Storia 5 – Il declino
Olympia e il tramonto della libertà greca
A partire dal 431 a.C. uno scontro senza quartiere sconvolse la penisola ellenica, in una lotta mortale per il predominio su di essa. La Guerra del Peloponneso tra la Lega di Delos, fedele ad Atene, città sino a quel momento egemone, e la Lega peloponnesiaca, che si era raccolta intorno a Sparta, rappresentò la premessa al tramonto dell’indipendenza greca. Sul piano militare, lo scontro quasi trentennale causò un logico e inevitabile indebolimento delle fazioni in lotta, dissanguandole economicamente e demograficamente. Nel corso delle battaglie, degli assedi e dei confronti navali cadde infatti la parte migliore della gioventù ellenica. L’economia delle pòleis, sino a quel momento florida, subì danni incalcolabili e i traffici commerciali si ridussero in misura drammatica.
La resa di Atene nel 404 a.C., dopo la sconfitta subita l’anno precedente ad Egospotami, causò il tracollo dell’egemonia della città attica sull’Ellade, ma pose una fine solo momentanea agli eventi bellici. I decenni seguenti videro infatti i tentativi di rivincita di Atene e lo scoppio di altre guerre tra tutte le pòleis, dalle quali emerse per qualche tempo il prepotere della città beota di Tebe. L’epocale scontro di Mantinea (362 a.C.), dall’esito incerto, ebbe conseguenze drammatiche: gli eserciti coalizzati di Atene e Sparta e quello di Tebe si distrussero a vicenda, favorendo l’arrivo sulla scena di una potenza esterna all’Ellade, la Macedonia.
Anni travagliati
Il passaggio tra il secolo IV a.C. e il III avvenne dunque in anni estremamente travagliati, in cui l’agonismo passò in assoluto sottordine nei confronti di problemi molto più ampi. I giochi, olimpici e di altro genere, tuttavia non si arrestarono di certo, costituendo anzi forse l’unico momento di (forzata) coesistenza tra le parti in perenne conflitto. I fatti, principalmente in ambito olimpico, ma anche in contesti analoghi, testimoniarono però quanto peso esercitassero ormai le componenti esterne sulla sostanza stessa dei giochi.
Un esempio è quanto avvenne in un momento in cui le sorti belliche erano favorevoli ad Atene. Nell’estate del 420 a.C. la città attica era riuscita ad attrarre nella sua orbita l’Elide. Sparta reagì con una mossa militare, occupando la città di Lepreo e la fortezza di Firco, nel sud della regione tradizionalmente considerata sacra. Gli elei, per reazione, accusarono gli spartani di aver violato la già proclamata tregua olimpica. Comminarono di conseguenza una multa di duemila mine (due per ognuno dei mille uomini del contingente invasore) e vietarono a Sparta di partecipare ai sacrifici olimpici e alle Olimpie stesse prima di averla pagata ed essersi ritirata dall’Elide.
Sparta rispose di aver invaso il territorio prima dell’arrivo dei messaggeri dell’ekecheirίa, con un’argomentazione chiaramente poco credibile, poiché la data dell’inizio della tregua era da sempre ben nota, e rifiutò le condizioni. La disputa si trascinò per mesi, con l’evidente volontà spartana di mantenere il vantaggio militare acquisito con l’inganno e degli elei di trarre dalla vicenda il massimo vantaggio propagandistico in funzione antilacedemone.
Lo scandalo di Lica
Sparta rimase alla fine esclusa dai Giochi e tutta l’edizione fu disputata in un clima di inquietudine estrema, con la concreta minaccia di un attacco armato di ritorsione. Come ulteriore fattore di tensione scoppiò anche uno scandalo quando lo spartano Lica iscrisse la propria biga alla gara, millantandola per tebana per non incorrere nel veto. Il suo carro vinse, e la gioia del vero proprietario fu tale da rivelare l’inganno: Lica fu fatto fustigare dai giudici e cacciare da Olympia, mentre la vittoria fu assegnata a Tebe. Nonostante queste pericolose premesse, Sparta si astenne tuttavia da reazioni armate, forse per timore di suscitare problemi tra i propri alleati, che partecipavano ai Giochi.
Non è chiaro dalle fonti se la città lacedemone sia poi stata ammessa alle edizioni seguenti delle Olimpie. Si sa però da Senofonte che, terminata la Guerra del Pelopponeso con la disfatta di Atene, Sparta si vendicò dell’Elide, in una guerra durata dal 401 al 399/98 a.C, in cui un contingente di truppe devastò il territorio eleo. Giunto ad Olympia, il sovrano spartano Agide sacrificò a Zeus, e impose agli sconfitti una umiliante ammissione dei presunti torti subiti venti anni prima. L’Elide perse parte del territorio, ma riuscì tuttavia a conservare l’amministrazione dei luoghi sacri e l’agonotesía (ossia l’organizzazione) dei Giochi, che agli spartani probabilmente non conveniva assumere in prima persona per motivi di facciata.
L’egemonia macedone
L’episodio dimostra come lo stretto rapporto agonismo e vita politica del mondo greco fosse andato sempre più rafforzandosi con lo sviluppo delle vicende storiche, confermando nei fatti quanto la pratica atletica fosse connessa alla gestione della cosa pubblica e come a sua volta il prestigio e l’importanza degli appuntamenti panellenici fosse legato a quello complessivo delle pòleis. La centralità dei giochi era però destinata a diminuire con l’instaurarsi dell’egemonia della potente Macedonia, nel momento in cui il contesto politico registrò cioè un ulteriore brusco cambiamento.
