Che Guevara e lo sport

Il "Che" calciatore

Il “Che” calciatore

 

Un rivoluzionario in porta

Un campetto improvvisato, di quelli che nascono in uno spiazzo o un prato, con un paio di cartelle, di giacche o di maglioni a sostituire i pali, e un pallone fatto di stracci e giornali pressati. Primavera del 1937 ad Alta Gracia, città di provincia dell’immensa Argentina, fondata come tante dai Gesuiti nel XVII Secolo. Un gruppo di bambini sta giocando. Nulla di strano, se non che a difendere una delle due porte c’è un tipino esile, molto trasandato, con un berretto a visiera portato all’indietro e la respirazione ansimante di chi soffre d’asma.

Si chiama Ernesto Guevara de la Serna. Un giorno diventerà il Che Guevara.
La simpatia del rivoluzionario per il calcio, ed in generale per tutti gli sport, è un aspetto della sua personalità che i biografi tendono spesso a considerare marginale. Non che manchino le giustificazioni per questo: sono altri i motivi salienti della vicenda del Che. Sta però di fatto che, oltre ad essere un ottimo scacchista e un eccellente tiratore (per anni frequenta settimanalmente il poligono in compagnia del padre), Guevara pratica per tutta la vita un gran numero di discipline sportive.

Atleta instancabile

Il calcio, dunque. Leggenda vuole che già nelle partitelle di Alta Gracia il carattere del ragazzino si facesse sentire. Ricorda ad esempio Juan Mínguez, un amico di allora, che se a giocare erano in cinque, Ernesto voleva stare in porta, solo contro gli altri quattro. Agiografia, in buona parte: come infatti fa più realiticamente notare un altro dei vecchi compagni, Ernestito, pur essendo molto veloce, «… non poteva certo correre tanto con l’asma che lo perseguitava».

Il giovanissimo Guevara pratica anche il ping-pong. Stanco di essere sempre battuto da Rodolfo Duarte, campione cittadino, annuncia il suo temporaneo ritiro. In casa, si autocostruisce un tavolo regolamentare e dà una dimostrazione della sua proverbiale caparbietà, allenandosi sino ad essere in grado di stracciare, qualche settimana dopo, l’allibito Rodolfo.

Persino con il nuoto Ernesto se la cava piuttosto bene. Nella piscina del Sierras Hotel (dove alloggia per i primi sei mesi della permanenza ad Alta Gracia), sotto la guida del primatista argentino di specialità, Carlos Espeja, che lo ha preso in simpatia, diviene un ottimo interprete dello stile a farfalla. Il futuro rivoluzionario non avrà mai occasione di partecipare a gare importanti, ma l’abilità nel nuoto gli tornerà più volte utilissima negli anni della guerriglia.

Decisamente meno produttivo in questo senso si rivelerà invece il golf, ultimo sport all’epoca usuale per Ernestito, che può giocare ogni giorno nel campo adiacente lo chalet in cui va ad abitare una volta abbandonato l’albergo.

Nel 1942, Ernesto si iscrive al Liceo, a Córdoba. Tomás Granado, suo compagno di classe, lo presenta ad Alberto, il fratello maggiore, perché lo faccia entrare nella squadra scolastica di rugby, gli Estudiantes. Sulle prime Granado, che diventerà il miglior amico di Guevara, resta perplesso di fronte alla sua struttura tutt’altro che atletica. Ben presto, tuttavia, Ernestito può battersi in tutti i campi del circondario con una grinta persino eccessiva, e gridare con tutta la voce che gli permettono i suoi polmoni asmatici la frase che gli guadagnerà il primo dei suoi tanti soprannomi. «Via, che arriva il furibondo Serna!»: Fu-Ser, appunto.

