Dennis Ogbe
La battaglia per l’eradicazione della polio
Nella vita sono contemplate milioni di possibilità di morte e di rinascita, la differenza la fa chi non si arrende.
Il destino di Dennis Ogbe pareva segnato in maniera irreversibile quando a soli tre anni, a causa di un fatale errore medico, contrasse il virus della poliomielite. I genitori l’avevano portato in una piccola clinica africana per curare la malaria; ma qualcosa andò storto. Un’infermiera ruppe un ago nella sua schiena e il piccolo Dennis rimase in coma per tre giorni. Al risveglio, il suo sistema immunitario risultava fortemente compromesso. Non era ancora uscito dall’ospedale quando contrasse la poliomielite che lo lasciò completamente paralizzato dalla vita in giù.
Venne rimandato a casa tra le braccia di sua madre con un verdetto terribile: non sarebbe mai tornato a camminare sulle sue gambe. I genitori lo piansero come se fosse morto; in Nigeria era prevista una sola prospettiva per i menomati o i diversamente abili, venivano isolati e costretti a fare l’elemosina per strada. In Africa, in quegli anni, la polio era dappertutto: i malati si aggiravano come cadaveri ambulanti nei pressi delle fermate degli autobus, nelle periferie o nei quartieri più degradati delle città. Relitti umani che si affidavano alla carità degli altri per sopravvivere.
«Quando ero bambino mio padre diceva che non avrebbe permesso a uno dei suoi figli di diventare un mendicante», racconta oggi Ogbe. «Lui credeva che l’istruzione sarebbe stata la mia salvezza».
Tuttavia in Nigeria valeva la legge del più forte, come nell’antico proverbio che vede contrapposti il leone e la gazzella. Il piccolo Dennis crescendo si trovò ben presto costretto ad essere più coraggioso dei suoi aguzzini. In quel piccolo cosmo selvaggio vigevano leggi primitive, la logica spietata dell’occhio per occhio; nessuno contemplava la scuola o lo sviluppo dell’intelligenza come un’opportunità di ascesa sociale.
Un bambino fragile e testardo
Dennis Ogbe era un bambino fragile, magro e testardo. I compagni di giochi gli toglievano le stampelle e lo sfidavano a camminare: un gesto spietato che lo metteva a confronto con la sua impotenza, con il destino infausto che gli era toccato in sorte. Lui lo concepiva con tutta l’impetuosa, drammatica e limitata comprensione del mondo che solo un bambino può avere. Lo chiamavano storpio e si sentivano superiori, mentre lui franava a terra incapace di reggersi in piedi.
Non avrebbe mai potuto tornare a camminare sulle proprie gambe; ma dimostrare la sua forza, questo sì. Paradossalmente un atto di bullismo si rivelò essere la sua benedizione. Per sopravvivere alle molestie dei compagni, Dennis concentrò tutta l’energia che aveva nelle braccia dimostrando così agli altri bambini che non aveva nulla di meno rispetto a loro. La sua riabilitazione avvenne in un contesto tremendo di violenza e sopraffazione, prima di rialzarsi dovette assaggiare la polvere e il sapore della terra. Per riuscire a sostenersi Dennis sviluppò dei muscoli fortissimi; col tempo riuscì addirittura a recuperare in parte l’uso della gamba destra, mentre la sinistra rimase completamente paralizzata.
Cercava di reggersi in piedi senza stampelle, sfidando il mondo. Fu lo sviluppo delle sue capacità atletiche a restituire dignità a un corpo e uno spirito offesi dal destino.
Era il bambino più debole di tutti, eppure riusciva a lanciare il giavellotto come un’esplosione, con un gesto fluido e potente in grado di graffiare il cielo. Il piccolo Ogbe voleva giocare a tennis, a basket, ma il suo fisico fragile glielo impediva; gli unici sport che poteva praticare erano il lancio del disco e il lancio del giavellotto. I compagni di scuola lo sfidavano a muovere alcuni passi prima di concedergli il permesso di giocare a calcio con loro; così Dennis si scontrava ogni volta con il desiderio di correre tipico dell’infanzia e l’immobilità che la sua condizione gli imponeva. Fu l’atletica ad offrirgli una prospettiva diversa, mostrandogli che non avrebbe trascorso il resto della sua vita su una sedia a rotelle. Il sollevamento pesi gli permetteva di rafforzare gli arti superiori, compensando in questo modo la debolezza delle gambe. Allenandosi, Dennis scoprì che era in grado di lanciare un oggetto pesante a oltre cinquanta metri di distanza con una forza quasi sovrumana.
Quel gesto divenne per lui con un accorato inno alla vita. «Mio padre credeva che in ogni disabilità c’è sempre un’abilità», ricorda Dennis «e mi ha dato l’opportunità di scoprire la mia».
