Rocky Marciano
L’inimitabile epopea di “Suzie Q”
Rocco Frances Marchegiano è un bambino di Brockton, Massachussets, figlio di Pierino e Pasqualina, italiani emigrati dall’Abruzzo agli USA a inizio Novecento. Ha due sole cose in mente: non lavorerà mai nella fabbrica di scarpe dove lavora il padre e diventerà un grande giocatore di baseball.
Per una beffa della vita, non sarà accettato nella squadra dei Chicago Cubs perché non ha abbastanza forza di lancio nel braccio destro. In compenso avrà una mano destra tanto potente da fargli registrare nella carriera di pugile quarantatré knock-out su quarantanove incontri. Tutti vinti. Si ritira nel 1956, campione di pesi massimi. Imbattuto.
Marchegiano è troppo basso per un peso massimo, meno di un metro e ottanta. Troppo leggero, arriva nel corso della sua carriera massimo a ottantacinque chili. Dall’allungo troppo corto, per un boxeur, un metro e settantadue che lo mettono in netta inferiorità rispetto agli avversari. Goffo, lento, sgraziato. Rocco non ha nulla della bellezza tecnica di Joe Louis, suo grande beniamino. Nulla di quella che sarà l’armoniosa eleganza di Muhammad Ali (con cui combatterà in un incontro virtuale dalle proporzioni sfasate); non vi è traccia nemmeno di quella che sarà la cattiveria di Mike Tyson. Eppure il nome di Rocky Marciano – Marchegiano è un cognome troppo difficile per gli americani, lo deve cambiare e ne mantiene l’impronta italiana – passa agli annali della boxe come “l’Indistruttibile”, “Il Bombardiere di Brockton” “L’Intoccabile”. In sintesi, il più forte.
Gli inizi
La sua potenza è tutta in quella mano, nel destro che lui stesso chiama affettuosamente “Suzie Q” e che diverrà il suo marchio, una bomba sempre pronta a scattare, con la miccia sempre accesa, che in una frazione di secondo esplode e mette fine alla lotta. Ed è proprio l’attesa di quella frazione di secondo che rende i combattimenti di Rocky sensazionali, mentre il suo essere umile lo rende amato alla gente: è un uomo del quotidiano, figlio, fratello poi padre, veterano, sopravvissuto, amico e vicino di casa, giardiniere, uomo del gas… un uomo semplice, con principi onesti, come tutti e meglio di tutti.
È durante il servizio di leva che scopre di essere un picchiatore, ma i suoi incontri tra i dilettanti non sono un granché. La madre non vuole che combatta, lui comincia a farlo di nascosto, con risultati scadenti. Nel 1947 esordisce come professionista contro Lee Epperson che lo schiva per due round ma cade all’inizio della terza ripresa per un destro esplosivo in pieno diaframma. La sua borsa, quel giorno, è di soli trentacinque dollari.
Rocky tenta nuovamente la carriera nel baseball prima di dedicarsi interamente al pugilato. Assieme a “Suzie Q”, la sua arma vincente è l’allenamento continuo, quasi ossessivo – allena con un pendolo sul letto anche le pupille – e nella sua straordinaria capacità di resistenza ai colpi degli avversari. Lo guida Charley Goldman, il veterano degli allenatori, che riconosce la potenza di Marciano malgrado lo scarno curriculum. Il 12 luglio 1948 il ragazzo di Brockton vince il suo secondo incontro: Harry Bilazarian in novantadue secondi è messo KO da due destri portati dall’alto al basso. Con Goldman, Rocky mette a punto la tecnica del «se sei piccolo, fatti ancora più piccolo»: sferza i suoi pugni anche in posizione di squat, viene avanti a schiena piegata, schiva con ampie oscillazioni del busto gli attacchi degli avversari e boxa di ritorno con interminabili, irrefrenabili serie di destri e sinistri al volto e al corpo. Bang-bang-bang-bang-BANG, scrivono sui giornali.
Da luglio a dicembre combatte altre dieci volte, mandando tutti gli sfidanti KO. Nel 1949 fa la sua entrata al tempio del pugilato, il Madison Square Garden: l’irlandese Pat Richards non oppone quasi resistenza e va giù all’inizio della secondo round. Dopo l’irlandese, pugile poco conosciuto, occorre combattere contro un nome di risalto. Gli viene proposto Carmine Virgo, un altro italoamericano duro dal pugno poderoso, alto centonovantatré centimetri, con trenta incontri alle spalle di cui ventisette vinti. Sul ring è una scossa di colpi scanditi dal suono del gong: Virgo soccombe due round, sembra mettere giù Rocky alla quinta ripresa ma alla successiva va al tappeto perdendo conoscenza. È una vittoria angosciosa per il giovane “Bombardiere”, che non si libererà mai del ricordo di quella notte. «Non voglio un figlio assassino!» gli grida la madre.
Imbattibile
Le cronache rievocano il match del 17 marzo 1936, quando, alla Broadway Arena di Brooklin, Lou Ambers fermò la carriera di Tony Scarpati, che morì per le ferite alla testa tre giorni dopo in ospedale. «Lou ha continuato a combattere» fanno notare a Rocky. Virgo rimane in ospedale per giorni tra la vita e la morte. Si risveglia, ma non combatterà più.
