L’ultima chicane di Lorenzo Bandini
La tragedia di Montecarlo 1967
A passare per quei luoghi oggi, è difficile immaginarlo. Lo sguardo indugia piuttosto sui panfili e sugli yacht ormeggiati, e la fantasia corre verso il jet-set internazionale, verso un’esistenza dorata di cui noi comuni mortali possiamo solo leggere sulle pagine patinate dei settimanali. Sì, è difficile immaginarlo, ma in un ormai lontano pomeriggio di primavera il lungomare di Montecarlo è stato testimone dello spaventoso incidente che ha provocato la morte di uno dei piloti più amati della Formula Uno, l’italiano Lorenzo Bandini.
Il 7 maggio 1967 è un giorno particolare per il principato monegasco, l’unico dell’anno in cui il piccolissimo stato mediterraneo è davvero al centro dell’attenzione di mezzo mondo: la domenica del Grand Prix.
Anche per Lorenzo Bandini, prima guida della Ferrari, è un giorno particolare.
Una vita di alti e bassi
Nato a Barce, in Libia, il 21 dicembre 1935, torna ancora bambino in madrepatria. Una vita di alti e bassi, la sua. L’albergo di famiglia in provincia di Ravenna esce distrutto dalla guerra, che gli porta via anche il padre. Per aiutare in casa, il giovane Lorenzo entra come apprendista in un’officina a Reggiolo di Reggio Emilia, poi si trasferisce a Milano nel 1950: la svolta definitiva. Trova lavoro nell’officina di Goliardo Freddi, ed è proprio questi, tra l’altro padre della bella Margherita che Lorenzo qualche anno dopo sposa, a farlo entrare nel mondo delle gare automobilistiche.
L’esordio avviene nel 1956. Poi tanta gavetta nelle serie minori, nobilitata da numerosi successi, e il debutto in Formula Uno, il 18 giugno 1961, in Belgio per la Scuderia Centro-Sud. Nella stagione 1962, Bandini, ormai assurto al ruolo di grande promessa, corona finalmente il sogno di ogni pilota italiano: Enzo Ferrari gli offre un contratto per la Rossa di Maranello. Con la Ferrari, Lorenzo gareggia poi anche nelle stagioni successive, cogliendo un solo successo (il 23 agosto 1964, nel Gran Premio d’Austria a Zeltweg), ma confermando le sue doti e un talento in piena ascesa con molti ottimi piazzamenti.
Il 7 maggio 1967 è la quarta volta che Bandini corre a Montecarlo. Dopo tre podi, tutti gli chiedono e si aspettano una vittoria. Tutti, compreso il Grande Capo, il mitico Drake, ansioso di portare un altro titolo mondiale a Maranello.
Lorenzo sente la responsabilità. Viene da due trionfi, ad inizio febbraio nella 24 ore di Daytona, e a fine aprile nella Mille Miglia di Monza, in entrambi i casi in coppia con il neozelandese Chris Amon. Davvero, dopo qualche stagione da comprimario, potrebbe essere questo il suo anno. Sono di sicuro anche questi i pensieri che gli passano per la testa quando, pochi istanti prima del via, viene fotografato in primo piano, il casco già indossato, un fazzoletto sulla bocca per ripararsi dalla polvere e lo sguardo perso chissà dove. In presentimenti oscuri, forse.
La corsa verso la morte
La sua Ferrari, con il numero 18, ha un’ottima posizione, subito al fianco di Jack Brabham, schierato in pole. Lorenzo parte fortissimo, ma già in questo momento avviene una cosa che avrà un influsso decisivo nella tragica vicenda. L’australiano ha un grave cedimento al motore e, invece di ritirarsi subito, come il buon senso imporrebbe, fa una cosa che Margherita, moglie del ferrarista, non gli perdonerà mai. In modo incosciente, Brabham cerca di arrivare ai box, finendo per inondare d’olio l’intera pista. Una macchia che per loro buona sorte, tutti i piloti vedono: tutti, tranne Bandini, scattato in testa. Inconsapevole del pericolo, Lorenzo mantiene un’andatura velocissima, e dopo i circa tre chilometri del primo dei cento giri previsti ha un vantaggio di un secondo e mezzo sul primo inseguitore.
Non vede la macchia d’olio, o se la vede, non riesce ad evitarla. La vettura rossa gli sfugge, e compie un giro su se stessa. Il motore tuttavia non si spegne (con il senno di poi, purtroppo) e il pilota italiano, dopo che la vettura si è fermata, senza aver urtato le protezioni e perciò completamente integra, la riporta in assetto di gara. Nel frattempo, però, sono passati Denny Hulme e Jackie Stewart: il ferrarista riparte in terza posizione. Inizia da allora un inseguimento rabbioso, che produrrà effetti devastanti sui riflessi di Bandini. Le monoposto dell’epoca sono auto difficili da guidare: i congegni elettronici di cui oggi ogni vettura è fornita sono ancora fantascienza, e al termine delle gare i piloti sono maschere di sudore e fatica. Con queste premesse, centinaia di chilometri da percorrere al massimo sforzo, mantenendo la concentrazione su un avversario che sembra sfuggirti e con il pensiero fisso ad una vittoria che deve arrivare, sono qualcosa di più che un rischio. Sono una scommessa con la morte. E non sempre le scommesse si vincono.
