La marcia delle midinettes
Dallo diritto allo sport ai diritti operai
La midinette: il termine è contrazione di “midi”, che significa “mezzogiorno” e “dînette”, che significa “pranzetto”. Identifica la categoria socioprofessionale specifica della giovane ragazza francese, lavoratrice della moda, che andava a pranzare a mezzogiorno con le colleghe, sia al sacco, sulle panchine dei giardini pubblici, che nei ristoranti/cooperative. La figura, derivata dalla “grisette” ottocentesca di tanti romanzi francesi, si affermò nel diciannovesimo secolo con i suoi attributi: porta il cappello; vive in mansarda come Mimì della Bohème; esercita un mestiere con ago e filo; è paragonata a un uccello in gabbia che ne simbolizza il suo spirito gaio chiuso nel ciclo produttivo e allo stesso tempo si collega tradizione operaia della pratica del canto; e cammina con un passo definito, descritto da Eugène Sue nei suoi Misteri di Parigi come uno sfiorare il marciapiede, uno scivolare sulla sua superficie. La midinette eredita questo passo discreto, esce dall’attività di tessitura domestica e anima le strade col suo chiacchiericcio febbrile.
Per un paragone italiano si potrebbe accostarla, nella sua ben definita unicità, alla figura della mondina. Contrariamente alla mondina, che è una lavoratrice agricola, la midinette è una cittadina.
Alcuni luoghi aiutano certe figure a entrare nella storia. Parigi è la città che consegnò la figura della midinette al ruolo di icona; il boulevard è il campo d’azione su cui la figura della lavoratrice della moda, marginale e atipica, divenne mainstream.
E se da un lato Parigi la innalzò ad archetipo, dall’altro si dispiegò ai suoi piedi. Dapprima sulla superficie: l’operaia che va al lavoro a piedi o in bicicletta. Poi nel sottosuolo della rete metropolitana. Poi ancora in superficie, con il treno che proviene e che torna dalla periferia.
Nel censimento del 1896 le sole modiste ufficialmente registrate nella capitale sono 11000. A cui vanno aggiunte cucitrici, ricamatrici, merlettaie, crestaie, camiciaie, magliaie, bustaie… tutto quell’universo di “piccole mani” che costituivano la forza degli ateliers parigini. Le midinettes.
Nello stereotipo forgiato dalle canzoni, dalla letteratura e dal teatro, la midinette è una figura sempre in movimento, come la “fuggitiva bellezza” della “passante” immortalata da Baudelaire, incastonata al centro di un sonetto mentre attraversa la strada sollevandosi l’orlo della gonna e lasciando così intravedere una parte di gamba. Ed è quel pezzetto di carne esposta mentre liberamente si aggira per i boulevards che rende la midinette un ideale erotico maschile.
La midinette appartiene a una classe sociale popolare un po’ fluida, immersa in un mondo borghese da cui non proviene, ma in cui lavora e a cui aspira, costantemente in contatto con le classi superiori. Si alimenta, letteralmente e non, al di fuori del suo domicilio, con tutti i rischi che comporta l’esterno. È una donna consumatrice, mediatrice e vettore di acculturazione in famiglia e nel faubourg. Ma, tutto sommato, garante di un ordine morale, contrariamente a quello che saranno le flapper, svergognate e sciocchine.
Le midinettes fanno riferimento a un universo simbolico condiviso, che suggerisce solidarietà tra lavoratrici, conquista di uno spazio esterno alle mura domestiche, attaccamento al lavoro come forma d’indipendenza e dignità, emancipazione attraverso la propria manodopera.
E mentre le canzoni decantavano l’universo delle midinettes con i loro amori domenicali, le giornate sempre uguali, i picnic, i passages e i faubourg, nel 1903 le midinettes conquistarono anche un importante spazio in una sfera completamente diversa e ancora molto distante dalla moda: lo sport.
E lo fecero a passo di marcia.
Fu così che oltre ad attraversare le strade di Parigi, la figura della midinette attraversò la storia.
Lo sport femminile
«Il pubblico non ha ancora fatto l’occhio alla silhouette della donna che fa sport», scriveva il giornale L’Auto il 26 ottobre 1903. In effetti a inizio secolo i Giochi Olimpici dell’era moderna erano ripresi, riservati agli uomini. Alice Milliat era impegnata a organizzarsi il matrimonio. Ma furono proprio gli uomini, della redazione del giornale Le Monde Sportif, che organizzarono, per domenica 25 ottobre 1903, una gara destinata alle operaie che lavoravano negli ateliers delle case di moda parigine.