Marciano controvoglia riprende ad allenarsi: deve incontrare con Roland La Starza, eroe del Madison Square Garden, newyorchese dall’ottimo stile pugilistico, imbattuto come Marciano, trentasette incontri contro i venticinque dell’italoamericano. La Starza è il favorito delle scommesse. Alla fine c’è qualche discrepanza nei conteggi, poi l’arbitro proclama il punteggio: sei per La Starza, nove per Marciano. È la vittoria di più stretta misura della sua carriera.
La vittima numero trentotto di “Suzie Q” è il beniamino la cui foto campeggiava nella cameretta del Rocco bambino: il campione del mondo Joe Louis. Louis si è ritirato ma è in bancarotta, ha bisogno di soldi: accetta la sfida. È il 26 ottobre 1951: Joe è stanco, ha trentasette anni; Marciano ne ha ventotto. La torre d’ebano Louis è sbattuta letteralmente fuori dal ring all’ottavo round. Si dice che quando Rocky lo andò a trovare nello spogliatoio, versò lacrime sincere.
“L’Indistruttibile” non poteva far finta. Non ci sono ombre di tangenti, favori o corruzione nella sua carriera. Lo sa bene Ed Napoli che a maggio del 1955 ricorda di aver assistito alla proposta di un gangster in occasione dell’incontro con l’inglese Don Cocknell a San Francisco. «Rocky, potresti sistemarti per la vita» gli disse «e potresti sempre ribatterlo nella rivincita». «Esci di qui e non tornare mai più, mi vergogno che tu sia italiano» risponde il pugile. Il confronto con Don Cocknell termina al nono round, con l’inglese che affonda tra le braccia dell’arbitro Frankie Brown.
Undici mesi dopo il match con Louis arriva la chance mondiale: Marciano con quarantadue incontri vinti alle spalle è pronto a diventare campione del mondo dei pesi massimi al Philadelphia Municipal Stadium. Non è un incontro facile: Jersey Joe Walcott difende il titolo con esperienza e classe. Rocky va al tappeto alla prima ripresa e si ritrova in netto svantaggio. È la prima volta che guarda un avversario da terra. Al dodicesimo round, Marciano si avvia alla prima sconfitta della carriera. Ma la miccia è accesa: al tredicesimo round in trenta secondi, Walcott cade su un ginocchio, il braccio sinistro sulla corda di mezzo, la testa sul quadrato. “Suzie Q” è esplosa, micidiale: Walcott è KO, il viso devastato. Rocky Marciano è campione mondiale dei pesi massimi. Concederà la rivincita all’avversario l’anno dopo: non ci saranno immagini drammatiche, Walcott andrà al tappeto alla prima ripresa.
Massacrante è invece il difficile incontro con Ezzard Charles nel 1954: alla fine (alla quindicesima ripresa) il destro di Marciano può più del sinistro di Ezzard. La rivincita è ancora più tosta: al sesto round Charles tira un gancio sinistro che spacca la narice sinistra dell’italoamericano. Pare che ci sia un’emorragia e l’arbitro pensa di sospendere il match, ma Rocky sanguinante si avventa sull’avversario che, scosso, al settimo round risponde procurandogli un taglio sull’occhio sinistro. Lo Yankee Stadium sobbalza. L’ottava ripresa è destinata a essere l’ultima: Charles Ezzard è a terra. L’arbitro conta il KO.
Una tragica fine
È sempre lo Yankee Stadium il teatro dell’ultimo spettacolo di Marciano che affronta l’ex campione del mondo dei mediomassimi Archie Moore, il quale vanta il record mondiale dei knock-out. Sessantamila spettatori assistono alla caduta al tappeto di Rocky alla seconda ripresa e al definitivo KO del nono round di Moore.
Sette mesi dopo Rocky Marciano annuncia il suo ritiro. Un articolo della rivista Sports Illustrated del 1993 dipinge a tinte fosche e impietose l’affresco della vita di Marciano dopo la boxe, tra partite di golf e comparsate televisive: prestiti sbagliati, la convinzione di essere immortale, l’ossessione per il denaro contante al limite della tirchieria. Lo spettro della povertà dell’infanzia lo perseguita, anche nei combattimenti preferisce esser pagato in carta verde, non con assegni che definisce “carta spazzatura”, in opposizione ai soldi sonanti. I tradimenti a Barbara, unica moglie e prima sostenitrice del marito sia nello sport che nella vita quotidiana. Le relazioni con esponenti della mafia che godevano della sua luce di “vero macho italiano”. Il triste epilogo della famiglia, infelice e in gravi difficoltà economiche.
Alla vigilia del suo quarantaseiesimo compleanno, Marciano decolla con un aereo privato da Des Moine, nell’Iowa, alle sei del pomeriggio. È una notte di tempesta, il pilota non è esperto. Con il campione è il nipote di un boss. In prossimità di Newtown l’aereo si schianta al suolo. Muoiono tutti. Rocky tornava a casa, dove la moglie lo aspettava assieme alla figlia naturale e al figlio adottato con una doppia festa di compleanno: lei era nata il 30 agosto, lui il 1 settembre. Ai funerali, Joe Louis dichiara: «Qualcosa è andato via dalla mia vita. Non sono solo: qualcosa è andato via dalla vita di tutti». Poi si china e bacia la bara.
Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti