On The Bicycle
Esposizione itinerante in punta di pedale
La mostra On The Bicycle ha girato per tutta la bella stagione ciclistica: ha inaugurato in concomitanza con il passaggio del Giro d’Italia da Sanremo al forte di Santa Tecla e ha chiuso al Castellaro Golf Resort, dove occupava lo spazio della piscina interna della Spa. Qui abbiamo incontrato Francesca Sampietro, dell’associazione Pollaio Aperto, che all’interno dell’esposizione ha organizzato le aperture e previsto un ciclo d’incontri a tema.
«Siamo una cooperativa che lavora sul sociale e ci è piaciuto il progetto degli organizzatori. On The Bicycle ospita soltanto una parte della collezione privata originaria, collezione che è la seconda più grande d’Europa, con oltre 400 modelli di biciclette d’epoca e oggettistica varia, dalle targhe ai pedali; dalle corone ai campanelli alle foto autografate,…».
A chi appartiene la collezione?
«Appartiene al Gruppo Cozzi Parodi, è nata da una passione personale ed è la presidente Beatrice Cozzi Parodi che l’ha messa a disposizione. Come Pollaio Aperto abbiamo conosciuto il gruppo per un progetto Museo diffuso d’arte contemporanea en plein air nella Valle del San Lorenzo, nella Riviera dei Fiori e lì è nata una sinergia».
Sanremo ha un feeling speciale con le due ruote, che pubblico ha attirato On The Bicycle?
«Sono arrivati appassionati di bici storiche ma anche tanti abitanti dei comuni limitrofi: un ragazzo di Taggia che ha recentemente corso l’Eroica, appassionati della Milano-Sanremo,… ognuno racconta le proprie storie, anche la signora nata nel 1939, che si dichiara coetanea della Littorina autarchica in mostra. Come Pollaio Aperto non siamo specializzati del mezzo in sé o delle gare, ma lavorando con i piccoli comuni per un recupero della dimensione dell’uomo e sullo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, abbiamo colto con entusiasmo la gestione di questa mostra e… abbiamo finito anche per appassionarci alla storia del biciclo! È una collezione molto amata».
Grandi cerchi fanno da cornice e allo stesso tempo fanno da via di fuga alle biciclette in mostra, evocando altre ruote e suggerendo l’idea delle molteplicità di ruote, delle tante schiene curve sul sellino, un peloton che procede lungo le strade.
Muoversi tra le curiosità esposte significa muoversi per un viaggio a tappe internazionale dove a emergere è anche l’ingegno umano. Tra i modelli di bicicletta più antichi vi sono quelli di aziende francesi: Michaux, Terrot, Peugeot,… La “Michaudine” è del 1868 e marca forse la tappa d’inizio del viaggio On The Bicycle del velocipede. Secondo l’aneddotica il fabbro Pierre Michaux ricevette in officina un cliente che voleva riparasse la sua draisina, un archetipo di bicicletta, con le ruote, che funzionava mediante le pedate poderose date sul terreno dal conducente, seduto a cavalcioni sul sellino. Pare che Ernest, il figlio di Pierre, abbia provato la draisina e lamentato un certo fastidio nel dover alzare continuamente le gambe, come nella corsa. E così padre e figlio aggiunsero due manovelle opposte sull’asse della ruota motrice. Non occorreva più la spinta sul terreno: erano nati i pedali. E con loro, il velocipede. La Michaudine ha telaio in acciaio, ruote in legno e acciaio, peso 25,4 kg. Non porterà fortuna ai suoi inventori.
Il prototipo Moser invece sì che porterà fortuna al suo conducente. Il modello in mostra è un prototipo che data del 1988. È la bicicletta più moderna della selezione in mostra: fu utilizzata nella preparazione del record dell’ora indoor che Francesco Moser attaccherà al Velodromo di Stoccarda. Struttura alveolare in fibra di carbonio, peso di 12, 67 kg, ha la particolarità di avere la ruota lenticolare posteriore del diametro di 101 centimetri. Fu chiamata per questo “la bici della ruotona”.
