Laura Golarsa
Il record imbattuto
È l’estate del 1989 quando una ragazza milanese di ventun anni, con il fare deciso e gagliardo che solo la gioventù può dare, lascia l’Italia per disputare il torneo di Wimbledon. Era la seconda volta che Laura Golarsa partecipava al più importante torneo del mondo, e la prima non era andata poi così male. Aveva superato un turno, e aveva preso confidenza con quell’erba e in generale con l’ambiente di quel torneo, che è qualcosa di incredibile per chiunque abbia uno straccio di passione per il tennis. E poi si sentiva a suo agio su quei campi. I suoi colpi tagliati, il suo stile di gioco votato all’attacco, il suo straordinario allungo sulla rete sembravano fatti apposta per quel torneo. Quello che voleva era dimostrare che era una grande giocatrice.
Parecchie estati prima, nel 1933, un’altra italiana, Lucia Valerio, era partita dalla Lombardia per giocare il torneo di Wimbledon. Invece dell’aereo aveva fatto il viaggio in auto, autista compreso. Aveva trent’anni, ed era la quarta volta che vi partecipava. Cresciuta nell’alta borghesia milanese, cosa che le aveva consentito di dedicarsi al tennis, le piaceva andare in giro per l’Europa e giocare i tornei più importanti e conosciuti, eppure dentro di sé sapeva anche che quello era comunque pur sempre un gioco, e non una guerra senza quartiere per avere successo nella vita.
Laura Golarsa non era certo accreditata di grandi chance in quel torneo. Aveva finito la stagione precedente al numero settantanove della classifica mondiale, e gli esperti non la consideravano neanche in prospettiva fra le migliori giocatrici del mondo, e questo nonostante fosse in buona forma e avesse davanti a se un discreto tabellone. Qualche settimana prima aveva disputato un buon Roland Garros, arrivando al terzo turno, poi aveva giocato a Birmingham e a Eastbourne, sull’erba, dove era stata battuta da un’altra italiana, Raffaella Reggi, ben più avanti di lei nella classifica mondiale. A Wimbledon avrebbe incontrato un’argentina di medio livello, meno adatta di lei a muoversi su quella superficie.
Lucia Valerio, quando era partita per il suo quarto Wimbledon, era invece considerata da almeno tre anni una giocatrice di livello internazionale. Lo aveva dimostrato due anni prima, raggiungendo i quarti di finale al Roland Garros, e si era dimostrata insidiosa anche sull’erba londinese, issandosi già due volte fino al terzo turno. Neanche lei, però, era da considerarsi fra le favorite del torneo. Invece quella volta aveva superato un turno dietro l’altro grazie al suo gran dritto, alla sua grande consistenza fisica, alla sua sagacia tattica, e si era ritrovata nei quarti di finale. Lì era stata fermata da Dorothy Round, l’inglese testa di serie numero due, ma quello rimaneva, sessantasei anni dopo, il miglior risultato mai conseguito da una giocatrice italiana al torneo di Wimbledon.
Nel frattempo l’Italia era cambiata profondamente, e forse più di una volta. Le ideologie del Novecento l’avevano sconvolta con il Ventennio, la guerra civile, il Sessantotto e le conseguenze di tutti questi eventi. Poi c’era stato il boom economico, la transumanza dalle campagne alle città, un modo di intendere la vita completamente diverso. E poi erano arrivati gli anni del consumismo, e tutto era cambiato di nuovo. E di quello che c’era quando la Signorina Valerio aveva iniziato a giocare a tennis non era rimasto quasi niente. Anche il tennis, naturalmente, era cambiato. Da gioco agonistico sì, ma pur sempre dilettantistico e legato a valori sportivi di grande etica, si era passati gradualmente a un tennis fatto di vittorie a tutti i costi e di regole dettate dal denaro più che dagli interessi dei giocatori e del pubblico. Quando la giovane Laura si era affacciata al professionismo, il cambiamento ormai era completato.
Ed è forse anche per questo che nessun italiano pensa a quel record il giorno in cui Laura Golarsa scende in campo contro Mercedes Paz per il suo incontro di primo turno. Quando la milanese chiude vittoriosa la sua partita per 6-4/6-1, in molti ritengono il suo torneo già soddisfacente a prescindere da cosa sarebbe successo più avanti. I più attenti e speranzosi vedono alla sua portata anche l’avversaria di secondo turno, la svedese Maria Strandlund, ma in ogni caso danno per scontata l’eliminazione al turno successivo da parte dell’americana Zina Garrison, numero cinque del mondo. E arrivare al terzo turno sarebbe stato davvero un buon risultato.
