Brian Clough e Peter Taylor
Una panchina per due
Flemmatici, autoritari, maghi o strateghi. Esistono diverse qualità di allenatori, ma fondamentalmente tutti hanno una caratteristica in comune: che si tratti di José Mourinho oggi o di Helenio Herrera ieri, nell’immaginario collettivo il mister è un uomo solo al comando, stretto tra l’incudine dei giocatori e il martello della dirigenza.
Nel calcio inglese, però, non è stato un manager in solitaria, ma un sodalizio tra due uomini a scrivere le pagine più belle tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta.
Più che di una mera collaborazione tecnica, la storia di Brian Clough e Peter Taylor racconta di una grande amicizia. Si erano conosciuti negli anni Cinquanta, mentre militavano nel Middlesbrough, il club della città nella quale il primo era nato e il secondo disputò oltre cento partite. Centravanti Clough e portiere Taylor: due Holly e Benji ante litteram, ai poli opposti del terreno di gioco, metafora del loro modo di essere fuori dal campo; pacato Taylor, sfrontato Clough.
Se del primo le apparizioni televisive sono scarse, tanto da farlo cadere nel dimenticatoio dopo la sua morte, il secondo buca lo schermo con la sua schietta ironia e le battute senza mezzi termini contro stampa ed establishment politico e calcistico. La voce di Clough arriva perfino al grande Muhammad Alì il quale, tra il minaccioso e lo scherzoso, dichiara in un’intervista con uno dei suoi giochi di parole: «Clough, I’ve had enough. Stop it». Ovvero: «Clough, ne ho abbastanza. Piantala». Pronta la replica dell’allenatore, che con un sorriso e voce beffarda risponde tra le risate del pubblico: «Ora con lui mi voglio battere».
Quella di Taylor e Clough non è soltanto una complementarietà caratteriale. Anche dal punto di vista calcistico, uno arriva laddove l’altro non riesce e viceversa. Come osservatore, Taylor ha fiuto per il talento: intuisce il potenziale dei giocatori e li porta alla corte di Clough, il quale li fa rendere al meglio.
Il miracolo County
La fortuna di Clough e Taylor inizia a Derby, cittadina delle East Midlands, nel 1967. La squadra locale, il County, non riesce a cavarsi fuori dai bassifondi della Seconda Divisione, ma Peter e Brian sono un Re Mida a quattro mani e trasformano la ferraglia arrugginita del County in oro massiccio degno di Fort Knox. È Taylor a individuare il rinforzo decisivo del vecchio libero scozzese Dave Mackay ed è Clough a valorizzarlo all’interno di un gruppo che in meno di sei anni, dal 1967 al 1973, viene promosso in First Division, con successiva vittoria del campionato e marcia trionfale fino alla semifinale di Coppa dei Campioni persa contro la Juventus. Il Derby si inserisce tra le grandi, contrastando lo strapotere del Leeds United di Don Revie, squadra e allenatore odiati da Clough, un particolare che ci tornerà utile conoscere in seguito.
Nel frattempo, le quotazioni della coppia al County iniziano a scendere non tra i tifosi, ma presso la dirigenza. I contrasti di Clough con il presidente Sam Longson e il ruolo non ben definito di Taylor nel management del club spingono entrambi alle dimissioni.
La tappa successiva è il Brighton & Hove Albion, in Terza Divisione. Com’erano diversi i tempi allora! Due manager vincenti e autori di un miracolo ripartono da una categoria inferiore per il gusto dell’impresa e per la volontà di vivere insieme una nuova esaltante avventura. Tuttavia, l’esperienza di Brighton non è fortunata e Clough abbandona alla fine della prima stagione. Non si distacca soltanto dal club, ma anche da Peter Taylor, che invece decide di rimanere in qualità di manager: inizia un periodo buio, per fortuna non troppo lungo, per entrambi.
Gli anni bui
Nell’estate del 1974 accade l’impensabile. Con una delle decisioni più incomprensibili nella storia del calcio viene offerta a Clough la panchina del Leeds United, club del quale aveva sempre dichiarato peste e corna… E il problema è che lui accetta l’incarico!
Il primo giorno si presenta alla squadra campione d’Inghilterra affermando che le medaglie vinte possono essere gettate nel fiume in quanto ottenute attraverso un gioco sporco… Non il modo migliore per ingraziarsi lo spogliatoio, che infatti decide di essergli ostile da subito, anche perché ancora troppo emotivamente affezionato al grande rivale di Clough, Don Revie. Ma perché Clough accetta di guidare i nemici giurati del Leeds? Lo rivelerà in seguito. Lo United ha giocatori di talento immenso, che ogni manager sogna di dirigere: Billy Bremner, Johnny Giles e Peter Lorimer: il meglio del calcio britannico. Con loro, Brian, da idealista cocciuto qual è, si propone di continuare a trionfare riuscendo a vincere meglio, come ha modo di affermare in televisione durante un’intervista doppia insieme a Revie, nella quale la tensione tra i due si taglia con il coltello. Morale della favola: i giocatori non lo seguono, il Leeds si ritrova a fondo classifica e il directing board decide di licenziare l’allenatore dopo soli quarantaquattro giorni dal suo insediamento.
