Più forte del fango
La solidarietà dello sport contro l’alluvione
Storie di acqua, storie di fango e di paura. Chi non l’ha mai vissuta di persona, non può sapere cosa sia un’alluvione. Per sua fortuna. Il 25 ottobre 2011 una delle ormai sempre più frequenti bombe d’acqua ha riversato in sei ore 542 mm di pioggia su due delle Cinque Terre, Monterosso e Vernazza, e su alcuni paesi dell’entroterra spezzino e massese. Un fiume di fango ha trascinato via in pochissimi istanti vite umane, il lavoro di anni, i ricordi di intere esistenze e le eredità di generazioni.
Storie di acqua e di fango, allora. Storie di sport.
I Viviani sono una famiglia di sportivi. Valter, il patriarca, è stato un fuoriclasse del remo: campione europeo a Praga nel 1961, nell’Otto con, quando i Mondiali non esistevano ancora e il campionato continentale valeva il titolo iridato. Ora è presidente della plurititolata società di canottaggio Il Gabbiano e gestisce un frequentatissimo ristorante sul lungomare monterossino, dove si parte dai pansotti al sugo di noce, e si finisce non di rado a scambiare due chiacchiere con qualche olimpionico o campione di ogni epoca e sport.
«Il giorno del disastro” ricorda «ero con mia moglie Dana Bancheri sulla porta del locale e le stavo dicendo che quella pioggia assurda mi ricordava un po’ troppo quella dell’alluvione del 1966. Quando ho visto i tombini che cominciavano ad espellere acqua, ho iniziato a preoccuparmi sul serio. Ho radunato i ragazzi che stavano riordinando la sala e siamo scesi in spiaggia, a mettere in salvo le barche da gara su una piattaforma di legno. Gli altri erano già risaliti e io stavo sistemando la mia barca a motore, quando ho avvertito confusamente una sensazione di rumore alle spalle. Solo allora mi sono reso conto che dal lungomare mi stavano urlando di scappare. Mi sono girato e ho visto un muro di fango che stava avanzando lungo il canale qui di fianco. Sono tornato di corsa sulla strada e così ho salvato la pelle. Per un pelo, direi…».
«Il mondo del canottaggio e quello del triathlon ci sono stati vicini: tante telefonate e tante proposte di aiuto» aggiunge Massimo Corrado, il figlio, tre volte campione italiano dal 1999 al 2001 nel Due di punta a sedile fisso, e attualmente passato con ottimi risultati al triathlon, durissima disciplina composta di nuoto, percorso ciclistico e corsa. «La Società Sportiva U Burgu di Noli, per esempio, ha attivato la Croce Rossa locale, con il risultato di dotare la scuola di Monterosso di una splendida stampante multifunzionale, che abbiamo consegnato alla presenza di tutti i ragazzi del Gabbiano. La Federazione Canottaggio ci ha subito offerto barche nuove, ma per fortuna non ce n’era bisogno e allora hanno scelto di aiutarci con una raccolta di fondi attraverso il sito ufficiale. Personalmente, ho dovuto interrompere gli allenamenti sia in mare che in bicicletta, prima per spalare e poi per aiutare mio padre e gli altri cuochi nei tendoni delle mense. Ne risento adesso che la stagione è in pieno corso, ma in compenso ho avuto la prova del grande cuore dello sport italiano».
«Dai, qualcosa di buono ci è pure rimasto di quei giorni…» scherza Raffaella, sorella di Massimo, campionessa italiana nel Doppio esordienti mobile, titolo conquistato nel 2003 sul Lago Patria a Napoli. Il 25 ottobre, rimasta isolata in casa, lei ha potuto solo assistere dal terrazzo agli eventi. «Già: quella spiaggetta laggiù che si è formata…” indica sorridendo Valter. «Ora ci tiriamo in secca le barche, senza disturbare i turisti e quelli che prendono il sole sulla spiaggia».
A New York per Monterosso
Stefano Nicora è un podista, dedito anche (con successo) al triathlon, che a Monterosso vanta vari praticanti. Anche lui ha esordito con il canottaggio, come del resto la sorella Arianna, che prima di sospendere l’attività per motivi di studio era considerata una grande promessa del remo.
