I Montano
La dinastia che ha infilzato il tempo
Livorno affacciata sul mare, spettinata da un vento che non l’abbandona mai, Livorno toscana irriverente per sottrarsi all’abbraccio soffocante della cultura e della storia di Firenze e Pisa, Livorno che racconta storie di gente strana, e vive di sarcasmo, indipendenza, e «boia, dèh!», che vuol dire tutto ed il contrario di tutto. Qualcuno non ama la sua gente, qualcuno li chiama maledetti, tutti però un po’ li temono perché nella loro genìa c’è qualcosa di indomabile simile al vento che sferza l’Ardenza, qualcosa che fugge alle regole convenzionali, ai riti collettivi, qualcosa che sa di ribelle. Tra queste case, tra queste vie, al n. 3 di via Allende c’è una palestra che profuma di storia, è il Circolo Scherma Fides, fondato da Giuseppe Nadi, nel 1892, è la palestra italiana che ha generato il più alto numero di campioni sportivi, tanto da essere riconosciuta come una delle più importanti scuole schermistiche al mondo. Giuseppe Nadi era il padre di Aldo ma soprattutto di Nedo, un ragazzino che tirava di fioretto come nessuno, tanto che a soli diciotto anni alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 vinceva già l’oro olimpico.
Qualcuno forse pensava si trattasse di un caso, ma il ragazzino che studiava sciabola di nascosto al padre aveva ben altro in mente, e infatti ai Giochi Olimpici di otto anni dopo ad Anversa nel 1920, pensò bene di andare a vincere la massima onorificenza in ben cinque discipline, quali il fioretto individuale e a squadre, la sciabola individuale e a squadre e la spada a squadre. Poi se ne andò a insegnare la sua arte altrove, in Argentina, salvo ritornare nel 1930 per deliziare ancora un po’ la sua gente e fare in tempo a trasmettere il suo sapere alle generazioni future.
Divenne presidente della Federazione Italiana e lo rimase fino alla morte avvenuta a soli quarantanove anni, ma nel frattempo sotto la sua guida riuscì a formare nuovi atleti tra cui spiccava un certo Aldo Montano, livornese come lui, del 1910, che sarà il capostipite di una grande famiglia di schermidori.
Aldo tirerà di sciabola per tutta la vita, sarà argento per due volte all’Olimpiade del 1936 a Berlino e a quella del 1948 a Londra, ma soprattutto sarà campione del Mondo individuale e a squadre nel 1938 e nel 1947; nel 1950, a quarant’anni anni suonati, sarà capace di vincere l’oro a squadre ai Campionati Mondiali di Montecarlo. Nei restanti quarantasei anni fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1996, avrà modo di vedere crescere sotto la sua ala tutti i talenti di una famiglia dedita alla scherma, a partire da Mario Aldo, suo figlio, che in quel lontano 1950 aveva appena due anni.
La seconda generazione
Mario Aldo è un livornese atipico, il suo profilo non è smussato dal vento, le sue forme non sono elegantemente allungate, non è alto, è più propenso alla rotondità, chissà che fatica doveva fare per contenere il peso, ma la scherma è disciplina di vita prima che sport, e così per questo livornese di lingua lunga e senso teatrale della recita sportiva, inizia l’avventura in un mondo che fino ad allora aveva conosciuto solo compostezza, sobrietà ed eleganza.
Mario Aldo è forse il primo a urlare accompagnando ogni affondo, sia che valga il punto sia che non vada a buon fine, la sua scherma è più figlia dell’agonismo che del bello stile, ma trasuda classe ad ogni stoccata, ad ogni schivata, è un mare che va e viene, si concede e si ritrae, e cresce, cresce sotto gli occhi di tanto padre e del maestro Athos Perone. Sono gli anni in cui anche la scherma italiana scopre le sue rivalità interne, il dualismo nasce tra chi preferisce il simpatico livornese e chi invece ha un occhio di riguardo per il più classico Maffei. A giovarsi di questa contrapposizione però è tutto il movimento schermistico italiano e la sciabola in particolare, che con le sue due stelle in squadra vince l’oro ai Giochi Olimpici di Monaco 1972 e si ripete con l’argento a quelli di Montréal 1976 e Mosca 1980. L’Olimpiade moscovita è però il canto del cigno per Mario Aldo Montano, che si lascerà alle spalle quattro bronzi nelle prove mondiali a squadre e soprattutto due successi individuali a Göteborg 1973 e Grenoble 1974 . Il suo collega avversario Michele Maffei raccoglierà ancora qualche alloro, tra cui il bronzo mondiale individuale nel 1981, poi anche lui lascerà la pedana.
Nella squadra di sciabola di questo periodo, Mario Aldo non è però l’unico rappresentante di famiglia: fa infatti bella mostra di sé il cugino Mario Tullio, che condividerà con lui, oltre all’oro della sciabola a squadre dell’Olimpiade del 1972 e l’argento di quella del 1976, anche i bronzi dei mondiali del 1971-1973 e 1974.
