Il semaforo di Kensington Street
L’invenzione dei cartellini giallo e rosso
Beffardo destino quello di Kakhi Asatiani, talentuoso centrocampista georgiano della Dinamo Tbilisi e della Nazionale Sovietica a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Uno con i “piedi buoni”, come si diceva un tempo, ma anche uomo irruento e impetuoso in campo e nella vita. Uno che dava del “tu” al pallone, capace di disegnare articolate geometrie e sontuose verticalizzazioni ma anche, all’occorrenza, di far valere la sua esuberanza fisica e caratteriale.
È ciò che fece durante tutto il primo tempo nella partita inaugurale del Mundial messicano contro la Nazionale di casa, il 31 maggio 1970. Fin dal fischio d’inizio Asatiani usò il fioretto, cercando, senza successo, di lanciare a rete le due punte, Givi Nodia e Anatolij Byšovec. Ma dette anche – e tanto – di spada, in obbedienza alle direttive di Gavriil Kačalin, storico mister sovietico, che impose alla sua squadra un esasperato forcing fin dal calcio d’inizio. Il tentativo di soffocare sul nascere la furia agonistica dei padroni di casa, spinti da novantacinquemila tifosi fasciati col tricolore bianco rosso e verde e carichi di tequila, durò finché il sole a picco del mezzogiorno messicano e i 2.200 m di altezza sul livello del mare dello stadio Azteca non prosciugarono i polmoni ai giocatori sovietici: un tempo, appunto, che si concluse a reti inviolate. Risultato che, per la cronaca, rimase inalterato fino al novantesimo.
L’irruenza eccessiva di Asatiani
In quei primi quarantacinque minuti, Asatiani – precursore del calciatore “totale” – si distinse anche in numerosi recuperi difensivi che, in più di un caso, eccedettero per irruenza. È quanto accadde, per esempio, intorno al 27’, quando il georgiano sgambettò poco fuori della sua area il centrocampista di casa Mario Velarde. L’arbitro, il tedesco dell’ovest Kurt Tschesnscher, si avvicinò minaccioso al giocatore in maglia rossa, avvertendolo che non avrebbe più tollerato interventi del genere. Detto fatto. Nemmeno cinque minuti dopo Asatiani commise l’ennesimo fallo, questa volta in attacco, spingendo alle spalle la mezzala messicana Héctor Pulido. Un’infrazione tutto sommato veniale, ma che fece traboccare il vaso – ormai colmo – della pazienza del direttore di gara. Il signor Tschesnscher estrasse così dal taschino il cartellino giallo e lo sventolò sotto il naso dell’indisciplinato centrocampista sovietico.
Un epilogo scontato, come accade in quasi ogni partita di calcio di questo mondo. Se non fosse per un particolare: quello fu il primo cartellino giallo della storia del football. Kakhi Asatiani, senza nemmeno guardare quel rettangolino di cartone color limone, recuperò la sua posizione, non prima di aver di aver mandato a quel paese l’arbitro. Il giocatore sovietico sembrò non rendersi conto di quel momento che, bene o male, consegnava il suo nome alla storia del calcio. Ciò che non poteva sapere, il calciatore georgiano, che a quel cartellino avrebbe metaforicamente legato il suo destino. Ma ci torneremo più avanti.
Sanzioni misteriose
Fino al Mundial messicano, dunque, ammonizioni ed espulsioni venivano comminate a voce dal direttore di gara. Soluzione tutto sommato efficace e accettata, negli incontri dei vari campionati nazionali, ma non di rado motivo di incomprensioni ed equivoci durante le competizioni internazionali, in cui arbitro e giocatori parlano quasi sempre lingue diverse. L’episodio più clamoroso – anche perché diffuso in mondovisione – accadde a Wembley durante i Campionati del mondo del 1966 nella partita valida per i quarti di finale tra la Nazionale inglese, padrona di casa, e quella argentina. Al 36’ del primo tempo, infatti, l’arbitro Rudolf Kreitlein – guarda caso anche lui tedesco occidentale – espulse il capitano sudamericano Antonio Rattín che chiedeva chiarimenti circa un’ammonizione inflitta a un compagno. Per diversi minuti il centrocampista del Boca Juniors finse di non capire il gesto e le parole in tedesco del direttore di gara che gli intimava di lasciare il campo. Cosa che accadde solo dopo qualche minuto di inviti insistenti e ripetuti.
L’inglese Ken Aston, presente al match come capo della Commissione Mondiale degli Arbitri – ed ex giacchetta nera a sua volta –, rimase molto colpito dalla situazione. Anche perché aveva vissuto direttamente una circostanza assai simile proprio nella partita che, di fatto, aveva decretato la fine anticipata della sua carriera di fischietto internazionale. Durante Cile-Italia ai Mondiali di quattro anni prima, infatti, Aston aveva combinato una serie incredibile di nefandezze, permettendo un gioco violento e intimidatorio ai sudamericani ed accanendosi, con grottesca acrimonia, contro la squadra azzurra. Dopo soli sette minuti dall’inizio espulse Giorgio Ferrini, reo di un fallo di reazione contro il piccolo attaccante cileno Honorino Vera (in seguito il fischietto britannico cacciò fuori – ingiustamente – anche un altro giocatore italiano, Mario David). Analogamente a Rattín, anche Ferrini si rifiutò ostinatamente di uscire dal campo. Solo l’intervento minaccioso dei terribili Carabineros cileni convinse il centrocampista azzurro ad abbandonare il terreno di gioco.