Problemi legati ad un’ernia al disco hanno poi dirottato il giovane monterossino sull’atletica, sulla lunghissima distanza della corsa in particolare. Nel 2009, Stefano ha rappresentato il Comune di Monterosso alla Maratona di California (chiusa nell’ottimo tempo di 2h 58′) e ha partecipato alle più importanti gare nazionali, come la Maratona di Milano e la Roma-Ostia.
«Nei giorni dell’alluvione» – racconta Nicora – «ero in pieno allenamento per la Maratona di New York: ho ovviamente mollato tutto per scavare nel fango, ma ho dovuto fare i conti con il riacutizzarsi dei problemi alla schiena. Il primo novembre sono volato in America, sia per tenere fede agli impegni assunti con la Forever Living, sia per dimostrare a me stesso e a tutti che Monterosso non si piegava, che le Cinque Terre erano ancora vive. È stata davvero dura, per tutti i pensieri che mi passavano per la testa, per gli allenamenti mancanti e per il dolore alla colonna vertebrale che mi ha accompagnato per tutto il percorso, comunque me la sono cavata con un dignitoso 3h 04’. Ora penso di smettere con le maratone, o di limitarle molto: sono massacranti. Piuttosto, l’alluvione ha dato, a me e agli altri sportivi, la coscienza di aver saputo reagire alle difficoltà. Abbiamo così pensato di organizzarci, creando una associazione di giovani monterossini per programmare gli eventi e le competizioni. In questi giorni abbiamo iniziato i lavori, con entusiasmo e fiducia: sono davvero orgoglioso che abbiano pensato di affidarmene la presidenza».
Le biciclette di Pierluigi
Pierluigi Arrigotti si definisce cicloamante. Eredità di famiglia: un suo cugino si chiama nientemeno che Michele Dancelli, e ha vinto la Milano-Sanremo nel 1970, primo italiano dopo ben diciassette anni.
In pochi secondi Pierluigi si è ritrovata la cantina, nel borgo vecchio, invasa da due metri di fango, e le biciclette da corsa sue e di qualche amico sepolte come vestigia di una moderna Pompei. «Mi sono messo a scavare a mani nude.
Non ti dico la disperazione, le biciclette sono parte di me, della mia esistenza… mi è già andata bene che non sono state trascinate via. Poi è scattata la solidarietà tra sportivi. Un amico e grande persona, Paolo Ruozi di Reggio, si è occupato di ripulirmele, dato che io ero purtroppo preso da altre priorità. Antonio Dell’Infante, meccanico della Beltrami, mi ha rimesso in sesto le ruote, poi Luca Motti e i suoi colleghi del Team Cicli Campioli di Salvaterra hanno rimontato due delle cinque biciclette, facendo persino una colletta per sostituire le parti non recuperabili. Delle altre tre bici si sono occupate la Cicli Corradini e la Maxent di Albinea. È solo grazie a loro se la mia vita sportiva è potuta ricominciare. Puoi citarli tutti per nome, per favore? Glielo devo, mi hanno commosso e mi hanno fatto sapere che ha fatto più piacere a loro aiutarci che a noi riavere le biciclette!».
Venti di angoscia
Il mondo della vela ha sofferto di meno l’alluvione, soprattutto perché la stagione agonistica era appena terminata, e gli allenamenti fondamentali non erano ancora iniziati.
Fabio Peirano, giovane velista di ottime prospettive (oltre che validissimo tiratore d’arco), racconta: «Il giorno dell’alluvione ero al Circolo Velico della Spezia con i miei compagni. C’erano un mare e un cielo davvero minacciosi, e nel giro di pochi attimi è montato su un vento forte e teso che ci ha entusiasmato. Ci sembravano condizioni ideali, e, come puoi immaginare, tutti noi volevamo uscire in barca: per fortuna il nostro allenatore non era per niente convinto della situazione, e ce lo ha impedito. Sul momento, sono rimasto un po’ deluso, lo ammetto, e mi sono rassegnato molto a malincuore a tornare a casa. Oltretutto, non c’era nessuno che potesse portarmi al treno in macchina… Insomma, alla fine, anche se cominciava a piovere forte, mi sono dovuto attraversare tutta la città a piedi. Così, quando dopo un po’ sono arrivato ai binari, le corse per Vernazza e Monterosso erano già state bloccate. Sono state una serata e una notte di ansia terribili, passate in gran parte lì in stazione: i telefoni non funzionavano, le notizie che arrivavano attraverso Facebook e Twitter erano poche, frammentarie, confuse… e le foto e i filmati che cominciavano ad apparire in rete facevano davvero paura. Il giorno dopo ho scoperto che il mio garage era stato completamente sommerso dal fango e che l’auto l’aveva trascinata via la piena. Per fortuna, l’abbiamo poi recuperata. Le attrezzature veliche invece le avevo in casa o alla Spezia, e si sono salvate. Devo dire comunque che la Federazione mi è stata vicina, seguendo costantemente l’evolversi delle cose».
La mobilitazione del mondo del calcio
Anche Gianluca Manfredini, portiere delle giovanili dello Spezia Calcio, era in città quel giorno. «L’indomani sono partito per Monterosso con il primo battello per aiutare nei lavori di scavo. Tra i tanti avvenimenti di quei giorni, ricordo con piacere l’incontro con il massaggiatore della mia squadra, presso il tendone Anpass come volontario della Protezione Civile».
D’altro canto, anche il mondo del calcio ha risposto con generosità alla catastrofe di ottobre. A partire dal minuto di silenzio su tutti i campi della serie A, si sono poi moltiplicate le iniziative. Simboliche, come lo striscione ‘Ciao Sandro, volontario morto da eroe’, con cui i tifosi milanisti hanno voluto ricordare Sandro Usai, il volontario della Protezione civile di Monterosso scomparso durante la piena mentre portava aiuto, e quelli analoghi apparsi sugli spalti di molti stadi italiani. O pratiche, come quella dei tanti ragazzi delle tifoserie spezzina e genovese che hanno imbracciato pale e vanghe e si sono messi al lavoro tra fango e macerie. O tutte le manifestazioni che si sono susseguite per raccogliere fondi, culminate il 29 aprile a La Spezia con Insieme per riprendere il volo, la partita che ha visto affrontarsi la Nazionale Cantanti e una rappresentativa di amministratori di Vernazza e Monterosso, guidata dal CT campione del mondo Marcello Lippi, frequentatore abituale di Vernazza.
Vernazza tra spalate e allenamenti
L’altra perla delle Cinque Terre è stata colpita quanto e forse più di Monterosso dal disastro di ottobre. La via principale del paese è stata letteralmente spazzata da un’ondata di terra e fango che, trattenuta e accumulata dal ponte della ferrovia, è tracimata di colpo, distruggendo e uccidendo in pochi, terrificanti secondi.
«Qui tutti noi sportivi abbiamo reagito con grande forza all’alluvione, concentrandoci esclusivamente sui danni e sulle perdite subite dal paese, e mettendo del tutto da parte, per qualche tempo, le nostre passioni» rievoca Gianni Moggia, podista da sempre. «Poi, dopo che per i primi giorni ci siamo tutti dedicati a scavare fango e salvare il salvabile, finalmente e grazie anche agli aiuti esterni, abbiamo potuto riprendere almeno in parte gli allenamenti. È stata dura, dovendo allo stesso tempo continuare nel recupero del paese. Abbiamo anche dovuto inventarci percorsi alternativi, come le gallerie che da Levanto portano a Framura, perché i tratti di strada che solitamente utilizzavamo sono stati distrutti dall’alluvione. Ci resta però il conforto di una grande solidarietà da parte del mondo sportivo: la corsa sul lungo mare di La Spezia in favore della P.A. di Brugnato, per esempio, o la gara su strada ad Aulla, cui ha partecipato anche l’olimpionico Stefano Baldini».
Tra i tanti eventi dolorosi che il dramma del 25 ottobre ha portato all’orgogliosa gente ligure, ci sono insomma anche momenti benefici di una solidarietà ritrovata, di una nuova comunione di intenti nei paesi colpiti come in quelli che si sono spesi generosamente per aiutarli. E un insegnamento positivo viene anche dagli atleti e dagli sportivi. La conferma che lo sport, non quello del doping e delle scommesse, ma quello della fatica, della passione, del sacrificio, insomma lo sport vero, è più forte della disgrazia e della paura. Più forte del fango.
Danilo Francescano
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grazie Danilo il tuo articolo mi ha emozionato davvero sei grande
il patriarca