Genoa-Bologna 1925
Quel pasticciaccio brutto del calcio italiano
Quante volte abbiamo sentito dire che il calcio, metafora della vita, è una ruota che gira, alternando nel tempo storie e vicende simili? Vale per i campioni (siano portieri, difensori, attaccanti o formidabili numeri dieci), gli allenatori e anche i presidenti che con le loro imprese hanno lasciato il segno. Ogni epoca, insomma, ha avuto le sue parabole calcistiche più o meno avvincenti.
In Italia, però, la ruota del calcio ha sfornato anche guai, pasticci e veleni in quantità industriale. Tutti conoscono le cronache di questi giorni, Moggiopoli o gli scandali delle scommesse degli anni Ottanta; pochi, invece, ricordano il campionato di Prima Divisione 1924-25.
Procediamo con ordine: in quella stagione le candidate alla vittoria finale sono Genoa e Bologna, con i liguri a caccia del loro decimo scudetto (e della relativa stella). Gli emiliani, dal canto loro, hanno una squadra fresca e giovane e nutrono prospettive molto ambiziose. In più, possono contare su un vice presidente-tifoso tanto importante quanto sfegatato, Leandro Arpinati, un gerarca fascista intimo amico del Duce, che oltretutto è anche vicepresidente della Lega Calcio.
Quel campionato non vede comunque le due squadre fronteggiarsi subito. Il regolamento, infatti, prevede la ripartizione delle partecipanti in due Leghe, Nord e Sud, ognuna delle quali suddivisa a sua volta in sotto-raggruppamenti. La vincente tra le prime classificate dei due gironi settentrionali avrebbe poi dovuto giocare la finalissima contro la squadra uscita vincitrice dai campionati meridionali.
Nella Lega Nord, girone A, il Genoa si impone con trenta punti, spuntandola di una sola lunghezza sul Modena. I Grifoni hanno due punti di forza: lo stadio Marassi, che nelle partite casalinghe si trasforma in una bolgia infernale, e Cesare Alberti, uomo in più di un collettivo che da tempo gioca a memoria. Curioso il fatto che il giovane centrocampista sia stato scartato proprio dal Bologna dopo un infortunio al ginocchio. Sotto la Lanterna Alberti viene rimesso in piedi grazie una delle prime operazioni al menisco del nostro calcio.
Nel girone B il Bologna ha invece la meglio su un formidabile duo di squadre piemontesi: la Pro Vercelli e la Juventus. In particolare, il duello fra gli emiliani e i bianconeri rende entusiasmante ogni gara. Il testa a testa è continuo, finché la Juventus non perde colpi nel rush finale (decisiva la sconfitta proprio contro la Pro Vercelli), regalando il primato al Bologna, primo con trentasei punti.
I primi spareggi
La finale d’andata per la Lega Nord fra i due team rossoblù si gioca al campo Sterlino di Bologna il 24 maggio 1925 e le ruggini di una fortissima rivalità – risalente al contestato esito del campionato precedente, vinto proprio dal Genoa – affiorano subito. I campioni non mancano da entrambe le parti (nel Bologna ricordiamo il tridente delle meraviglie, formato da Bernardo Perin, Angelo Schiavio e Giuseppe Della Valle), ma sono i liguri a prendere l’iniziativa e a vincere per 2-1. I gol dell’ex Alberti e di Edoardo Catto, con Schiavio che accorcia le distanze nel finale, sembrano dare una svolta decisiva allo spareggio, anche in considerazione della forza casalinga del Genoa.
Ma ecco il primo colpo di scena: nella gara di ritorno, sette giorni dopo, in un Marassi già pronto per la festa, il Bologna restituisce a sorpresa il 2-1 dell’andata, con le reti di Giuseppe Muzzioli e di Della Valle, dopo il momentaneo pareggio di Aristodemo Santamaria.
