La Democrazia Corinthiana
Gli ideali nel calcio
Socrates era brasiliano, Socrate era greco: erano filosofi tutti e due.
Socrates oltre ad essere un grande calciatore, era dottore in medicina. Era detto Magrao per quel suo fisico da clown allampanato, era Il dottor Guevara del futèbol per quello che portò nel mondo del calcio. Talvolta era anche profeta: «Voglio morire di domenica, voglio morire con il Corinthians campione!».
Qualcuno sostiene che il nostro pianeta rischia il collasso perché «c’è troppo progresso in troppo poco tempo», e in ottica generale questa massima è sinistramente vera. Il collasso invece, nel caotico microcosmo del calcio, si è già concretizzato; quaggiù i romantici, o presunti tali, sono ormai come i dinosauri o i politici onesti. Estinti. È cambiato tutto, non solo l’aspetto tecnico e tattico o la cura dei dettagli: lo sport più amato e popolare del mondo si è letteralmente trasfigurato negli ultimi venticinque anni, e probabilmente sarà così anche in futuro. Si può affermare che è ormai diventato un altro sport. Certamente oggi è un qualcosa che ha lasciato nel dimenticatoio le favole e gli ideali dei sognatori. Le società quotate in borsa, milioni da riciclare ad ogni costo, i procuratori che spillano soldi anche per uno starnuto dei loro assistiti; il calcio scommesse (anche quello legale) che alimenta dubbi e perplessità; le pubblicità; le competizioni nazionali e internazionali diventate schiave dei quattrini, il potere assoluto delle TV a pagamento: e questo è solo un secchio d’acqua gettato nello sconfinato oceano del pallone di oggi.
Ci si stanca anche a criticare, ormai: è un mondo destinato a peggiorare, di certo non tornerà indietro. Ecco perché scrivere o raccontare ai giorni nostri della Democrazia Corinthiana è come pennellare una favola, dipingere un fumetto.
È utopia allo stato puro, e come spesso capita con le rivoluzioni ci sono incongruenze sulle date. Per molti almanacchi il 1982 è l’anno del primo vagito, ma secondo alcuni storici brasiliani già alla fine degli anni Settanta qualche ambizioso sbarbatello-rivoluzionario aveva intavolato una sorta di “carta costituzionale”. Nella primavera dell’82, tuttavia, il movimento esplose con la proclamazione del nuovo presidente del Corinthians nella persona di Waldemar Pires.
La squadra dei Corinthians
L’organigramma societario divenne un’entità fittizia, tutti affascinati (o se preferite soggiogati) dall’impeto e dalla collera della filosofia applicata alla sport: la Democrazia Corintiana aveva preso il comando di tutto. Socrates (60 presenze e 22 reti nella Seleçao) era il primo portavoce del gruppo, sia per fama che per carisma. Era il Re del colpo di tacco, usato e abusato in ogni angolo del campo: era il suo marchio, l’etichetta della sua classe. A volte esagerava. Decideva di giocare tutte le partite solo così, di tacco: «Si divertono tutti di più, io in testa!», diceva Socrates.
Era lui il più popolare, ma in fondo anche altri meritano di essere ricordati. Frombolieri al punto giusto, eccentrici quanto basta.
Wladimir Rodriguez dos Santos, per tutti Wladimir, era un leader e un sano portatore di idee e valori sportivi: terzino sinistro abile soprattutto in copertura e professionista esemplare.
È tuttora il primatista assoluto per quanto concerne le presenze nel club, oltre 800 sommando campionati e tornei ufficiali. Walter Junior Casagrande non fu altrettanto “bandiera”, ma certamente “uomo immagine” di quel Corinthians. Gli italiani lo ricorderanno con le maglie di Ascoli e Torino; intorno ai vent’anni era già un centravanti possente, statuario ma tecnico e letale. Anni dopo, in una sua autobiografia, spiattellò ai quattro venti il lato B della sua carriera calcistica, confessando (e sconfessando) l’uso di droghe, sostanze dopanti (solo in Europa, ha tenuto a precisare…) e tutti gli eccessi della gioventù. Zenon, classe 1954, aveva i baffi stile messicano e un cuore generoso e altruista. In coppia con Socrates, era l’altra mente pensante del centrocampo; abile nelle punizioni e negli assist, un perno su cui fare sempre affidamento. Il centrocampista di rottura, il cosiddetto volante, era invece Biro-Biro, zazzera bionda e polmoni al servizio del collettivo.
Il significato del termine
Ma nel dettaglio cos’era la Democrazia Corinthiana? Solo un mix di novità per autocelebrarsi e far parlare di sé? Un raccordo del binomio calcio-politica con tendenze a sinistra?
Forse… Di certo le fondamenta e la struttura chiave erano rappresentati dallo spogliatoio. Un luogo spirituale, quasi mistico, dove nascevano e prendevano corpo le idee di campo e non solo. In Brasile il popolo stava finalmente relegando ai margini la dittatura del generale Figuereido: Socrates e compagni erano già schierati (contro) da tempo, del resto una delle caratteristiche di quel Corinthians era proprio la propaganda. In campo, negli allenamenti o nelle conferenze stampa, i giocatori esibivano slogan, messaggi di pace e cultura, idee e pensieri. Non solo politici, ma una lente d’ingrandimento sociale: quale miglior mezzo che le magliette della squadra, o le divise sociali, o l’ausilio di poster, slogan o articoli sui giornali. La squadra del Corinthians non aveva l’allenatore, i calciatori si autogestivano e lo spogliatoio era come il Parlamento. Ognuno aveva diritto al voto, le decisioni del gruppo erano legge. Allenamenti ma anche libri, musica, cultura, disciplina, i menù per la cena e la colazione, la filosofia, il sesso e il consumo di alcool, sigarette: il gruppo decideva.
Socrates, il Dottore, e la sua utopia: colpiva la palla di tacco «per farvi innamorare», diceva lui. Spesso la squadra entrava in campo portando messaggi d’amore e pace, solidarietà e democrazia. Un sogno è come un bel gioco: è bello, ma dura poco.
L’arcobaleno della Democrazia Corinthiana si spense dopo pochi anni, ma chi l’ha vissuto si è entusiasmato e conserva un ricordo indelebile, scolpito nella mente. Quando, nel 1984, Socrates (che firmò con la Fiorentina, dove peraltro non brillò e non incise) e altri titolari lasciarono il Corinthians tutti avevano intuito che si era chiuso un ciclo. I risultati, sportivamente parlando, furono altalenanti, anche se arrivarono due titoli del Campionato paulista, nel 1982 e nel 1983. Oltretutto, il quadro societario fu nuovamente stravolto per motivi finanziari e proprio la vendita di molte stelle contribuì a risanare e rifondare il Corinthians. Tutto finisce, ma la Democrazia Corinthiana, come tutte le rivoluzioni, poteva e doveva spegnersi soltanto con una vigorosa e malinconica leggenda.
Così è stato, anche se svariati anni dopo. Socrates, spossato dall’abuso di birre e sigarette, morì a soli 57 anni all’alba del 4 dicembre 2011. Poche ore dopo il Corinthians, pareggiando 0-0 un infuocato derby col Palmeiras, si laureava campione del Brasile. Si era incredibilmente avverata la sua profezia, e tutti ricordarono le sue parole.
Fu come tornare indietro con la macchina del tempo: quel giorno coi ragazzi del Timao c’erano anche Socrates e i compagni della sua generazione. Testa alta, il calcio come messaggio di pace, una lacrima durante la festa e il pugno chiuso alzato verso il cielo: la vittoria della Democrazia Corinthiana.
Lucio Iaccarino
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti