato per rappresentare con onore i Giochi che tanto significavano per il nostro Paese. Ma questo caro gallo, oltre a essere rappresentato su tanti i monumenti funebri aveva già calcato le luci della ribalta in molteplici altre occasioni, finendo su palloni tondi od ovali, biciclette, aerei e confezioni per il cibo! Lo stesso dicasi per quella fauna di montagna come il camoscio, il cane San Bernardo, il dahu o l’abominevole uomo delle nevi».
Le ore avanzavano. Nel momento che precede il panico, in cui tutto sembra scivolare in una inesorabile discesa, avviluppata per un sentimento simile alla vertigine, arrivò l’idea.
«Lo ebbi chiaro: il simbolo dei Giochi Olimpici Invernali del 1968 sarebbe stato un personaggio giovane, gentile, e dinamico, ispirato dal celebre stile della squadra francese di sci che tanto ama la posizione a uovo che assomiglia alla posizione fetale».
La mattina seguente il personaggio creato nella notte era pronto per essere comparato ad altre proposte. Trionfò sullo zoo di camosci, cani San Bernardo, orsi, dahu, abominevoli uomini delle nevi e pupazzi di neve.
Mancava soltanto il nome.
«Appena lo vide Monsieur Gerbain disse spontaneamente che quello era Shuss».
Shuss in francese, Schuss per il resto del mondo: parola che, sulle piste da sci, indica il tratto più ripido del pendio.
La creatura stilizzata di Aline sarà anche protagonista di una piccola serie di cartoni che andarono in onda sul secondo canale francese.
I Giochi di Grenoble furono all’insegna della “grandeur”. Grenoble è situata a 200 m sul livello del mare e per questo ospitò solo gli sport da palazzetto del ghiaccio, mentre le gare en plein air furono disseminate in una rete che passava per Autrans (fondo), Villard-de-Lans (slittino), Chamrousse (sci alpino) e Alpe d’Huez (nota tappa del Tour de France, qui con il bob Eugenio Monti porterà a casa due splendidi ori). Nel corso della cerimonia d’apertura, i battiti del cuore dell’ultimo tedoforo, il pattinatore Alain Calmat, furono accompagnati dall’amplificazione sonora della pulsazione, accrescendo il pathos dell’accensione del braciere scalino dopo scalino. Furono le prime Olimpiadi della televisione a colori. Per la prima volta le medaglie individuali furono disegnate una per disciplina. Era la prima volta del Marocco ai Giochi invernali.
Con Shuss si spanse l’interesse commerciale per i gadget olimpici, facendo fiorire quel filone di oggettistica sportiva che appassiona fan e collezionisti. Geoffrey Aguiard è uno dei più attivi collettori di Grenoble 1968. Generosamente ha creato il sito internet www.grenoble-1968.com dove ha schedato parte del suo tesoro. All’epoca delle gare non era ancora nato, ha cominciato la sua collezione negli anni Duemila quando aveva quindici anni, con le cartoline postali. Partecipa e organizza esposizioni sia nei Saloni dei collezionisti, che nei Saloni del Libro o in appositi luoghi.
Da quanti oggetti è formata la sua collezione?
«È veramente difficile contarli. Ho una stanza intera riempita di oggetti, dai francobolli alle cartoline, passando per manifesti, divise ufficiali, spille, tazze, vassoi, prodotti pubblicitari,…».
Qual è l’oggetto più inusuale?
«Alcuni pettorali che sono appartenuti agli atleti, oltre ad alcuni diplomi dei vincitori e ai passaporti olimpici di atleti che hanno vinto medaglie a Grenoble nel 1968… penso che siano questi i miei oggetti preferiti».
Dove ricerca le memorabilia, soprattutto come faceva in tempi precedenti alla potenza d’internet?
«Cerco molto nel web e anche alle aste private sia in Francia che in Germania e negli Stati Uniti. Ho anche la fortuna di non vivere molto lontano da Grenoble quindi conosco tutti i collezionisti e gli antiquari locali».
C’è un oggetto al quale è più attaccato?
«Sono l’unico collezionista in Francia ad avere l’intera serie d’insegne ufficiali dei Giochi Olimpici di Grenoble questo è ciò di cui vado più fiero».
Tra questi oggetti, in quanti è presente Shuss?
«All’incirca un centinaio».
È un personaggio che si trova ancora come simbolo?
«Oggi è utilizzato per il Cinquantesimo anniversario delle Olimpiadi di Grenoble – ricorrenza che avverrà nel febbraio 2018 – ma sono stati eliminati gli anelli olimpici, poiché anche se la città ha i diritti sull’utilizzo dell’immagine di Shuss, non ha più il diritto di accompagnarlo all’immagine dei cinque cerchi».
Una curiosità: contrariamente a quanto accadrà per le successive mascotte, non vi fu un peluche di Shuss.
È ancora Geoffrey Aguiard che riporta la testimonianza di André Thiennot, vecchio fabbricante di giochi in tessuto.
«Era con sua moglie in vacanza a Mentone, era l’agosto del 1967. Lei fu colpita in un giornale femminile dalla pubblicità di lancio per una mascotte olimpica. Era un delfino, in omaggio al Delfinato, nome dell’antica regione in cui si sarebbero tenuti i Giochi. Si candidarono e quando furono contattati mesi più tardi scoprirono che la mascotte non sarebbe stata un delfino ma un soggetto antropomorfo di nome Shuss».
Una pallina d’abaco per la testa del prototipo, una forma di polistirene più leggera e più ovale per gli esemplari seguenti; un filo di ferro per il corpo piegato con una spilla per capelli; tessuto preso da una fabbrica di traversine per neonati, nastro elastico, feltro,… Dai loro atelier uscirono 84000 esemplari, una tiratura artigianale eccezionale.
La Francia è così legata a questo primo bizzarro personaggio olimpico che ne conserva un esemplare in plastica all’interno del Musée Dauphinois.
Shuss non sarà la figura più celebrata: l’edizione transalpina dei Giochi bianchi vide trionfare il parigino di nascita, cresciuto in Val d’Isère, Jean-Claude Killy, che ottenne il secondo grande slam della storia olimpica. Fu lui l’eroe nazionale.
Questo enorme successo francese sarà stato un po’ merito dell’influsso di Shuss?
Considerando che la mascotte seguente sarà Waldi, il bassotto colorato dell’edizione di Monaco 1972, i cui colori gioiosi saranno coperti dal sangue del massacro al villaggio olimpico, non si può certo dire che tutte le mascotte siano foriere dei valori che veicolano. Ma attenzione, questi souvenir kitsch potrebbero valere una fortuna!
Melania Sebastiani
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