Il tempo di qualche giorno, però, e tutto cambia. L’italiana ha vinto al terzo set contro la Stranlund, e dopo ha superato anche l’australiana Louise Field, che a sorpresa aveva battuto al turno precedente la Garrison. Sono stati match lottati, ma alla fine Laura li ha portati in porto con autorevolezza e sangue freddo. I giornali si accorgono di lei e gli tributano il giusto omaggio per il raggiungimento degli ottavi di finale, ovvero il massimo che a detta degli esperti si potesse fare. Ora infatti la milanese si trova di fronte Jana Novotná, una ventenne cecoslovacca numero undici del mondo (ma destinata e restare fra le prime dieci per un decennio) per niente a disagio sui campi in erba. Una di un’altra categoria, insomma. I più patriottici, tuttavia, sognano l’impresa e per una volta hanno ragione, perché contro la Novotná la Golarsa sfodera il suo miglior tennis e alla fine vince la partita, di nuovo al terzo set, mettendo a segno uno dei più clamorosi successi della storia del tennis italiano.
Ed è a questo punto che qualcuno si ricorda di quell’altra italiana, Lucia Valerio. Si ricordano che solo lei era riuscita a raggiungere i quarti di finale di Wimbledon, che quello era il suo record e che adesso non è più solo suo. Anzi adesso quella ragazza, milanese come lei, potrebbe addirittura batterlo quel record. In teoria, perché nella pratica l’evento pare pressoché impossibile. Stavolta infatti Laura dovrà vedersela con quel monumento del tennis femminile che risponde al nome di Chris Evert. Giusto per avere un’idea delle proporzioni del personaggio, la Evert si presentava a quel torneo con dei numeri da fantascienza: da quasi vent’anni fra le primissime al mondo, aveva vinto diciotto tornei del Grande Slam su trentaquattro finali disputate e, cosa ancor più preoccupante, su cinquantaquattro partecipazioni ad un torneo dello Slam aveva disputato ben cinquantuno quarti di finale, con l’impressionante record di cinquanta vittorie e una solo sconfitta. E a poco serviva appellarsi al fatto che quella era stata annunciata come la sua ultima stagione da professionista, perché la Evert non si stava certo comportando come una che ormai ha mollato. Al contrario si era ben comportata per tutto l’anno, e durante quel torneo non aveva lasciato per strada neanche un set.
Chissà se il giorno della partita Lucia Valerio, ormai ottantaquattrenne, abbia dato un’occhiata alla televisione, anche solo per curiosità. Nonostante avesse preso da decenni le distanze dal tennis di alto livello, o meglio da quel tennis che da gioco si era trasformato in business, adesso era stata chiamata di nuovo in causa, e c’era da vedere se sarebbe stata l’ultima volta oppure no. I patriottici anche in questo caso nutrivano delle speranze, che però puntavano più su un’improbabile e considerevole débacle da parte della favorita che su inaspettate risorse della nostra giocatrice, consapevoli che questa volta la nostra ragazza da sola, con tutta la buona volontà del mondo, non avrebbe potuto ribaltare il pronostico.
Stavolta però sembra che tutto vada come dovrebbe. La Golarsa gioca bene, attacca quando può e quando l’avversaria glielo consente piazza delle ottime volée, ma la Evert anche senza impressionare sembra saldamente in controllo del match, si aggiudica il primo set per 6-3 e non si distrae neanche all’inizio del secondo. Poi succede l’imponderabile, quel qualcosa di invisibile che spesso cambia le partite di tennis. Le discese a rete dell’italiana sembrano più ficcanti, mentre i passanti della campionessa si smarriscono in rete o finiscono troppo centrali per infastidire l’avversaria. E così, nell’incredulità generale, Laura vince il secondo set e si mette a giocare ancora meglio, e così sale tre a zero e poi cinque a due nel set decisivo, ovvero a tanto così dall’impossibile, dalla prima semifinale di un’italiana a Wimbledon. E a tanto così dal farci dimenticare per sempre di Lucia e del suo record, e di quel tennis che non c’è più.
Come faccia una partita di tennis a cambiare padrone in un attimo rimane un mistero. Fatto sta che forse guidata da un nostalgico dio del tennis, o per chissà quale altra ragione, d’improvviso la Evert ritrova i suoi passanti, deliziosi e puntuali, e ferma Laura per sette volte a due punti dalla vittoria, senza neanche farle provare il gusto di giocarsi un match-point, ma anche senza lasciarle il rammarico di non averci provato fino in fondo in quella che resterà per sempre la partita della sua vita.
E così ancora oggi quel record rimane imbattuto, eguagliato più tardi solo dal talento di Silvia Farina e di Francesca Schiavone. Quel record dunque appartiene ancora a entrambe, a Lucia e a Laura. Due donne divise da oltre sessant’anni di storia italiana, due espressioni diverse dello stesso splendido gioco.
Florio Panaiotti
© Riproduzione Riservata
Bell’articolo (ottimo il parallelismo tra le due giocatrici italiane), magnifico sito. Direi unico in Italia a trattare lo sport nella giusta maniera. Grazie a tutta la redazione
Grazie Sergio, a nome di Florio Panaiotti e di tutti noi. Possiamo assicurarti che continueremo a fare del nostro meglio per rendere Storie di Sport sempre più interessante e completo! (la Redazione)