Piero Gros
Il ragazzino terribile della Valanga Azzurra
Già, sono passati quarant’anni. Val d’Isère, fine autunno del 1972. Una vita.
Ma le grandi imprese non hanno tempo. O se ce l’hanno, è un tempo che non si misura con il trascorrere degli anni. Si misura con un metro molto più umano, un metro legato alla nostra memoria, alle sensazioni che hanno saputo regalare ad ognuno di noi. Un metro in cui quarant’anni sono un’onda che ci avvolge, un raggio di sole che ci illumina, un fiocco di neve che ci rinfresca il viso.
Ecco, la neve. È proprio lei la padrona di casa, il giorno in cui nella storia dello sport irrompe un ragazzino destinato a ritagliarsi un futuro luminoso in un’epoca segnata da fuoriclasse da leggenda. A diventare egli stesso uno di quei fuoriclasse.
Nascita di una leggenda
È venerdì 8 dicembre. Scuole, fabbriche ed uffici sono chiusi per il lungo ponte festivo. Davanti allo schermo dei televisori (ancora in bianco e nero: i colori sono un sogno americano, per ora) si raduna l’intero Paese. In Italia, lo sci è lo sport del momento, grazie alle imprese di uno schivo, fortissimo ragazzo altoatesino, Gustav Thöni. Non un solo sportivo, se appena può, si perde le gare di Coppa del Mondo, tanto meno le prime discese della nuova stagione.
Quel giorno però, nel gigante di apertura, Gustav non disputa una delle sue prove migliori, e, pur rientrando nelle prime posizioni, il suo tempo di manche lo tiene ai margini della zona podio. Meglio fa un altro azzurro, Helmut Schmalzl, ma anche il giovanottone di Ortisei non sembra in grado di vincere.
Quando tocca agli atleti del terzo gruppo, sconosciuti che arrivano per la prima volta alle gare che contano o sciatori di secondo piano, la pista è ormai rovinata dalle molte discese. La neve, l’elemento determinante, già scarsa in partenza, è scomparsa da molti punti del tracciato. Larghe zone di erba si affacciano qua e là, cade un leggero nevischio e la visibilità non è delle migliori. Insomma, nessuno si aspetta prestazioni di rilievo, e tutti, attorno alla pista e sugli schermi televisivi, osservano senza grande interesse le discese che si susseguono.
Si va avanti come previsto, del resto. Sino al numero 44.
Poi con il numero 45 scende un esordiente di Jouvenceaux, una piccola frazione di Sauze d’Oulx. Si chiama Piero Gros, ed è nato solo diciotto anni prima, il 30 ottobre 1954. Da non crederci: uno spettacolo. Il ragazzo aggredisce i pali con una grinta incredibile e uno stile perfetto, e gli intertempi sono formidabili. La manche è durissima (oltre 1’ 45”), ma Pierino conserva sino al traguardo la concentrazione, e conclude con uno splendido, assolutamente inaspettato secondo posto, dietro il forte norvegese Erik Håker.
Nella seconda manche, ancora più lunga, attorno ai due minuti, Gros parte egualmente molto indietro, in trentunesima posizione, perché i regolamenti dell’epoca prevedono così. Non c’è nulla da fare, per gli altri: è scritto che quel giorno nasca una stella, e anche Håker deve arrendersi allo scatenato Pierino. Il trionfo azzurro viene completato dal terzo posto di Schmalzl, dal settimo di Gustav Thöni e dal nono di Renzo Zandegiacomo. Indimenticabile.
Ricordi indelebili
«E come fai a dimenticarti? Era la mia prima gara di Coppa del Mondo. Boh, è andata così, sono riuscito a vincere e insomma… niente» glissa Piero. Niente si fa per dire: una discesa dai record tuttora imbattuti. Il più giovane vincitore di una gara di Coppa del Mondo e il vincitore partito con il pettorale più alto, che nello sci è qualcosa di più che un primato. È una specie di patente di nobiltà assoluta, in considerazione dell’importanza vitale che hanno le condizioni della pista. «Ero già forte quel primo anno, ma allora i punteggi erano un po’ diversi da ora. Sono partito tutto l’inverno con il terzo gruppo, e le piste erano sempre molto rovinate e difficili. Ho fatto una gran stagione, poi l’anno dopo partendo con il primo gruppo ho vinto la Coppa del Mondo. Quindi sono anche il più giovane vincitore della Coppa in generale: avevo diciannove anni e un mese».
E poi diciamolo pure, Pierino: battendo gente come Gustav Thöni e Ingemar Stenmark, mica due carneadi qualsiasi… «Vabbè, in realtà nell’anno che ho vinto, il 1974, ho battuto Gustavo. Ingemar stava iniziando, non era ancora al cento per cento. Ce la siamo giocata io, Gustavo e Hansi Hinterseer, e alla fine il secondo è stato Thöni. L’anno dopo, nel 1975, è esploso anche Stenmark. Sono stati tre-quattro anni intensi per me, se pensi che io ho vinto la mia ultima gara in Coppa del Mondo che avevo ventidue anni, anzi ventuno anni e qualcosa. Poi appunto è arrivato Stenmark, ed è diventato sempre più difficile batterlo, perché è stato il più grande slalomista di tutti i tempi. Per me quei due anni sono stati l’apice della mia carriera. Nel 1975 ero ancora più forte degli altri. Sarebbe lunga da raccontare… Comunque, ho vinto cinque gare di seguito, poi però ho sbagliato la gara a Fulpmes, e lì è stata un po’ la mia débâcle. Guidavo la prima manche, c’era brutto tempo, nevicava. Ho preso una porta al contrario, e dopo quel gigante non ho più vinto. Alla fine c’è stato il parallelo tra Gustavo e Stenmark, ma io quell’anno ero più forte di loro. Ho avuto questa sfortuna di sbagliare una gara, se no sarebbero state sei vittorie di fila e diventava difficile prendermi. Però lo sport è così. Finché va bene, va tutto bene, poi quando le cose cominciano a girar male, le paghi un po’, la tensione, il nervoso, sai com’è… Comunque sono stati tre anni fantastici. Da lì in avanti, ho vinto un’Olimpiade, ancora una medaglia nel 1978 ai mondiali, e per il resto ho fatto una carriera non più ad altissimo livello. Sempre nei dieci, ma senza più vincere».
E poi, in quel triennio magico, c’era stata un’altra famosa vittoria di Gros, ricordata anche oggi almeno quanto l’emozionante oro olimpico di Innsbruck, dove nella seconda manche il campione di Sauze seppe rimontare in maniera entusiasmante dal quinto al primo posto.
La Valanga Azzurra
Lunedì 7 gennaio 1974, slalom gigante di Berchtesgaden, una gara entrata nella mitologia dello sport: «Sì, a Berchtesgaden ho vinto io la gara, secondo è arrivato Gustavo, terzo Erwin Stricker, quarto Helmut Schmalzl e quinto Tino Pietrogiovanna. È stato in questa occasione che si è parlato per la prima volta di Valanga Azzurra, perché giorni dopo la Gazzetta dello Sport, commentando la gara, ha titolato «È nata la Valanga Azzurra». Un risultato che avevano fatto solo le ragazze francesi, Annie Famose, Marielle Goitschel e le altre. Tra gli uomini però non era mai successo che cinque sciatori dello stesso paese arrivassero nei primi cinque posti».
Quel giorno, Gros, in forma smagliante, staccò Gustav Thöni addirittura di 2” e 23, un abisso anche per l’epoca. La storica cinquina rimane a tutt’oggi il più grande risultato dello sci azzurro, e sicuramente uno dei più gloriosi di tutto lo sport italiano: «In Italia non è più stato battuto. In Austria sì: sono arrivati in nove nei primi nove posti, in un supergigante a Innsbruck. Attorno al Duemila, ai tempi di Hermann Maier…».