In Nigeria si disputavano annualmente gare di atletica; grazie a mesi di duro allenamento Ogbe riuscì a eccellere in tutte le competizioni diventando così un rappresentante del proprio Paese nelle competizioni internazionali.
Riuscì a qualificarsi per le Paralimpiadi di Sydney nel 2000.
La poliomielite: compagna di viaggio
Proprio durante i Giochi di Sidney, il giovane Ogbe venne notato da un coach statunitense che gli propose una borsa di studio presso la Bellarmine University, a Louisville nel Kentucky.
Ha inizio per lui una nuova vita: sul suolo americano ha l’opportunità di studiare e gareggiare persino in competizione con atleti fisicamente abili. Presso l’università di Lousville, Ogbe compie il suo riscatto intellettuale e umano conseguendo una laurea e un master MBA, ma soprattutto trionfando nelle imprese sportive che l’hanno condotto a essere l’atleta detentore del record attuale di lancio del disco.
Vincitore di una medaglia d’oro e di un argento, oggi Dennis è un cittadino americano a tutti gli effetti, membro della federazione USA. Nel 2012 compete ai Giochi Paralimpici di Londra con la maglia della nazionale americana.
È stato lo sport a permettere a Dennis Ogbe di riconciliarsi con la sua malattia: «La competitività sportiva è stata la spinta necessaria. Mi ha dato un obiettivo da raggiungere». Ogbe è il perfetto esempio di atleta paralimpico che si è realizzato grazie alla malattia, e non contro di essa. Parla di sé e della sua disabilità come di un essere unico; la poliomielite per lui non è stata una nemica, piuttosto una compagna di viaggio da tollerare con sopportazione affettuosa e con cui condividere un percorso: «Questo è ciò che penso sulla polio. È stata una lunga lotta, ma abbiamo tanti amici».
La poliomielite è stata una delle malattie più temute del XX secolo, ha paralizzato migliaia di persone, soprattutto bambini. Si tratta di una patologia subdola e che colpisce i neuroni motori portando alla paralisi muscolare.
Lo scrittore Philip Roth ci ha lasciato in eredità delle pagine di rara forza poetica in cui racconta il propagarsi di un’epidemia di polio in un campo giochi estivo nel 1944: «Una malattia capace di paralizzare un giovanotto rendendolo permanentemente invalido, deforme e impossibilitato a respirare al di fuori di quel cilindro metallico chiamato polmone d’acciaio – e capace anche di portare dalla paralisi dei muscoli respiratori alla morte».
Oggi la poliomielite sta per essere sconfitta grazie ai vaccini che si sono diffusi a livello mondiale. Fino a trent’anni fa il virus colpiva oltre 350mila bambini, mentre attualmente il suo campo d’azione sembra essersi ristretto a soli due Paesi del Terzo Mondo, l’Afghanistan e il Pakistan.
La poliomielite: compagna di viaggio
Dennis Ogbe è diventato un testimone in prima linea per la lotta alla malattia. Dal 2010 è ambasciatore per la campagna Shot@Life della Fondazione delle Nazioni Unite finalizzata a promuovere l’immunizzazione.
Ogbe ha parlato durante l’evento della Giornata Mondiale della polio del Rotary International, sottolineando l’importanza dei vaccini allo scopo di debellare il virus. Le sue campagne di sensibilizzazione si rivelano cruciali in un’epoca in cui la polio tende sciaguratamente a ripresentarsi, soprattutto nei paesi poveri, come la Nigeria, città natale del campione. Ormai quarantenne, Dennis appare invincibile nel suo fisico scolpito dai muscoli d’acciaio: è la dimostrazione vivente che una disabilità non significa la fine della vita, neppure nelle realtà più misere e degradate. Dennis oggi è padre di un bambino di tre anni e confessa che un tempo una delle sue principali preoccupazioni era che il figlio potesse contrarre il virus della polio: «Ma ringrazio il cielo di vivere in un paese evoluto, dove l’accesso ai vaccini è così semplice».
Se ai giorni nostri non abbiamo più conoscenza di malattie come la polio, che condannava giovani vite alla paralisi e alla morte, dobbiamo dire grazie all’avvento dei vaccini che ha permesso la scomparsa di simili patologie.
Stiamo assistendo all’evolversi di polemiche pubbliche che stanno facendo della lotta alle pratiche di vaccinazione il nuovo baluardo della sanità disinformata; ricordiamoci che in assenza di una corretta informazione simili malattie aberranti potrebbero contro ogni preavviso ripresentarsi.
Dennis Ogbe ricorda il lanciatore delle ultime pagine di Nemesi – il grande romanzo di Philip Roth – che attraverso la perfezione impeccabile della performance atletica mostra tutta la forza della condizione umana contro l’iniquità del destino. Eternamente giovane e sano, scolpito in quell’immagine, sembra sfidare il cielo con la bellezza spettacolare del suo lancio; al pari di un Dio.
Alice Figini
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