A quest’epoca, già da oltre un secolo rappresentanti macedoni erano stati ammessi, pur con molte difficoltà, alla partecipazione ai Giochi Olimpici. È Erodoto a raccontarci la vicenda di Alessandro I Filelleno, re di Macedonia dal 498 al 454 a.C., il quale aveva chiesto di poter prender parte alle gare. Nonostante l’aiuto fornito agli ateniesi in occasione della battaglia di Platea, la richiesta venne rifiutata “poiché la gara era riservata ai greci e non agli stranieri”. Per ottenerne l’accoglimento Alessandro I fu costretto a ricorrere alla leggenda, e rifarsi ad una presunta discendenza della sua famiglia, gli Argeadi, dai tre mitici fratelli Gavane, Aeropo e Perdicca, della stirpe di Temeno re di Argo. Naturalmente la maggior parte delle pòleis non considerò la decisione degli ellanodici (i giudici olimpici) sufficiente a certificare la grecità della Macedonia e la loro decisione suscitò non poche polemiche e resistenze.
La questione si trascinò poi per gran parte del IV secolo a.C. sino al regno di Alessandro Magno, malgrado si siano registrate nei decenni seguenti svariate partecipazioni di principi macedoni e persino alcune loro vittorie olimpiche. Filippo II padre di Alessandro, ad esempio, trionfò nella corsa dei cavalli del 356 a.C., nella quadriga del 352 a.C. e nella biga del 348 a.C.. Il re macedone fu così orgoglioso delle proprie affermazioni (sia pure ottenute indirettamente come proprietario dei cavalli vincenti, cui spettava per tradizione la corona di olimpionico) e tanto politicamente accorto da volerle propagandare, da dare luogo all’emissione di una splendida serie di tipi monetali, tra i più belli dell’intera storia della numismatica.
La battaglia di Cheronea del 338 a.C. stabilì definitivamente l’egemonia macedone sul mondo greco. Nello scontro, Filippo II sconfisse le forze riunite di Atene, Tebe e gran parte delle pòleis, rendendo completa ed irreversibile la decadenza del sistema delle città-stato.
Poco dopo, attorno alla fine del 336 a. C., il figlio e successore Alessandro, allo scopo di rafforzare la sua posizione nello scacchiere greco, chiese che gli fosse conferita l’egemonia panellenica, cosa che gli fu rifiutata. Per rappresaglia, Alessandro fece allora attaccare e radere al suolo Tebe, eliminando con questo sanguinoso atto di forza le ultime resistenze indipendentiste. Ormai inattaccabile in Grecia, il Macedone poté finalmente rivolgere le sue attenzioni verso la Persia.
L’interesse di Alessandro per gli agoni panellenici tradizionali si ridusse subito ai minimi termini. Con l’affermarsi dell’Impero Macedone era infatti ormai cessata la necessità dell’attestazione di appartenenza al mondo greco che aveva caratterizzato il regno del padre Filippo II, e che solo i giochi sacri potevano fornire. Le conseguenze sul piano del prestigio per gli appuntamenti agonistici classici si rivelarono molto presto deleterie.
Non si trattava solo di questo, naturalmente. L’instaurarsi dell’egemonia macedone ebbe un influsso disastroso anche sulla koinè ellenica, dissolvendo i presupposti culturali che per secoli aveva mantenuto vitale il mondo greco: andarono quasi del tutto persi i valori di indipendenza e libertà che erano stati alla base della civiltà delle pòleis. La Grecia propriamente detta non fece inoltre tesoro delle terribili esperienze degli ultimi decenni e continuò a logorarsi in lotte senza sosta. L’epoca di Alessandro e dei suoi successori vide così le città greche, ormai prive della forza dei secoli precedenti, praticare un complicato alternarsi in guerre fratricide di coalizioni in funzione anti-macedone o, all’opposto, di alleanze con la stessa Macedonia. Un quadro insomma del tutto desolante, che causò il veloce ed irreversibile retrocedere della Grecia nelle zone depresse del mondo civilizzato, e pose una brusca fine alla passata potenza ellenica scala continentale in campo politico e militare.
La perdita di prestigio
Con l’instaurarsi di questo stato di cose, la rapida diminuzione di prestigio dei giochi sacri e persino della loro capacità di attrazione all’interno della Grecia divenne di fatto inevitabile. Si esaurì ogni velleità purista delle pòleis, e si perse per sempre, se non nominalmente almeno nella pratica, il carattere di esclusiva ellenicità. Accanto ai greci della madrepatria e delle colonie furono poco a poco ammessi a partecipare gli atleti dei paesi conquistati da Alessandro, e da lui e dai suoi successori più o meno in profondità ellenizzati. Sul piano formale la piena grecità degli aspiranti continuò ad essere considerata un requisito indispensabile, ma i criteri con cui questa patente di idoneità era concessa divennero elastici e persino aleatori: con una certa frequenza, nell’elenco dei vincitori olimpici si incontrano infatti nomi di asiatici o egiziani.
Contemporaneamente, gli elenchi dei vincitori certificano una larga predominanza di olimpionici provenienti dall’Elide o da territori limitrofi (cioè dalle vicinanze più immediate di Olympia), cosa solo in apparenza in contrasto con il cosmopolitismo cui si faceva cenno poco sopra. I due fenomeni sono infatti facce della stessa medaglia, ossia del minor interesse e senso di appartenenza con cui le pòleis classiche guardavano ormai alle Olimpie, e quindi del tutto verosimilmente agli altri grandi giochi.
La drastica diminuzione di prestigio e centralità degli appuntamenti agonistici classici, sempre più evidente con il progredire dell’epoca ellenistica, sarebbe poi stata destinata ad aggravarsi con l’irrompere nell’area della potenza di Roma.
Danilo Francescano
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