La competizione, nota come la “marche des midinettes”, la marcia delle midinettes, si snodava per 12 km lungo un percorso che dalle Tuileries di Parigi portava al villaggio di Nanterre.
Alla fine del diciannovesimo secolo Nanterre era un comune rurale di 12500 abitanti dove il processo di industrializzazione da poco avviato avrebbe cambiato l’assetto del territorio e la società in breve tempo. Fonderie, mattonare, fabbriche di biscotti stavano a poco a poco prendendo il posto delle vigne; contadine e contadini avrebbero presto lasciato il posto a operaie e operai. Nel 1902 la scuola femminile di Nanterre accoglieva 277 allieve. L’istruzione obbligatoria fino ai 14 anni non diverrà tale che nel 1936.
Il tram a vapore impiegava 35 minuti per collegare il paese a Parigi, fermata Étoile, arco di trionfo. Dai registri, nel 1903 la rete telefonica includeva 58 abbonati. Le comunicazioni scambiate tra Parigi e Nanterre superavano i 250 collegamenti al giorno.
La gara registrò un’ingente partecipazione: 2647 iscritte dai 13 ai 50 anni. Fu “una grande prova dello sport pedestre”, stando al giornale La Stampa Sportiva di Torino.
Le “eroine” (così le appellavano i giornali del tempo) si sarebbero divise un premio in regali dell’equivalente di 20000 franchi, offerto dai commercianti. Stando al Journal des débats politiques et littéraires furono messi in palio premi per qualsiasi categoria possibile: gioiellli, stoffe e pizzi per le prime classificate e un colletto di pizzo guipure per l’ultima arrivata, oltre ad abbonamenti al giornale La Beauté per le più anziane al traguardo. Per le prime venticinque bionde, un ritratto ad acquarello; per le brune con gli occhi azzurri una bomboniera.
Non poteva che essere un successo. Anzi, sempre secondo l’articolo de L’Auto del 26 ottobre 1903: «… in poche parole è stato un grande, molto grande, enorme successo di curiosità».
Notasi: di “curiosità”, non di “sport”.
Un po’ perché, per l’appunto, nel 1903 la donna che fa sport è quantomeno “pittoresca”. Ma anche perché le midinettes parteciparono alla corsa vestite dalle sartorie dove tutti giorni lavoravano, sfoggiando mises e colori vivaci.
Le Petit Parisien concesse all’iniziativa un tocco atletico scrivendo che le operaie degli ateliers parigini marciarono “per lo sport e per qualche grazioso premio”, tra le ovazioni di una folla “considerevole ed entusiasta”. Si spinse anche a una descrizione dell’azione sportiva:
«Lo spettacolo di queste donzelle che acceleravano il passo e lo conservavano, lottando con l’energia delle vere campionesse, non era certamente uno spettacolo molto femminile o estetico. Ma non è stato per niente banale».
L’inserto illustrato del Petit Journal del lunedì dedicò loro la copertina: nell’immagine disegnata a colori le partecipanti si accalcano in primo piano, marciano con gonne ampie e camicie infiocchettate, ai piedi portano stivaletti con i lacci e calzano in testa cappellini di tutti i colori e le fogge o chignon impreziositi da spille. Le cronache riportano che qualcuna indossava pantaloni alla zuava, qualcuna osava una gonna corta, qualcuna optò per un “costume da ciclista” con i pantaloni a sbuffo. S’intravedono boleri e s’intuiscono camicie di seta.
È un’illustrazione del momento della partenza, con i giardini delle Tuileries sullo sfondo. Due gendarmi a cavallo si ergono sulla folla festante, con uomini arrampicati sui lampioni per poter vedere la corsa. Alcuni gonfaloni inneggiano alle atlete della domenica, riconoscibili dalla fascia sul braccio sinistro che indica il numero.
Al momento dell’arrivo, i fiori appuntati sul corsetto sarebbero sfioriti.
Dalla colorazione data sui visi, pare che qualche partecipante non rinunciò a passarsi sul viso un velo di polvere di riso.
Le cronache sciorinano numeri stratosferici: ventimila spettatori, carrozze, biciclette, automobili al seguito che resero difficile il passaggio delle marciatrici nei punti più panoramici.
«Non si circolava».
Le partecipanti cominciarono ad animare la piazza delle Tuileries sin dalle sette del mattino. Lungo gli Champs Elysées, «il re d’Italia, venuto in visita otto giorni prima, aveva avuto meno pubblico», scrisse Le Petit Parisien. Furono richiamati ulteriori commissari per riuscire a distribuire tutti i bracciali. Poi, alle dieci, lo starter diede l’avvio: «Attention, mesdemoiselles! Partez!».
Via, verso l’Arco di Trionfo, tra le ali di un pubblico contenuto a fatica dai cordoni degli agenti, dove, annotava il New York Herald del 4 novembre 1903, «le gareggianti sono rosse come tulipani».
All’altezza del ponte di Neuilly il gruppo delle marciatrici era già ridotto.
È sempre il New York Herald a mettere in luce uno stile di marcia adottato da molte gareggianti noto come “marcia all’inglese”, per il quale la testa veniva spinta in avanti quasi a perdere l’equilibrio, mentre le braccia erano mosse avanti e indietro «con più vigore che grazia».
La vecchia piazza delle Feste di Nanterre (poi piazza del Mercato), a mala pena conteneva parenti e curiosi. Striscioni alle finestre, frasi di benvenuto, fiori. E quella prestigiosa parola sospesa in alto: “Arrivée”. Il sindaco Jules Gautier vi stazionava emozionato, mentre il redattore capo di Le Monde Sportif, Monsieur Franz Reichel, dava ordini a destra e a manca.
La gara nelle cronache
Il giornale La Presse di lunedì 26 ottobre 1903 scrisse:
«Chi non ha visto Nanterre il giorno delle Midinettes non ha visto nulla. Era più che una festa, era quasi una rivoluzione». Dalla stazione all’incrocio della Boule era tutta una folla, a cui si aggiungevano i gendarmi a cavallo, i musicisti vestiti con uniforme stile impero, i pompieri, gli infermieri del soccorso con la loro fascia bianca sul braccio,… tra gli interventi segnalarono qualche svenimento, molte piaghe alle gambe e qualche colpo al petto.
L’arrivo era il foglio su cui scrivere il proprio nome messo su un tavolo all’incrocio della Boule. «Intorno alle undici la folla cominciò a rumoreggiare, arrivano, arrivano!», «il servizio d’ordine era ormai un’illusione».
Si fece largo tra il tumulto Mademoiselle Jeanne Cheminel, della casa di moda Chemel, modista, che chiuse l’arrivo con un’ora e dieci. Erano le 11 e 18 minuti. Era vestita di bianco, con una sciarpa azzurra, gli stivaletti alti allacciati. Era un po’ congestionata. Si vociferò che avesse impiegato soltanto 35 minuti per marciare dalle Tuileries alle Courbevoie. Qualche malalingua la accusò di aver barato per aver corso lungo gli Champs Elysées. A poco a poco, “una ogni dieci miuti”, arrivarono tutte le midinettes: le grasse e le magre, le bionde e le brune, qualcuna spossata, qualcuna che, non contenta dello sforzo, si esibiva nella danza cake walk, allora à la page. I parenti attendevano con coperte le concorrenti sulla linea della fine ufficiale tracciata in piazza del Mercato.
«La loro freschezza ovviamente era relativa -, si legge nel Petit Parisien, – ma la loro fierezza era immensa».
«Nonostante la diversità di questi completi -, annotava La Presse, – il loro aspetto era molto più piacevole di quello degli uomini con i loro costumi di gara madidi di sudore».
Gli organizzatori predisposero le docce nella scuola femminile.
Nell’ordine, sotto alla firma della modista Jeanne Cheminel, si succedettero le firme di Lucie Fleury, sarta; Louise Balesta, confezionatrice di gilet della maison Coutard; Alice Brard, sarta della casa di moda Goriau; Mathilde Mignot, sarta della maison Redfern; Léontine Neveu, sarta della maison Altot.
Le cronache appuntarono tra coloro che arrivarono entro la prima ora e mezza il nome di Émilie Leroux, di quarantotto anni. Stando alle sue dichiarazioni, non aveva mai partecipato ad alcuna corsa in vita sua.
La stampa chiosò: «non sottolineeremo la superiorità delle sarte nella corsa, è sufficiente constatarla».
Seguì un sontuoso banchetto alla presenza dell’amministrazione locale, di Monsieur Edmonds, amministratore di Le Monde Sportif, Edmond Huby segretario dell’Unione Commercianti, Marcel Legay cantatutore di Montmarte e Monsieur Gustave Charpentier, maestro di coro, autore, nel 1900, dell’opera verista Louise, ambientata nel mondo operaio parigino. L’eroina eponima è sarta: lascerà la famiglia richiamata dal grido di libertà che lancia Parigi. Nell’organico strumentale è inserito il suono di una macchina da cucire: l’impressione è che la giornata della marcia fu un gioco di specchi, dall’opera alla corsa alle case di moda, dalle piccole mani che danno sostentamento ai piedi che si muovono veloci al canto di libertà.
Più di cento coperti, musica e dimostrazioni sportive da parte delle allieve del corso di fioretto “Mimi Pinson” chiusero la serata del 25 ottobre 1903.
«Il ritorno sul treno della banlieu fu la cosa più divertente della giornata. Queste signorine non hanno smesso di cantare durante il tragitto, che è sembrato troppo breve. A Parigi hanno fatto un’entrata trionfale. Quanti racconti ci saranno domani negli ateliers!», chiuse l’articolo del Petit Parisien.
Nonostante la riuscita dell’evento, troppe voci d’opposizione si levarono su quel 25 ottobre 1903. Anche i movimenti femministi disapprovarono la riuscita. E fu soprattutto il clero a scagliarsi contro l’indegno spettacolo della corsa delle lavoratrici. Sul Journal de Nanterre del 1 novembre 1903 si legge un intervento a firma di “una midinette scontrosa”:
«Cogliendo l’occasione di quella marcia il curato, a catechismo, cominciò per lanciare saette contro ciò che definiva uno scandalo e andava dicendo ai bambini che soltanto i cretini e gli idioti vanno a vedere tali spettacoli. Ordinò quindi una novena per auspicare il cattivo tempo sulla corsa. Ma il Signore non ascoltò il curato quel giorno: nonostante avesse un buon allenamento in preghiere, quelle che aveva ordinato per favorire il maltempo ebbero come risultato quello di portare il bel tempo anziché la pioggia».
Sul Journal des débats politiques di martedì 27 ottobre 1903 il sig. Georges Berger pubblicò una sua accorata lettera al direttore in cui definì la marcia delle midinettes «un abuso, se non una profanazione della nobiltà dello sport», una “corsa antisportiva” lanciando anatemi poiché «la donna non deve né volere né autorizzare, per la sua propria dignità, che la si derubrichi al livello di un animale da corsa. Invece si deve avere ammirazione per le sue grazie, per lo charme che suscita la sua natura fisica».
L’idea della donna sportiva è ancora quella decubertiana. Il padre delle Olimpiadi moderne, il barone Pierre de Coubertin, nel 1896 rigettò l’idea di una partecipazione femminile ai Giochi in quanto “irrealizzabile, ininteressante, inestetica e incorretta”. Sarebbe stato lungo uscire da questo preconcetto. E fondamentale sarebbe stato l’apporto di pioniere eccentriche. Il nuovo modello di donna avanzato dalla Belle Èpoque, Alice Milliat, la prima guerra mondiale avrebbero modificato lo sguardo maschile sul corpo delle donne e la sua silhouette in campo sportivo.
La marcia delle midinettes non fu ripetuta. Negli anni, qualcuno organizzò in vari luoghi di Francia, soprattutto a Parigi e in Costa Azzurra, competizioni riservate alle lavoratrici della moda, soprattutto nuoto e corsa, ma nessuna ebbe questa dimensione né il richiamo internazionale.
D’altronde lo stormo delle midinettes aveva ben altre marce da correre: quelle per la riduzione dell’orario della giornata lavorativa, per il miglioramento del luogo di lavoro, per l’innalzamento salariale,… Sarebbero scese in piazza come categoria ben prima dell’avvento dei sindacati. Con le loro gonne, i loro cappelli, le loro piume e i loro merletti.
Quanta strada avrebbero ancora dovuto percorrere i piedi veloci delle midinettes!
E quanta altra strada avrebbero dovuto conquistare le atlete…
Melania Sebastiani
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