Il Giro d’Italia 1909 – 1
L’onda invincibile
Il primo pomeriggio di mercoledì 12 maggio 1909 le forze dell’ordine ebbero il loro bel daffare per riuscire a tenere a bada la folla che, numerosa oltre ogni aspettativa, aveva invaso corso Buenos Aires e le vie adiacenti. L’albergo Loreto, al cui interno stavano per cominciare le operazioni di punzonatura delle biciclette partecipanti al primo Giro ciclistico d’Italia, era letteralmente assediato da migliaia di milanesi ansiosi di vedere da vicino i propri idoli. Carabinieri, guardie a cavallo e ghisa si videro costretti a creare un cordone attorno all’edificio per permettere la regolarità dell’evento, primo atto della partenza vera e propria fissata per le prime ore della notte successiva.
Una vera festa popolare, un entusiasmo che sorprese gli stessi dirigenti della Gazzetta dello Sport, organizzatori della corsa, reduci da mesi di duro lavoro. Quella folla festosa era il primo riscontro della bontà della loro idea. La scommessa, che ai più era parsa tremenda, a tratti disperata, pareva vinta. Ora la palla passava ai corridori.
Una data storica
Tutto era cominciato il 5 agosto dell’anno prima, quando Angelo Gatti, fondatore e comproprietario dell’Atala, era venuto a conoscenza che il Corriere della Sera, il Touring Club Italiano e la rivale Bianchi stavano progettando insieme la nascita di un Giro d’Italia in bicicletta. Proprio la stessa idea che solleticava da tempo i vertici della Gazzetta.
Gatti passò l’indiscrezione all’amico Tullo Morgagni, giornalista e socio della rosea, che non perse tempo e convocò Eugenio Camillo Costamagna, il direttore, e Armando Cougnet, il caporedattore della sezione ciclismo – in quei giorni entrambi in ferie –, con due telegrammi dal contenuto identico: «Improrogabili necessità obbligano Gazzetta lanciare subito Giro d’Italia. Ritorna Milano. Tullo».
Il giorno dopo i tre si ritrovarono, in via Santa Radegonda 10, sede del giornale, dove convennero sulla assoluta necessità di battere sul tempo il Corriere. Il quotidiano milanese, infatti, non era nuovo a iniziative di disturbo: fin dal 1901 patrocinava infatti un Giro d’Italia automobilistico, molto apprezzato dal pubblico e dai partecipanti. Era dunque vitale che l’unico periodico sportivo italiano – allora bisettimanale – non si facesse trovare ancora una volta impreparato. Era chiaro che se la rosea fosse riuscita a organizzare quel Giro, ciò le avrebbe sicuramente fatto guadagnare prestigio e lettori. Il successo di una manifestazione analoga come il Tour de France che, dopo sole sei edizioni disputate, aveva già assunto una dimensione e un interesse internazionali, era lì a dimostrare la validità del progetto.
Fu così che sulla prima pagina della Gazzetta di lunedì 24 agosto agosto 1908 comparve un articolo il cui si annunciava la futura nascita del primo Giro d’Italia. Il pezzo, su tre colonne, svelava il regolamento, il montepremi e una cartina con una bozza di percorso di circa tremila chilometri. Tra le ipotetiche sedi di tappa anche le tre città-simbolo dell’irredentismo italiano, Trento, Trieste e Nizza. Costamagna (che si firmava Magno), scrisse un commento intitolato L’onda invincibile, in cui usò tutta la retorica giornalistica di cui era capace.
Il primo, urgente obbiettivo – bruciare il Corriere sul tempo – era dunque stato centrato. Ora non restava che darsi da fare per trasformare quello che era solo uno squillante annuncio in una solida realtà. Compito che, fin da subito, non si rivelò semplice. Oltre il grande entusiasmo e la soddisfazione di aver preceduto i rivali c’era infatti il vuoto, o poco più. Nessuna data certa, sedi di tappa del tutto aleatorie e, soprattutto, assoluta mancanza di copertura finanziaria.
Se dal punto di vista più strettamente organizzativo non esistevano grandi preoccupazioni – il periodico diretto da Costamagna già da tre anni patrocinava con successo il Giro di Lombardia e da un anno la Milano-Sanremo –, il vero ostacolo stava nella capacità di reperire i fondi necessari. Le finanze del giornale, a quel tempo inesorabilmente deficitarie, rischiavano infatti di far abortire sul nascere quella corsa annunciata forse troppo in fretta. Alla Gazzetta ne furono subito consapevoli, tanto che già l’edizione del 7 settembre uscì con un fondo a una colonna (Una tregua di riserbo) in cui si annunciava una momentanea sospensione delle notizie sulla nascita del Giro.