Purtroppo del risultato stratosferico di Berchtesgaden non è rimasta alcuna documentazione televisiva. I costi richiesti per una cronaca in Eurovisione erano talmente alti, a causa della particolare posizione della pista, incassata tra le montagne, che la TV tedesca aveva finito per rinunciare. Persino le foto sono poche, almeno nel caso di Schmalzl e Pietrogiovanna. All’epoca infatti non c’era il digitale e si usavano i rullini: tutti i fotografi erano corsi a sviluppare per spedire ai giornali le immagini del podio azzurro, senza sospettare che in pochi minuti si sarebbe completata una pagina indimenticabile.
Come si troverebbe oggi a gareggiare Pierino Gros? Insomma, lo sci è cambiato davvero tanto dagli anni Settanta? «Ma no, assolutamente. Beh, sai… È cambiato certo, ma chi sa sciare si adegua a qualsiasi cosa. È sempre difficile fare dei paragoni, però se a Zeno Colò mettevi gli sci di Alberto Tomba o i miei faceva gli stessi risultati, e viceversa. Chi sa sciare si adatta a qualsiasi attrezzo, non è un problema».
Nelle Olimpiadi del 2006, in un’edizione stupenda dei Giochi, Gros è stato uno dei tedofori: «Vero. Assieme a Tomba, a Stefania Belmondo, a Deborah Compagnoni e alla staffetta che ha vinto a Lillehammer sono stato uno degli ultimi tedofori a Torino. La cosa più bella di quell’Olimpiade però è stata che mi sono occupato dei volontari. Ho lavorato prima dei Giochi, andando un po’ in giro, e così via. Insomma è stata un’esperienza molto bella. Poi certo, lì allo stadio… Insomma, essere lì, al centro della cerimonia, è stato un momento molto emozionante. Comunque sia, sono quelle cose che vedi sempre e solo in televisione, poi quando ci sei e vedi quello che c’è dietro l’organizzazione di un’Olimpiade, ti accorgi che è un fatto gigantesco».
Oggi, Gros non si occupa più direttamente di sci: «Faccio il telecronista per la televisione svizzera, sono sempre in giro e partecipo in maniera distaccata. Non ho un impegno con la squadra, con la nazionale. Frequento gli atleti, parlo con tutti, però lo sci lo vivo dall’esterno. L’ho seguito un po’ più intensamente quando mio figlio Giorgio ha fatto qualche gara di Coppa del Mondo, poi mi sono limitato a fare il commentatore tecnico».
«Ho avuto la fortuna di vincere tanto dai diciotto ai ventidue anni» conclude Pierino. «Credo sia la cosa più bella per un atleta, vincere a quell’età. Farlo a trenta, ventinove o ventotto, dopo che hai accumulato tanta esperienza, è bello, ma vincere al tuo debutto, essere lì alla prima gara, negli anni quando lo sport è veramente una parte integrante di te, dopo che hai fatto tutta la trafila giovanile, è il massimo. Partire e vincere subito il gigante, vincere di nuovo poco dopo lo slalom a Madonna di Campiglio, e quindi confermarsi, per uno sciatore è esaltante. Poi vedo questi record, vedo che sono l’atleta più giovane ad aver vinto una gara di Coppa, che sono l’unico ad aver conquistato le prime due gare dal debutto, che sono il più giovane ad aver vinto la Coppa del Mondo. Insomma, lo sport vissuto così è veramente il massimo… sono cose che ti danno davvero il senso di che cos’è lo sport».
Cose da Piero Gros, il ragazzino terribile della Valanga Azzurra. Cose da Piero Gros, l’uomo dei record.
Danilo Francescano
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(intervista raccolta nel mese di febbraio 2013)
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