La montagna di Emi Ligabue
La settimana bianca. Greetings from the Alps!
In un tempo non troppo lontano parole come “sciolina”, “bombardino”, “cabinovia”, “doposci” erano per l’Italia poco significanti. Poi, complici campioni dal nome meno teutonico e con l’esplosione del tempo libero, gli italiani hanno scoperto l’intrattenimento sulla neve, l’amore per la montagna e il tifo sciistico. E la settimana bianca è divenuta parte dell’immaginario di tutta la penisola, folklore collettivo.
Emanuela Ligabue, nota come Emi Ligabue, è un’artista mantovana che vive e lavora a Milano. Negli anni Ottanta è tra i protagonisti della scena creativa bolognese, che negli ultimi anni si è concentrata sul tema della montagna. Ha anche all’attivo una collaborazione con la rivista Sci di Fondo.
Il 25 gennaio ha inaugurato allo spazio culturale Mutty di Castiglione delle Stiviere, una mostra personale dal titolo “La settimana bianca. Greetings from the Alps!”, accompagnata da un catalogo edito da Lazy Dog Press. «Questo lavoro nasce dal mio interesse verso le immagini stereotipate, quelle talmente usate che poi si fissano in modo durevole nella nostra memoria e diventano patrimonio del nostro immaginario».
Come, per l’appunto, la “settimana bianca”.
«Il mondo della montagna è estremamente ricco da questo punto di vista: siamo in un contesto che “gronda” di retorica e che offre insieme lo spazio per considerazioni e trattamenti “alti” – le vette, il sublime, la fatica, l’ostilità della natura, la sfida…-, e “bassi” – la veduta da cartolina, gli sport di massa, la mercificazione del paesaggio, il concetto di pittoresco e il suo uso commerciale… ».
Emi da dove nasce la tua passione per le cime innevate?
«Sono stata una sciatrice principiante tra gli anni Sessanta e Settanta, quando lo sci non era più sinonimo di esclusività o di ardimento e non era ancora la perfetta macchina industriale di oggi. Diventava sport di massa ma persistevano ancora aspetti faticosi e un’estetica ibrida tra modernità e retorica. E’ all’interno di questo scenario che ha preso le mosse la mia ricerca iconografica, che comprende un materiale molto eterogeneo».
Prosegue l’artista: «In mostra ho evidenziato alcuni di questi elementi: c’è una sezione che ruota attorno all’interpretazione della foto di un fondista in mutande trovata in un manuale di sci del 1945, una che sviluppa il tema della veduta di luoghi storici di villeggiatura provenienti da guide turistiche degli anni ‘60, una che rilegge la grafica delle copertine di libri sullo sci di epoche diverse, una tutta giocata sulle donne che, in quello che è stato il mio primo manuale di sci, raffigurano tutte le posture sbagliate, etc… ».
La tua montagna è reale o immaginaria?
«La mia montagna non è né reale né immaginaria, ma è il risultato della sovrapposizione, dell’accavallamento della seconda sulla prima».
Perché gli oggetti? «L’oggetto è denso di elementi grafici, simbolici,… un pozzo di San Patrizio».
Gli oggetti sono evocatori, attraversano il campo semantico della montagna evocando sviluppi tecnologici e figure di riferimento per andare a far leva sui ricordi personali: come la mitica crema Nivea nella scatoletta di latta blu, per molti la prima crema protettiva. C’è un oggetto del tuo museo alpino domestico a cui tieni di più?
«Non sono una collezionista. Il collezionista è uno scientifico: raccoglie le prime edizioni, gli oggetti rari, ma contiene elementi linguistici che fanno parte del mio mondo. Mi piace quando i linguaggi si mescolano: la bella foto e la pubblicità kitsch, ad esempio. In questo caso l’ho applicato allo sci».
È un metodo di lavoro.
«Ho fatto questo lavoro per molti anni. Lavoro per serie, non c’è un elemento unico: tutto è una narrazione. Io per Mutty pensavo di fare una mostra con materiale vecchio e invece lo abbiamo proprio ordinato. Sono partita da lavori precedenti e con la curatrice Melania Gazzotti abbiamo individuato otto serie. È una selezione ma anche una partenza. Sono otto serie ma avrebbero potuto essere venti».
Le serie hanno numeri o titoli?
«Le serie sono titolate. Ad esempio c’è la serie de Le principianti, ispirato a un testo edito da Longanesi nel 1964, Il vero sciatore, in cui gli errori da evitare vengono illustrati soltanto da figure femminili, sciatrici mentre le posizioni corrette sono realizzate dagli sciatori uomini. Nella serie Le Milanesi (vanno a sciare) invece il richiamo è al mondo del design, alle figure femminili disegnate da Gio Ponti per la Manifattura Doccia. L’esposizione si chiude con Saluti da, dove ho fatto una serie di vedute scegliendo le località più topiche dello sci italiano, anche perché “la settimana bianca” è un concetto tutto italiano».
C’è una figura sugli sci che ti ha ispirata?
«Nella seria Salti c’è un omaggio alla Contessa Paula von Lamberg, la prima donna pioniera del salto con gli scii che, nel lontano 1911 a Kitzbühel sciava ancora con la gonna lunga».
Si può dire che “La settimana bianca. Greetings from the Alps!” sia un lavoro di squadra?
«Sì, le opere sono proprio nate per la mostra, assieme alla curatrice. Ma mi sono trovata molto bene anche con Francesco Ceccarelli, il grafico del relativo catalogo edito da Lazy Dog Press. Con lui qualche anno fa per un editore americano abbiamo fatto un libro di ricette italiano dal titolo Let’s cook italian».
Di cosa è fatto il tuo mondo artistico?
«Vi invito a sbirciare i miei post su Instagram: nonostante la maggior parte di questi non riguardino opere compiute, servono però a definire il mio mondo di riferimento, fatto di ricerca dei materiali più disparati (dai libri ai souvenir, alle carte, ai tessuti, agli oggetti, alle sollecitazioni dell’attualità) e alla loro riorganizzazione formale. Così nasce Grace Jones con gli sci: un’immagine iconica, che ho usato perché contiene quel mix di equilibrio/ squilibrio che ho sottolineato in una serie (non in mostra) sulle cadute».
Strange, I’ve seen that [mountain] before.
Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti