Prime le Italiane
Una vittoria Total Black
In un’Italia divisa dal vento xenofobo anche lo sport fa politica. Uno scatto diventato virale quello delle quattro italiane che hanno vinto l’oro nella staffetta 4×400 ai Giochi del Mediterraneo, a Tarragona, in Spagna.
Le quattro hanno trionfato con un tempo di 3’28″08, portando il medagliere italiano a quota 156, il loro è stato il cinquantaseiesimo oro azzurro della kermesse.
La condivisione della foto su tutti i social a colpi di tweet e commenti non è tanto da attribuire ai quattro bellissimi volti sorridenti che brillano di tutto l’orgoglio di una vittoria meritata, quanto alla singolarità delle campionesse, vero e proprio melting pot di culture: si chiamano Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot.
Hanno la pelle color dell’ebano con sfumature che variano dal cioccolato al caffelatte, occhi nocciola vispi e capelli corvini arricciati o pettinati in strette treccine. C’è chi, nel dubbio, le ha definite afro-italiane, ma loro sono italianissime e lo rivendicano. Chigbolu e Lukudo sono nate rispettivamente a Roma e ad Aversa, ma vantano una discendenza africana: dalla Nigeria la prima, dal Sudan la seconda.
Il nonno di Chigbolu è stato a suo tempo una vera e propria celebrità in Nigeria, ha partecipato alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956 arrivando in finale nel salto in alto, per poi dedicarsi all’attività di presidente della Federazione atletica nigeriana. Un’eredità raccolta prontamente dalla nipotina che sembra intenzionata a seguirne le orme: Maria Benedicta ha vinto il bronzo europeo della 4×400 nel 2016 e, nello stesso anno, ha realizzato il primato italiano con la staffetta azzurra ai Giochi di Rio.
L’identità italiana di queste ragazze è parte di loro, inscindibile dalla loro origine: Lukudo ha adottato persino il nome di Raffaella, proprio lei che ha ottenuto la cittadinanza in contemporanea con i genitori, giunti in Italia da rifugiati.
Ayomide Folorunso invece è nata in Nigeria, classe 1996, ma vive in Italia da quando aveva sette anni e la sua carriera atletica è iniziata proprio nel nostro Paese quando è stata notata per la sua bravura nel corso delle competizioni scolastiche. Nel 2013 è entrata nelle Fiamme Oro dell’esercito. È considerata l’astro nascente dello sport azzurro e sempre ai Giochi di Tarragona ha trionfato nei 400 ostacoli dopo un audace duello con la rivale connazionale Pedroso.
Libania Grenot è forse la più famosa delle quattro: nata a Cuba nel 1983 è diventata italiana per amore, in seguito al suo matrimonio nel 2008. Nel suo paese natale era già considerata un talento, ma la sua ultima apparizione con la maglia rossoblu risale ai Mondiali di Helsinki nel 2005. Le sue performance hanno migliorato il record italiano nei 200 e nei 400 metri. Nel 2014 ha vinto l’oro agli europei di Zurigo. Agli europei di Amsterdam ha conquistato il bronzo con la 4×400 azzurra, mentre a Rio 2016 ha segnato il nuovo record italiano.
Storia di un’Italia Nuova
Non solo atlete, ma anche studentesse di scienze motorie, scienze dell’educazione, medicina.
Appassionate di arte e disegno. Ragazze moderne, completamente integrate nella società: Ayomide confessa che la sua passione è leggere libri fantasy e sogna di diventare pediatra.
Sono loro il simbolo della rivoluzione di un’Italia Nuova, multiculturale e vincente, che non teme le differenze e crede nell’integrazione tra le culture. Rappresentano uno schiaffo alle politiche neorazziste che stano emergendo in modo allarmante nel nostro Paese e sempre più conducono a una visione individualista, radicale, separatista tra i popoli.
«I loro sorrisi sono la risposta all’Italia razzista di Pontida. L’Italia multiculturale nata dal sogno repubblicano non verrà fermata», scrive Roberto Saviano sulla sua pagina Facebook.
La fotografia della vittoria si è infatti diffusa in seguito al dibattito innescato dal ritrovo leghista di Pontida, l’immagine è così divenuta emblema di integrazione in un’Italia sempre più divisa. Le quattro stringono la bandiera italiana con orgoglio, la sventolano come una conquista: un gesto che fa commuovere.
La cornice perfetta per questa storia non potevano che essere i Giochi del Mediterraneo.
Il Mediterraneo, non a caso: culla di civiltà e di sviluppo, luogo di scambi commerciali tra i Paesi più distanti, torna simbolicamente a rimarcare il suo ruolo cardine nel promuovere l’unità tra i popoli. Un tempo nel bacino del mare le barche navigavano per trasportare otri di olio e di vino, alimentando uno scambio di beni, di cibarie e di sostentamento. L’acqua favoriva un circuito di unione, di reciproco sostegno, mentre oggi in quello stesso mare si sta consumando un vero e proprio sterminio, l’apocalisse del XXI secolo, di cui forse un giorno troveremo traccia sui libri di storia stupendoci per non aver saputo cogliere l’entità di quella tragedia che si stava consumando sulle nostre coste.
Il vero dramma consiste nel notare, con sempre maggiore consapevolezza, il diffuso quaraquaquà delle piattaforme virtuali dove la parola viene data a tutti nella peggiore manifestazione democratica di sempre: si è accesa la spia dell’odio, dell’intolleranza, in una sorta di ritorno alla purità della razza che ricorda in modo allarmante certi manifesti del ’39.
La fotografia di queste quattro atlete che stringono la bandiera italiana in posa da Spice Girls è diventata il pretesto per una propaganda politica. Tutti a rimarcare il presunto grado di “italianità” di ciascuna delle ragazze in questione, ed è triste notare che ci siamo ridotti a questo livello becero di commento: a stabilire chi sia più italiano di un altro, secondo poi chissà quale criterio di civiltà.
I dibattiti sui social network assumono toni focosi: c’è chi si premura di rimarcare ancora le differenze tra migranti regolari e clandestini, come se fosse insito in questa differenza il problema. Quello che manca nella mentalità italiana moderna è un concetto di frontiera malleabile, liquido, fatto di passi che attraversano: racchiuso nella stessa nozione di viaggio.
L’Italia che vince è multiculturale, come il Mediterraneo.
Alice Figini
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