L’intuizione di Ken Aston
Anche se il comportamento del calciatore del Torino non fu dettato da incomprensioni verbali con il direttore di gara, in qualche maniera il ricordo di quella vicenda dovette fare nuovamente capolino nella mente dell’arbitro inglese. Tanto che uscì da Wembley – come lui stesso ebbe modo di ricordare – deciso a escogitare un rimedio per evitare il ripetersi di situazioni del genere. Esigenza che divenne un vero e proprio imperativo già il giorno dopo, quando seppe che i fratelli Jack e Bobby Charlton scoprirono di essere stati ammoniti nella partita contro i sudamericani solo dalla lettura dei giornali. In campo non se n’erano accorti. La soluzione – semplice e geniale – la trovò la sera stessa e, come accade spesso, praticamente per caso. Fermo al volante della sua auto ad aspettare che uno dei semafori di Kensington High Street virasse al verde, si trovò infatti a pensare: «Yellow: take it easy. Red: stop, you’re off». «Giallo: vacci piano. Rosso: basta, sei fuori!». L’uovo di Colombo!
Da quell’intuizione alla proposta di dotare gli arbitri di un cartellino giallo per l’ammonizione e di uno rosso per l’espulsione passarono quattro anni. La FIFA, dopo alcuni tentennamenti e diverse riunioni, accolse infatti l’idea di Aston, decidendo che sarebbe entrata in vigore in via sperimentale nella World Cup successiva. Quella messicana, appunto. E così fu. Alla fine della competizione mondiale la novità fu giudicata con grande favore dagli addetti ai lavori e dal pubblico. Non poteva essere altrimenti: il significato dei due colori, infatti, era immediatamente comprensibile non solo ai giocatori e agli allenatori di qualsiasi nazionalità, ma anche agli spettatori presenti sugli spalti.
Il primo “rosso”
Se Asatiani fu il primo “giallo” della storia, per vedere il cartellino rosso uscire dal taschino di un arbitro durante un incontro internazionale, invece, sarebbero dovuti passare altri quattro anni. Accadde durante i Mondiali tedeschi, nel corso della partita del girone di qualificazione tra i padroni di casa della Germania Ovest (ancora loro!) e la Nazionale cilena. L’occasione fu data all’arbitro turco Doğan Babaçan da un violento fallo di reazione da parte del sudamericano Carlos Caszely ai danni di Berti Vogts. In questo caso il baffuto attaccante cileno guardò un po’ sbigottito quel rettangolino di cartone rosso rivolto contro di lui, scosse desolatamente la chioma riccioluta e uscì mestamente – ma immediatamente – dal campo. L’idea di Aston funzionava alla grande.
Ogni Federazione cominciò così a introdurre la novità anche nei propri campionati nazionali. La FIGC l’accolse fin dal campionato 1973-74, addirittura un anno prima dei Mondiali in Germania. La decisione, presa dal Consiglio Federale nel settembre 1973, fu illustrata in una circolare del Settore Arbitrale che disponeva che «l’arbitro [mostrasse] il cartoncino – giallo o rosso – al giocatore da ammonire o da espellere levandolo in alto in modo ben visibile da qualsiasi punto del terreno di gioco e quindi anche da parte degli spettatori».
Tragico destino
Curiosamente, invece, la Federazione inglese fu una delle ultime a inserire nel regolamento arbitrale l’idea del proprio connazionale: tradizionalmente conservatrice, dette il via libera all’uso dei cartellini solo a partire dal campionato 1976-77. E questo nonostante negli anni precedenti Aston fosse stato l’ideatore di altre importanti innovazioni: dall’introduzione dell’arbitro di riserva – precursore dell’attuale “Quarto Uomo” – alla lavagna per indicare le sostituzioni; dalla giacchetta nera del direttore di gara alle bandierine di colore giallo per i guardalinee (oggi assistenti). Alla fine, comunque, l’intuizione di Aston si diffuse non solo a livello planetario, ma venne “copiata” anche da altri sport, sia di squadra che individuali: dal volley alla pallanuoto, dall’hockey al judo. Tutto grazie a un semaforo.
Chissà se quello di Kensington High Street esiste ancora. Quel che è sicuro è che da quando fu notato da Aston due dei suoi colori – il rosso e il giallo – segnarono nel bene e nel male la vita e il destino di Kakhi Asatiani.
La prima volta fu appunto il momento in cui, in un caldissimo pomeriggio allo stadio Azteca, Kurt Tschesnscher gli sventolò sotto il naso quel cartellino giallo che lo consegnò alla storia.
La seconda, invece, quando, nel 1973, subì un grave infortunio durante una partita del campionato sovietico contro l’Ararat, dal quale non si riprese e che lo costrinse, due anni dopo, ad abbandonare il calcio a soli ventotto anni. Un vero e proprio cartellino rosso esibito dal destino che sanzionò la fine anticipata della sua carriera.
La terza, quella fatale, risale al novembre 2002, quando – diventato ormai un potente uomo d’affari – fu assassinato con diversi colpi di pistola nel centro di Tibilisi mentre era fermo in macchina.
Davanti a un semaforo rosso.
Marco Della Croce
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Articolo molto interessante non conoscevo la storia. Il vostro sito è una boccata d’ossigeno. Continuate così