Milan-Benfica 1963
La magica notte di José Altafini
Londra, mercoledì 22 maggio 1963. «Il cielo è totalmente sereno e la temperatura è piuttosto fresca. Il campo ottimo». La TV si è accesa in Italia alla fine degli anni Cinquanta e in alcune case le prime immagini sono quelle in bianco e nero degli incontri di calcio, con la voce di Niccolò Carosio per la radiocronaca. Quella sera, la RAI manda in differita la partita Milan-Benfica.
Non c’è ancora l’urgenza di conoscere tutto subito: all’Empire Stadium di Wembley si è già consumata la storia, ma nelle case gli italiani non lo sanno ancora. Nel “Tempio” del calcio e dell’eccentricità – oltre la porta delle Twin Towers si fanno corse coi i cani, hockey femminile, atletica e, naturalmente, lo sport dei “maestri inglesi” – sono le tre del pomeriggio quando l’arbitro inglese, Arthur Holland, di professione impiegato in una miniera dello Yorkshire, lancia il fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni, giunta all’ottava edizione.
Sono trenta le nazioni partecipanti. Il Milan, seconda squadra italiana ad accedere all’incontro conclusivo del massimo trofeo continentale (la prima fu la Fiorentina nel 1957-58), si ritrova a fronteggiare i detentori della Coppa. Per cinque anni consecutivi il titolo era andato al Real Madrid, strappato via dal Benfica che interrompe il primato madrileno grazie a giocatori del calibro di Eusébio, Alberto da Costa Pereira, José Germano e António Simões. Secondo i pronostici il trofeo è ancora destinato a rimanere nella penisola iberica.
I rossoneri hanno dominato i quarti contro i turchi del Galatasaray – hanno vinto tre a uno a Istanbul e cinque a zero a San Siro – e la semifinale contro il Dundee FC – forti del cinque a uno all’andata, al ritorno subiscono un gol. Nello stadio sventolano le bandiere rossonere degli italiani e quelle rosse dei lusitani. Ci sono diversi vuoti sugli spalti, complice il fatto che si giochi di pomeriggio in un giorno feriale.
In tribuna ci sono il Duca di Gloucester in rappresentanza della Regina Elisabetta II; il Presidente dell’Unione Europea Calcio UEFA; molti Presidenti delle Federazione Europee; Artemio Franchi, Giorgio Perlasca e Bruno Pesaola per la Federazione Calcio italiana; i Presidenti delle squadre nazionali italiane Franco Carraro e Mino Spadaccini; il commissario tecnico italiano Edmondo Fabbri; il Presidente del Benfica Maurício Vieira de Brito e Andrea Rizzoli, il riservato Presidente del Milan giunto a Londra in sordina. Ripartirà altrettanto in sordina.
Il calcio d’inizio
Il club meneghino scende in campo con un’elegante divisa bianca dal colletto rossonero. I giocatori sono guidati da Nereo Rocco, il Parón di Trieste che, appena arrivato in panchina nel 1961, ha subito vinto lo scudetto.
La squadra era stata rivoluzionata nell’estate del 1960, quando si registrò tra le file dei giocatori un giovane interno destinato a segnare un’epoca rossonera: Gianni Rivera. Oltre a Rivera, andato sostituire nel ruolo di regista l’uruguagio Pepe Schiaffino, passato alla sponda giallorossa del Tevere, alla rosa si aggiungono gli innesti di Sandro Salvadore, scambiato la stagione seguente con Bruno Mora, Giovanni Trapattoni, Mario Trebbi e Gilberto Noletti, che avevano costituito il nerbo della squadra olimpica di quell’anno. L’acquisto del 1961 è l’inglese Jimmy Greaves, che però non riesce ad adattarsi al calcio italiano e viene sostituito da Dino Sani, brasiliano che, al contrario, andrà a integrarsi al meglio con Rivera. Sempre dal Brasile arriva il colored Germano, meteora nei campi di calcio ma durevole stella sui rotocalchi, a causa della sua storia triste con una ricca ereditiera italiana. A metà stagione, infine, arriva il centrocampista peruviano Víctor Benítez.
Il campionato italiano 1962/63 non è andato bene come i precedenti: il Milan deve abdicare molto presto e chiude al terzo posto a sei punti dall’Inter. In Coppa dei Campioni invece la partenza è trionfale: quattordici reti all’Union Luxembourg, di cui otto siglate da José Altafini.
Il 22 maggio del 1963 il Parón schiera in campo Giorgio Ghezzi, Mario David, Mario Trebbi, Víctor Morales Benítez, Cesare Maldini, Giovanni Trapattoni, Gino Pivatelli, Dino Sani, José Altafini, Gianni Rivera e Bruno Mora. Devono fare a meno solo di Luís Germano, infortunato. Dai timidi palleggi di riscaldamento si nota che è ancora vivo il ricordo della finale del 1958, persa per 3-2 ai supplementari contro il Real Madrid. I lusitani invece ci credono, puntano al tris, trascinati dalla “Pantera Nera”, il fenomeno del calcio mondiale Eusébio.
Il Milan vince il campo e si posiziona a destra della tribuna d’onore. Pivatelli, ex attaccante che trasformato in centrocampista, sta a destra, a contrastare Mário Coluña, il capitano del Benfica considerato il cervello della squadra. A sinistra c’è Mora. L’arbitro lancia i giocatori nella contesa: il Benfica attacca, il Milan resta sulla difensiva, forse troppo, quasi in balia degli avversari. Alla “Pantera Nera” bastano diciotto minuti per infilare il pallone tra i pali rossoneri. Gli italiani non si aprono, avanzano per nulla pericolosi per poi richiudersi senza resistenza.
Quarant’anni dopo Maldini ricorderà quel primo tempo di marca portoghese in un’intervista al Corriere: «Occorreva modificare qualcosa nel nostro assetto difensivo ma comunicare con Rocco era impossibile perché a Wembley le panchine erano lontanissime dal campo e due giganteschi poliziotti impedivano al nostro allenatore di muoversi. Io ero il capitano e mi assunsi la responsabilità d’invertire un paio di marcature. Trapattoni andò su Eusébio, che stava facendo ammattire Benítez, e il peruviano fu destinato a occuparsi di José Torres». Mora torna sulla destra, suo ruolo naturale e Pivatelli sulla sinistra. Il Milan si rende pericoloso ma la porta rimane inviolata.
La musica cambia
L’allenatore si fa sentire negli spogliatoi, e dopo il riposo, la sfida cambia fisionomia. Si mette in luce Altafini, capocannoniere della manifestazione (quattordici reti in una sola edizione, un record raggiunto solo da Lionel Messi nel 2012). Il pareggio arriva al 13’ del secondo tempo, firmato da Altafini. Due minuti più tardi, Pivatelli colpisce Coluña che, dopo essersi ripreso a bordo campo, torna a giocare nonostante la piccola frattura al piede poiché le sostituzioni non sono ancora state introdotte. Per l’arbitro non c’è fallo. Al 21’, la doppietta di Altafini, servita da Rivera. A un minuto dal termine Mora fa vedere di esser stato graffiato da Coruña, Eusébio avanza e Carosio perentorio sembra rivolgere più un ordine che un commento: «bisogna marcarlo subito».
Ma non c’è più pericolo: le reti di Altafini valgono la posta, il Milan è il primo club italiano a laurearsi Campione d’Europa. È la vittoria del catenaccio italiano. Gli spettatori cercano la pacifica invasione del campo tra lacrime e applausi; la folla in delirio osanna i rossoneri e a stento la polizia riesce a trattenere il pubblico. Tra i cappelli dei bobby londinesi, i tifosi si fanno strada e spogliano i giocatori delle magliette. «Così non possono andare a ritirare la Coppa!», esclama il radiocronista.
Alcuni calciatori si dirigono a petto nudo al Royal Box: tre dozzine di gradini da salire per ricevere da Sua Altezza Reale il Duca di Gloucester il trofeo. Qualcuno lancia un cappotto per coprirli, qualcun altro una maglietta, mentre gli atleti sembrano salire al cielo e le mani di Maldini s’innalzano ancora: è lui che brandisce la Coppa dei Campioni.
Caso mai accaduto e difficilmente ripetibile, a Manchester il 28 maggio 2003, a quarant’anni anni esatti di distanza sarà il figlio di Cesare, Paolo, ad alzare la Coppa sul trono d’Europa con la stessa maglia del padre. Il trionfo del 1963 è l’ultimo del presidente Andrea Rizzoli che lascia il club a Felice Riva dopo nove anni, quattro scudetti e una Coppa Latina. È anche l’ultima apparizione sulla panchina del Milan di Rocco, che si è già accordato col Torino. Tornerà ai rossoneri nel 1967.
Malgrado il grande lavoro di marcatura su Eusébio e i passaggi vincenti, il “golden boy” Rivera arriva solo secondo per il Pallone d’Oro, che quell’anno va al russo Lev Jašin, unico portiere ad aver finora vinto il premio calcistico. Rivera lo vincerà nel 1969, dopo il successo dei rossoneri contro il grande Ajax nella magica notte di Madrid.
Dopo ventisette anni, il 23 maggio 1990, alla vigilia dei Mondiali italiani, il Milan di Arrigo Sacchi ritrova il Benfica di Sven-Göran Eriksson al Prater di Vienna ed è un’altra vittoria, sigillata al sessantottesimo da Frank Rijkaard su assist di Marco Van Basten. Anche in quest’occasione, i rossoneri giocavano con la seconda maglia. Il Benfica, dalla sconfitta col Milan di Rocco, non vincerà più.
Ma questa, è un’altra storia.
Melania Sebastiani
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Mi sembra proprio di essere lì. A Londra nel 1963.
Grande articolo.
Si respira l’ottimismo degli anni sessanta.
Grazie Gabriele e Lavinia… Il senso dell’articolo era proprio quello di far rivivere le emozioni un grande momento di calcio! (la Redazione)