Ondina Valla
“Il sole in un sorriso”
Quando il 20 maggio 1916, dopo quattro figli maschi, la famiglia Valla fu finalmente allietata dalla nascita di una bella bambina, l’orgoglioso genitore non ebbe esitazioni. Scelse per la nuova arrivata un nome che gli era caro, quello di una città esotica e misteriosa, evocatrice di deserto e carovane: Trebisonda (oggi Trabzon). Fantasie di padre. Ondina, come la chiamavano in famiglia, crebbe infatti priva di suggestioni orientali per divenire una solida ragazza emiliana, ben piantata (173 cm di altezza per 66 Kg di peso), esuberante e soprattutto dotata di un precoce talento atletico.
Appena undicenne, il 23 giugno 1927, vinse con un metro e dieci il salto in alto in una gara tra le alunne di Bologna, piazzandosi poi al terzo posto nei 50 metri piani e nel lungo, con un buon 3,52. Il maggiore Vittorio Costa, organizzatore dei Littoriali, era presente all’evento e non si fece sfuggire quella ragazzina che sembrava nata per l’atletica. Fu l’inizio di una carriera folgorante.
Poco dopo, nel 1929, ci fu il primo atto di un infinito duello con un’altra bolognese, di soli cinque mesi più anziana, Claudia Testoni. Si sarebbero incontrate in altre novantasette occasioni e la Valla avrebbe prevalso per oltre due terzi delle volte. Le due, contrariamente a ciò che fu poi detto, furono molto amiche, tanto che, alla morte della Testoni nel 1993, l’avversaria di sempre, profondamente commossa, l’avrebbe ricordata legandola alle cose più belle della sua vita.
A soli quattordici anni, campionessa italiana assoluta, Trebisonda fu convocata in Nazionale dal CT Martina Zanetti che la fece gareggiare in cinque gare (100 m, staffetta veloce, 80 m a ostacoli, lungo e alto) e, in occasione di un Italia-Belgio del 1930, accolse in via ufficiale il diminutivo Ondina.
L’Olimpiade di Berlino
Tra diatribe con la madre, che (a differenza del padre) non vedeva di buon occhio l’attività sportiva della figlia, e duelli a colpi di record con la Testoni, arrivò il 1936, l’anno dell’Olimpiade di Berlino e di Adolf Hitler. Benito Mussolini, dal canto suo, voleva che la partecipazione azzurra fosse all’altezza delle ambizioni del fascismo. Per l’atletica le speranze erano riposte nei mezzofondisti Luigi Beccali e Mario Lanzi, nelle staffette veloci e nelle due bolognesi. Eppure la Valla, soprannominata dalla stampa Il sole in un sorriso, e la Testoni risultavano sino a quel momento assenti nei pronostici internazionali, pur vantando entrambe nella gara prescelta – gli 80 m a ostacoli – un ottimo 12” 00 che le poneva al quinto posto del ranking mondiale.
Sabato primo agosto 1936 la fiaccola, per la prima volta accesa ad Olimpia, entrò nel gigantesco Olympiastadion. Dopo aver agevolmente liquidato il turno eliminatorio, il 5 agosto le due ragazze superarono con facilità le semifinali. Ondina si permise addirittura di eguagliare in 11” 60 il primato del mondo, pur se con un vento favorevole di 2,8 m/s. Il tempo le venne omologato come record ventoso: all’epoca, infatti, non era ancora in vigore la regola che stabilisce in 2 m/s il limite massimo accettabile.
Giovedì 6 agosto era il giorno della finale. Ondina, che aveva sognato per tutta la notte il tricolore sventolante su un pennone, non era in forma smagliante, tormentata da un fastidioso mal di gambe, così come Claudia che era nei giorni del ciclo. Faceva freddo, per essere un giorno d’estate, e le due atlete cercarono di aiutarsi con delle zollette di zucchero bagnate nel cognac.
Claudia partì fortissimo, portandosi subito in testa. Ondina, in difficoltà, si trovò a dover rimontare. La bolognese raccontò poi di non aver guardato le altre, ma di aver solo pensato a correre: tattica indovinata, perché ai cinquanta metri aveva già raggiunto le avversarie. Fu allora che Ondina chiamò a raccolta volontà ed energie, aggredendo gli ultimi ostacoli come mai aveva fatto prima e gettandosi ad occhi chiusi sul filo di lana.
Fu un finale incredibile, con quattro atlete con lo stesso tempo, 11” 7. La percezione della vittoria della Valla fu subito chiara, ma per i piazzamenti si dovette attendere a lungo. Inizialmente fu data seconda l’altra azzurra, prima che la zielzeitkamera, il fotofinish (allora valido solo per per l’ordine d’arrivo e non ancora per il tempo ufficiale) desse un altro responso. Ondina fu cronometrata in 11” 748, ma l’argento andò alla tedesca Anny Steuer con 11” 809. La Testoni perse anche il bronzo, pur avendo ottenuto lo stesso 11” 818 della canadese Betty Taylor (inizialmente classificata quarta) e, dopo uno sportivo abbraccio con la Valla, rientrò negli spogliatoi convinta di essere stata defraudata di una medaglia. Claudia si sarebbe rifatta negli anni seguenti con il titolo europeo del 1938 e quattro primati mondiali.
Dal canto suo, Ondina divenne una star assoluta, quando le sue prime dichiarazioni (piuttosto scontate, in verità) furono rilanciate dalla radio in tutta Italia. La premiazione fu atipica, perché due sole atlete salirono sul podio. La Taylor infatti, convinta di essere fuori dalle medaglie, aveva già abbandonato, triste e arrabbiata, l’Olympiastadion. Mentre le note della Marcia Reale risuonavano e il tricolore saliva sul pennone più alto, realizzando il sogno di Ondina, la ragazza si adeguò al clima dell’epoca e levò il braccio destro nel saluto romano. Del resto, sarebbe stato difficile comportarsi diversamente.
Il 5 settembre la Valla e i medagliati azzurri furono ricevuti a Palazzo Venezia. Con molta delusione da parte degli altri, Mussolini volle accanto a sé nella foto di rito la bella ragazza bolognese. Ondina ricevette anche una medaglia speciale e un assegno di cinquemila lire, dopodiché tornò soddisfatta ai suoi allenamenti.
Un giusto riconoscimento
Nel prosieguo della carriera non raggiunse più gli stessi livelli stellari. Tormentata da un continuo mal di schiena (in realtà una spondilosi vertebrale), la Valla gareggiò per altre quattro stagioni, fornendo comunque ottime prestazioni come il primato italiano nel salto in alto, stabilito nel 1937 con 1,56 m e imbattuto sino al 1955. All’inizio degli anni Quaranta lasciò lo sport attivo, dopo sedici presenze in Nazionale, quindici titoli e ventuno record italiani, di cui l’ultimo nel 1940 con il pentathlon. Divenuta per breve tempo allenatrice, sposò nel 1944 il chirurgo Guglielmo De Lucchi e si trasferì definitivamente all’Aquila.
Nel 1978 la sua casa fu svaligiata e Ondina perse tutti i suoi trofei. Primo Nebiolo, allora Presidente della Federatletica, prese a cuore la vicenda e nel 1984 omaggiò la bolognese con una replica della medaglia di Berlino. La Valla ne fu commossa, anche se la valenza sentimentale era ben diversa. «Di quella vittoria mi rimane solo la quercia che a Berlino veniva data ai vincitori. L’ho piantata a Bologna ed è cresciuta in un’aiuola vicino alla piscina coperta dello stadio…» ebbe a dichiarare in seguito con malinconia.
Ondina morì all’Aquila il 16 maggio 2006. Solo quattro giorni dopo Il sole in un sorriso avrebbe compiuto novanta anni: questa volta il fotofinish le dette torto.
Danilo Francescano © Riproduzione Riservata
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