«È cambiata tanto la postura del ciclista: prima andava aiutato a salire, con le ruote del diametro di due metri, più grandi di quelle di questo biciclo grand Bi, che ha ruota anteriore ampia e piccola ruota posteriore; poi stava quasi sdraiato. Una bici ha il poggiagambe. E guardate questa: ha la lanterna, funzionava mediante una candela, c’è lo stoppino». Francesca lascia che i visitatori si attardino sui dettagli dei singoli mezzi di locomozione. Risuonano alle pareti i nomi delle grandi aziende: cicli Magni di Bergamo, cicli Piave, Comet, pneumatici Dunlop, pneumatici Michelin sponsorizzati al costo di 10 lire, Alcyon Cycles, Bianchi “fornitori della Real Casa”, la tedesca Victoria Werke, cicli Gerbi di Asti, quei Gerbi di Giovanni apostrofato da Paolo Conte su un’aria tzigana dal ritmo incessante, aderente alla pedalata forsennata per la campagna piemontese di un ciclista dalla maglietta rossa “Diavolo rosso, dimentica la strada / Vieni qui con noi a bere un’aranciata / Contro sole tutto il tempo se ne va”,…
Risuonano dalle ruote i nomi dei corridori: Libero Ferrario, primo italiano campione del mondo su strada nel 1923 su una Gloria, morirà a ventinove anni di tisi; Gino Bartali che nel 1948 per primo al Tour de France ha usato il cambio campagnolo; Antonio Maspes, “il re del Vigorelli”, che ha donato una esemplare da pista marca Umberto Dei del 1958; il già citato Francesco Moser con i suoi record del tempo,…
La storia del Novecento si snoda da un telaio all’altro. C’è la littorina dell’antica bottega torinese di Costantino Vianzone (costruttore di carrozze) che è tutta in legno, anche le ruote, cerchiate con due pezzi di corda. La descrizione spiega che sia una bicicletta figlia delle sanzioni economiche in seguito alla guerra d’Etiopia del 1935: la Società delle Nazioni vietò all’Italia di importare materiali utili per lo sforzo bellico e pertanto fu realizzata con telaio, forcella, manubrio in listelli alternati di faggio e frassino evaporato incollati “a pane e burro” e curvati a caldo e il resto in alluminio. È significativo che sia un modello da donna: mentre ancora si tuonava che le due ruote rendessero sterili, mentre si esalta la potenza dei motori, Vianzone produce la Littorina espressamente in versione femminile. E la bicicletta continuerà a essere simbolo d’indipendenza, di conquista dello spazio, consacrazione del tempo libero, ottenimento di nuovi ruoli.
Sarà anche mezzo di locomozione impegnato nei conflitti bellici: lo ricorda la bicicletta del bersagliere, con il fucile incastrato sopra al tubo orizzontale, e il modello di bicicletta da ufficiale, corredato da porta sciabola, costruito da quella Legnano che poche volte scalzò la rivale Bianchi dalle forniture belliche, ma che poi ai Giri calò l’asso di nome Bartali.
Saranno anche semplici mezzi di locomozione, pezzi di telai, forcelle, campanelli. Ma sono anche espressione, musica, costume, tecnica di una storia che in punta di pedale diviene universale. Concorda Francesca: «Una storia unica, come il pantone della Bianchi. Che però, ho scoperto proprio qui, nel tempo ha cambiato varie sfumature, pur rimanendo unico e sempre capace di raccontare le sue imprese almeno quanto il rosso Ferrari».
E allora, visto che anche il celeste diviene una macchina del tempo, non resta che aspettare la prossima tappa del viaggio di On The Bicycle, per tornare a meravigliarci e a misurarci con i nostri limiti, con rigore e fantasia, in fuga verso la primavera della prossima Milano-Sanremo.
Melania Sebastiani
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