La mazzata è di quelle che segnerebbero chiunque, ma i grandi riescono a imparare dalle situazioni negative e a usarle per progredire, anziché per autocommiserarsi. Soprattutto, Clough e Taylor hanno imparato una lezione: è la loro amicizia, non le capacità tecniche, il vero valore aggiunto per puntare di nuovo in alto.
La stagione dei trionfi
E così, i due si ricongiungono a Nottingham, con il Forest, che naviga in pessime acque in Seconda Divisione. Se Clough ha imparato a essere meno impulsivo, Taylor ha affinato la sua abilità di talent scout: sono queste le basi per trasformare un gruppo di giovani calciatori impauriti in una macchina vincente nel giro di pochissimo.
La squadra è promossa in First Division nel 1977 e l’anno dopo si laurea campione nazionale. A rendere perfetto il giocattolo del Forest sono gli innesti del portiere Peter Shilton – acquistato perché secondo Taylor «He wins you games», cioè «Ti fa vincere le partite» – e del primo acquisto a sei zeri del calcio inglese, quel Trevor Francis che sarebbe poi stato protagonista anche in Serie A con i suoi celebri cross in scivolata. Guarda caso, nella finale del 1978 contro il Malmö, è proprio Francis con un colpo di testa in tuffo a regalare la
prima Coppa dei Campioni al Forest, mentre è Shilton a essere l’uomo-partita nella seconda, l’anno dopo, contro l’Hamburger SV. L’undici titolare è completato tra gli altri da Viv Anderson, terzino noto anche per essere stato il primo nero a vestire la casacca della nazionale inglese, dal capitano braveheart John McGovern, fedelissimo di Clough, e dal funambolico scozzese John Robertson, autore del gol decisivo nella seconda finale europea.
Il miracolo targato Clough-Taylor è nuovamente servito e i presupposti per tornare ad essere acclamati come eroi ci sono tutti. A rendere Clough ancora più popolare tra le classi dei lavoratori si aggiunge la sua posizione politica, da sempre vicina ai minatori contro i tagli del governo Thatcher in un periodo di violenti scontri sociali.
Qualsiasi rapporto, però, va coltivato giorno per giorno e anche un’amicizia come quella di Brian e Peter può volgere al termine. Troppo esuberante il primo e troppo schivo il secondo: negli anni tante piccole incomprensioni creano una crepa che da minuscola s’allarga fino a diventare insanabile, ragione per la quale le strade si dividono di nuovo.
Una tardiva riconciliazione
Taylor torna da solo al Derby County e mette sotto contratto Robertson senza avvisare Clough, che se la lega al dito arrivando a dire con la solita diplomazia riguardo all’ex-amico: «Se lo vedessi fare l’autostop sul ciglio della strada tornerei indietro per investirlo». Non tarda nemmeno la risposta di Taylor, che parla di Clough come «un uomo che sono arrivato a guardare con disprezzo».
La moglie di Clough, Barbara, avrebbe in seguito espresso il suo profondo dispiacere per la fine del rapporto dei due, un’amicizia che soltanto in pochi hanno la fortuna di costruire in una vita intera. Se ne renderà amaramente conto anche Brian, nel 1990, alla notizia della morte prematura di Peter, di fronte alla quale la sua reazione sarà un lungo silenzio seguito da un pianto sincero quanto disperato. Con voce commossa, in occasione di una celebrazione a Nottingham, avrà modo di ricordare l’amico perduto: «Ho solo un rimpianto oggi ed è che il mio amico non sia qui con me», chiedendo poi di ribattezzare la “Brian Clough Stand” dello stadio di Nottingham col il nome di “Brian Clough and Peter Taylor Stand”.
Se negli ultimi anni il rapporto si era incrinato, la statua in bronzo al Pride Park di Derby, raffigurante i due grandi amici uniti in un abbraccio e con lo sguardo rivolto verso nuovi traguardi, li unirà invece per sempre.
Henry Ford una volta disse: «Il miglior amico è colui che tira fuori il meglio di me». L’essenza delle vite di Brian Clough e Peter Taylor è racchiusa in queste parole.
Daniele Canepa
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