Al 43° giro, il motore di Stewart cede, e il britannico è costretto al ritiro. Ora Lorenzo è secondo, ma la lotta con Hulme sembra persa. Al 61° giro il distacco è ridotto a 7,6 secondi, ma poi torna inesorabilmente ad aumentare. Tra il pilota in prima posizione e il ferrarista girano infatti due doppiati, Pedro Rodríguez e Graham Hill. Il primo non pone problemi, e viene agevolmente superato, ma tra l’inglese e Bandini non corre buon sangue.
Durante il Gran Premio del Messico di tre stagioni prima, l’italiano aveva tenuto dietro la sua vettura Hill, in lotta per il mondiale, per favorire l’altro ferrarista John Surtees. Dopo aver subito (o provocato, secondo i critici) un tamponamento che aveva costretto Hill al ritiro, Bandini aveva poi ceduto il passo al compagno di scuderia, facendogli guadagnare punti decisivi.
Ora era il turno dell’inglese, ad ostacolare. Per due giri, il duello va avanti, poi finalmente la Ferrari 312 opera il sorpasso. Il distacco da Hulme è però ormai salito a 20” e a Lorenzo non resta che tentare il tutto per tutto. All’81° passaggio davanti ai box, i meccanici e la moglie Margherita lo vedono staccare entrambe le mani dal volante, in un gesto di rabbiosa impotenza. È l’ultimo ricordo che resta di un giovane modesto e gentile, amato dai suoi collaboratori ed entrato nel cuore di tutti gli sportivi italiani, di un pilota serio e meticoloso pronto per i vertici della Formula Uno. All’uscita del tunnel che dalla Sezione Portier del circuito conduce al porto di Montecarlo, c’è una chicane, destinata a rallentare le auto. Bandini vi sopraggiunge velocissimo, troppo veloce. L’urto contro una bitta per l’ormeggio dei natanti è inevitabile. L’auto prende fuoco immediatamente, una gomma si stacca. Le balle di fieno sistemate per attutire eventuali urti alimentano le fiamme, e l’incendio divampa altissimo. A centinaia di chilometri di distanza, Enzo Ferrari, davanti al televisore, sente immediatamente che quel rogo sta distruggendo una sua vettura, e che dentro quella vettura c’è il suo pupillo Lorenzo Bandini. È la prima morte in diretta televisiva: tante altre, purtroppo, seguiranno.
Sul circuito, nei primi istanti, nessuno ha invece la percezione del dramma. Tutti si illudono che il pilota sia stato sbalzato in mare e sia illeso, come era successo ad Alberto Ascari proprio nello stesso punto nel Gran Premio del 1955. I soccorsi sono carenti: i vigili hanno tute non ignifughe, gli estintori hanno poca potenza. Passano tre minuti e mezzo, prima che qualcuno possa avvicinarsi alla carcassa ancora fumante, un tempo eterno in cui si consuma la tragedia di Bandini. Il suo corpo viene estratto dall’abitacolo. È ancora vivo, il ragazzo, ma è devastato. Ustioni estese sul 60% del corpo, una bruttissima ferita all’altezza della milza. Lorenzo viene portato al Principessa Grace e subisce un intervento chirurgico di sei ore. Gli viene praticata una tracheotomia e gli viene asportata la milza. Oltre alle ustioni, ha parecchie costole fratturate, e lesioni polmonari per i gas incandescenti respirati. A testimoniare la sua stanchezza al momento dell’incidente, la carcassa della macchina viene trovata con la quinta innestata, anziché la terza come logico.
Il professor Charles Louis Chatelain, che l’ha operato, dichiara: «Abbiamo fatto il possibile per salvarlo e ora non ci rimane che sperare. Saranno decisive le prossime 48 ore».
Lo saranno, infatti. Lorenzo Bandini muore il 10 maggio, dopo settanta ore di terribile agonia. Ai suoi funerali partecipano 100.000 persone. Margherita si chiude in un dolore dignitoso, mantenendo il riserbo che il marito le aveva sempre raccomandato in caso di incidente. «Non so se fosse superstizioso, Lorenzo. Fatalista sì, e ha sempre pensato che sarebbe morto giovane» racconterà anni dopo.
Una circostanza appare poi quasi un presagio della tristissima vicenda. Durante le riprese del film-cult Gran Prix, girato nel 1966, il regista John Frankenheimer, presente con la troupe nel week-end di gara, aveva chiesto proprio a Lorenzo quale fosse a suo parere il punto migliore per girare una scena di incidente. Nessun dubbio sulla risposta che diede Bandini.
Danilo Francescano
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