A togliere le castagne dal fuoco ci pensò Primo Bongrani, segretario della Commissione Italiana per le Olimpiadi che, appena rientrato da Londra, dove aveva assistito alla drammatica maratona di Dorando Pietri, si fece convincere dall’amico Costamagna a dargli una mano nel cercare i finanziamenti. L’uomo, ragioniere della Cassa di Risparmio, si mise in ferie e cominciò a bussare a molte porte in cerca di quattrini. Porte che, grazie alla sua abilità, iniziarono ad aprirsi una dietro l’altra. Vincenzo Lancia, pilota e fondatore dell’omonima casa automobilistica, versò senza batter ciglio mille lire, la stessa cifra offerta anche dal Casinò di Sanremo.
Il finanziamento più incredibile il bancario milanese lo ottenne però dai rivali del Corriere della Sera che acconsentirono, con grande signorilità, a stanziare la bella somma di tremila lire, premio destinato al vincitore finale. Perfino Casa Savoia scommise sul Giro che doveva ancora nascere: dopo essersi informata sul progetto, mise infatti in palio la medaglia d’oro del Re.
Con il denaro in cassaforte, finalmente l’organizzazione decollò anche nel suo aspetto più prettamente fisico. C’erano da fare sopralluoghi e ricognizioni, verificare lo stato delle strade, chiedere alle autorità lavori e permessi, garantirsi la forza pubblica lungo l’intero percorso. Un lavoro che Cougnet, promosso a direttore della corsa, svolse con profitto, grazie anche all’esperienza maturata durante i Tour de France del 1906 e del 1907, da lui seguiti da vicino.
Il 26 marzo 1909 furono finalmente svelati i dettagli definitivi del primo Giro d’Italia. Otto tappe, inframmezzate da una o più giornate di riposo, per un totale di 2.448 chilometri. Partenza il 14 maggio, da Milano, e arrivi a Bologna, Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova e Torino, con la conclusione, sempre a Milano, prevista per il giorno 30. Iscrizione aperta a professionisti e dilettanti, italiani e stranieri, squadre ufficiali e isolati. Il vincitore di tappa premiato con un punto, il secondo con due, e così via, fino a stilare una graduatoria che avrebbe visto la vittoria finale del corridore con il punteggio più basso.
Una scommessa vinta
Il Giro raccolse moltissime adesioni. Il primo a iscriversi, in ordine di tempo, fu Felice Peli, un ventenne isolato della bassa Val Trompia, seguito da altri centosessantacinque corridori. Tra loro, il meglio del ciclismo italiano: Giovanni Gerbi, Luigi Ganna, Giovanni Rossignoli, Romolo Buni, Carlo Galetti, Dario Beni, Eberardo Pavesi. Una ventina, invece, i ciclisti stranieri: tra questi i francesi Lucien Petit-Breton (vero nome Lucien Georges Mazan) e Louis Trousselier (entrambi vincitori di Tour passati), l’austriaco di Trieste Henry Heller, il belga Cyrille Van Hauwaert, l’argentino Anselmo Ciquito, il russo Iwan Nedela.
Campioni e comprimari… del tutto diversi dal modello del ciclista di oggi. I baffi a manubrio, l’espressione severa, in sella a biciclette pesanti senza cambio, abituati a correre su strade polverose e non asfaltate, i corpi sgraziati e malnutriti, due stracci per vestito, quasi sempre coperti di fango, i volti precocemente invecchiati dalla fatica.
Eppure fu per vedere questi uomini che la gente si riversò in corso Buenos Aires. Tanto da bloccare il pur scarso traffico di allora. Tanto da far richiedere l’intervento dei carabinieri. Per i milanesi, quei ciclisti che entravano al Loreto per la punzonatura erano tutti degli idoli, belli e imbattibili. Quel pomeriggio valeva la pena essere lì a guardarli e poi aspettare la notte seguente per vederli partire.
Per la prima volta, da mesi, Costamagna, Cougnet e Morgagni pensarono di avercela fatta. Il primo Giro d’Italia poteva cominciare.
Marco Della Croce
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Mi complimento per l’ottima ricostruzione storica
Grazie Christian. In effetti la nascita del Giro è un tema affascinante. Ci torneremo (mdc)