Il Che (primo da destra) con la maglia dell'Yporá Rugby Club

Il “Che” (primo da destra) con la maglia dell’Yporá Rugby Club

 

Come rugbista, Fuser è una forza: duro, veloce, mai stanco. Il suo unico nemico è la malattia, che lo costringe a frequenti intervalli a bordo campo in compagnia dell’inalatore che si porta sempre dietro. Lascia gli Estudiantes per entrare nel San Isidro Club di Buenos Aires, squadra legata alla famiglia Guevara, ma quando il padre, su ordine dei medici, preme per farlo mettere fuori rosa, passa senza esitazione all’Atalaya, il team rivale. Con l’arrivo nel nuovo club cambia anche il suo nomignolo e Fuser si trasforma in un poco nobile el Chanchoil Maiale. Qualcuno, anni dopo, gli chiederà se era grasso. «No…» sarà la divertita risposta del Che, «Ero solo sporco!».

Nel 1949, il giovane Guevara partecipa alla prima Olimpiade Universitaria, che si disputa a Tucumán, sia come scacchista, sia (con una buona dose di incoscienza e di faccia tosta) come saltatore con l’asta, disciplina di cui ignora praticamente tutto.

Il Che davanti alla scachiera (1966)

Il “Che” davanti alla scachiera (1966)

 

Grazie ad un noto (e gradevole) film del 2004, I diari della motocicletta, molti conoscono il viaggio che Ernesto ed Alberto Granado compiono dal 29 dicembre 1951 attraverso il Sud America. Durante le migliaia di chilometri percorsi, Ernesto dimostra ancora il suo amore per il calcio, trasformandosi addirittura in allenatore. Vincente, ovvio.

Accade in Cile, nei pressi della miniera di rame di Chuquicamata, nel marzo 1952, quando i due giovani, giunti ad una stazioncina, si imbattono in un gruppo di cantonieri che si stanno preparando per una partita contro una squadretta rivale. In cambio di vitto, alloggio e un passaggio sino al porto di Iquique, Ernesto e Alberto mettono a frutto le loro conoscenze calcistiche e per un paio di giorni si dedicano all’allenamento. «La domenica» racconterà lo stesso Guevara «fu coronata da una splendida vittoria della squadra in cui giocavamo noi due e da certi montoni allo spiedo che Alberto cucinò a meraviglia».

Un’ultima volta ancora il calcio entra con forza nelle avventure di quel viaggio. In visita al lebbrosario di San Pablo, verso metà giugno, Ernesto trova modo di giocare almeno quattro incontri in dieci giorni, rimanendo soddisfatto solo del terzo, e subendo nel quarto «un gol a dir poco schifoso». Sono solo episodi minimi di un’esistenza leggendaria: eppure hanno una loro dignità e svelano un lato scanzonato e ironico che non tutti sanno riconoscere a Guevara.

Ormai la giovinezza di Ernesto sta terminando, e il ragazzo argentino si sta trasformando nel Che.

La passione per l’alpinismo

In Messico (dove vive dal settembre 1954 al novembre 1956, si sposa con Hilda Galea, ha una figlia, conosce i fratelli Castro – Fidel e Raúl – e finisce in carcere), lo sport prediletto diventa l’alpinismo: scala più volte il vulcano Popocatepetl e l’Ixtacihuatl, cime di oltre cinquemila metri. Non deve essere facile, con la sua asma.

A Cuba, il Che riserva parte del poco tempo libero che le cariche pubbliche gli lasciano allo sport. Già nel gennaio 1959, pochi giorni dopo la vittoria della Revolución, forma una squadra di equitazione, e negli anni seguenti alterna qualche partita di pesca d’altura con il Líder Máximo (la pesca lo attrae sin dal viaggio con Granado, quando passa pomeriggi interi con una lenza sulla riva del Rio delle Amazzoni) al golf e alla disciplina nazionale cubana, il baseball.

Poi il Congo e, infine, la Bolivia. Non è più tempo di sport, adesso. Eppure, chissà: forse non è un azzardo immaginare il Che, in qualche lunga nottata nella giungla, parlare ancora di calcio con i compagni d’avventura…

Danilo Francescano
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