Gli altri Montano
Nell’Olimpiade del 1976 con loro ci saranno pure i cugini Tommaso e Carlo, inseriti però nella squadra di fioretto con cui vinceranno l’argento. Nel palmarés internazionale di Tommaso, a fine carriera figurerà anche un bronzo colto sempre nella stessa disciplina a squadre, due anni prima, ai mondiali svoltisi a Grenoble, mentre in quello di Carlo, due argenti individuali ai Campionati Mondiali del 1974 e 1977 e quattro bronzi in altrettante edizioni nella competizione a squadre. Carlo sarà anche l’unico della famiglia, insieme a Mario Aldo, a vincere una Coppa del mondo di disciplina, e lo farà nel 1977, mentre al cugino era successo nel 1974.
Carlo è l’ultimo della dinastia a vincere qualcosa di importante a livello internazionale, il bronzo del fioretto a squadre ai mondiali di Roma del 1982. Dopo di lui non ci sono più Montano sulle pedane, la scherma scopre altri nomi, si invaghisce soprattutto delle stoccate al femminile, e alla Palestra Fides, anche se si allenano ancora in tanti, qualcosa sembra mancare nell’aria; in casa Montano il vento sembra non soffiare più.
Livorno è una malattia che sa di salmastro, famiglie che all’ora di pranzo fanno armi e bagagli e si trasferiscono a mangiare sul mare: livornesi si nasce e non si smette mai di essere, allo stesso modo se si nasce Montano è naturale ritrovarsi una sciabola in mano.
Così Aldo, che era un ragazzino di due anni quando suo padre Mario Aldo vinceva l’ultima medaglia olimpica, finisce col prendere in mano anche lui l’attrezzo di famiglia e comincia a darci di taglio e controtaglio, sostenuto da un fisico potente e dalla guida di Viktor Sidjak, quattro volte campione olimpico, ex rivale del padre. Arriva il 1997, nonno Aldo se n’è appena andato da circa un anno, a soli diciannove anni il nipote ne eredita il testimone e a Tenerife, ai Campionati Mondiali giovanili, vince la medaglia d’oro individuale e a squadre nella sciabola. Forse nemmeno lui ci aveva mai creduto, ma adesso la strada è tracciata, la vita gli ha regalato un sogno e quel sogno si chiama Olimpiade.
Nel 2001 arriverà il primo titolo italiano assoluto e poi via, spinto dal vento lungo rotte sempre più ardue e pretenziose. È argento ai mondiali a squadre del 2002, bronzo ai mondiali individuali del 2003 e poi eccolo il 2004, l’anno che corona le fatiche di tutta una dinastia: l’oro nella sciabola individuale all’Olimpiade di Atene. Aldo quel giorno è una furia incontenibile, nella sua gioia, la gioia di nonno Aldo, di suo padre Mario Aldo di tutti gli zii, un inseguimento iniziato a Berlino nel 1936 e conclusosi sessantotto anni dopo su una pedana in terra greca. In mezzo giorni e giorni di allenamenti, rinunce, carriere finite ed iniziate, famiglie, mogli e figli a cui si è tolto tempo prezioso. Aldo sublima tutto questo in un urlo liberatore.
In breve diventa personaggio mediatico e il gossip se lo fagocita. Storie con modelle più o meno reali, prime pagine di giornali scandalistici, apparizioni televisive: il ragazzo sembra perdere un po’ di vista il senso dello sport che ha scelto di praticare e infatti, pur restando ad alto livello, non vince più: è argento ai Mondiali del 2007, argento a squadre nel 2009, e 2010, ma il top sembra ormai irraggiungibile.
Fino al 2011. Aldo ha trentatré anni e nessuno pensa più a lui in termini di risultati, ma i livornesi sono gente che non demorde e così ai mondiali di Catania Aldo si ripresenta a sorpresa, senza proclami o attese particolari. Ci crede solo lui, lui che sa da dove viene, lui che ha voglia di gridare al mondo: «Sono ancora qui, non sono finito».
Contro ogni pronostico arriva sino alla finale dove ad aspettarlo c’è il tedesco Nicolas Limbach, la medaglia d’argento dei Mondiali dell’anno prima, uno a cui il destino sembra aver deciso di pagare il credito, dandogli in eredità quale sfidante questo vecchio campione sul viale del tramonto.
Limbach e i suoi ventisei anni pensano forse che questa volta sia fatta, ma non fanno i conti con l’orgoglio smodato di un uomo che prima ancora che il suo avversario, ha bisogno di battere se stesso, i propri limiti, i propri sbagli, il tempo che ha buttato, le dicerie, i pregiudizi di un ambiente che troppo presto lo ha dato per finito. In un pomeriggio siciliano che sa di capolavoro Aldo Montano, la prima medaglia olimpica individuale di sciabola dai tempi di Nedo Nadi, vince la medaglia d’oro della sciabola individuale battendo per 15-13 l’ostico tedesco.
Livorno affacciata sul mare, spettinata da un vento che non smette mai di soffiare, racconta storie di gente strana. Come quella di una dinastia che ha infilzato il tempo.
Marco Tonelli
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un grande articolo per una grande storia
Grazie, Luisa, anche a nome del nostro collaboratore Marco Tonelli. I Montano sono una delle più grandi dinastie sportive italiane, forse la più grande insieme agli Abbagnale, di cui per altro ci siamo occupati intervistando il capostipite Giuseppe. Continueremo a raccontare storie di famiglie di campioni cui dobbiamo pagine indimenticabili di sport. (La Redazione)