Si decide quindi per uno spareggio in campo neutro, a Milano, il 7 giugno. Fin qui, tutto regolare. Appunto, fin qui. Il primo problema si ha dopo il doppio e meritato vantaggio del Genoa che, alla fine del primo tempo, conduce 2-0 coi gol di Catto e Alberti. Al 15’ della ripresa il bolognese Muzzioli spara infatti un’autentica bomba che viene apparentemente deviata in angolo dal portiere ligure Giovanni De Prà. Apriti cielo! Alcuni tifosi e dirigenti del Bologna, spalleggiati da qualche camicia nera, entrano in campo e accerchiano minacciosi l’arbitro, il milanese Giovanni Mauro, pretendendo che sia assegnato un gol alla squadra felsinea. Sostengono infatti l’esistenza di un buco nella rete del Genoa, ragion per cui nell’azione precedente la palla sarebbe entrata in porta e, quindi, uscita da quella falla (di cui nessuno ha però mai accertato l’esistenza). Volano parole grosse, mentre in campo i calciatori si innervosiscono e lo spettacolo diventa pietoso. L’arbitro, sotto pressione, alla fine concede il gol del 2-1, ma promette ai liguri e al loro capitano Renzo De Vecchi che avrebbe fatto rapporto agli organismi federali, in modo da far ottenere loro la vittoria a tavolino.
Si prosegue così solo per ragioni di ordine pubblico. In un clima di confusione crescente il pareggio di Schiavio all’82’, dopo un fallo sul portiere, crea altri parapiglia e ulteriori nervosismi. Finisce 2-2, con il Genoa che, rifiutando di giocare i previsti supplementari, preferisce farla finita con quella che – a suo modo di vedere – è solo una farsa.
Qualche giorno dopo in Federazione l’arbitro Mauro confeziona l’ennesimo pasticcio di questa triste storia. Si rimangia infatti la parola data al Genoa e fa omologare il risultato di 2-2. Una decisione discutibile, nella quale pare ci sia stato lo zampino di Arpinati, in veste di influente dirigente della Lega.
Un nuovo spareggio viene così fissato per il il 5 luglio a Torino, ma ancora una volta questa non sarà la partita decisiva. Anche nel capoluogo piemontese Genoa e Bologna non vanno infatti oltre l’1-1, in virtù delle reti di Schiavio e Catto. Stavolta i disordini non si registrano in campo, bensì fuori, e in particolare all’interno della stazione ferroviaria di Porta Nuova, dove alcuni facinorosi vengono a contatto fra loro, causando scontri e molti feriti, alcuni addirittura da colpi di pistola. La violenza scuote l’opinione pubblica che resta attonita di fronte a uno scenario quasi di guerra e decide per la sospensione temporanea del torneo in attesa di placare gli animi fin troppo accesi.
Una decisione… provvidenziale
Ma, proprio come nei cinematografi del tempo, nelle scene decisive ecco tornare in scena il protagonista, Leandro Arpinati. È ancora lui a stupire tutti: in un Consiglio Federale, infatti, impone a sorpresa la disputa di un ulteriore spareggio, da giocarsi il 9 agosto alle 7 di mattina in un campo secondario del quartiere Vigentino a Milano.
Di quella partita viene però avvisato solo il Bologna, mentre i dirigenti del Genoa ne vengono a conoscenza soltanto poche ore prima. Con i giocatori liguri richiamati in fretta e furia dalle vacanze e, quindi, del tutto fuori forma, il Bologna ha gioco facile. I rossoblu felsinei si impongono infatti per 2-1, con i sigilli di Pozzi e Perin, in una gara che si svolge con un nutrito contorno di camicie nere emiliane.
La vittoria non significa ancora scudetto al Bologna, ma vale comunque più di un’ipoteca. Vinta la Lega Nord, la squadra di Arpinati deve infatti superare la vincente del raggruppamento meridionale. Si tratta però di una semplice formalità, visto che all’epoca il maggior tasso tecnico delle squadre settentrionali era nettissimo. La doppia finale con l’Alba Roma è infatti a senso unico e vede il Bologna imporsi sia all’andata (4-0) che al ritorno (2-0), conquistando così il titolo di Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia.
Uno scudetto importante, forse meritato, ma sul quale grava da sempre il sospetto che sia stato favorito dalle manovre non proprio cristalline di Arpinati. Che, a detta tutti, fu sicuramente l’uomo più importante e decisivo di quella magnifica squadra.
Lucio Iaccarino
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