Ladislav Hecht
L’uomo che disse di no a Hitler
Il primo conflitto bellico si è appena concluso, l’Europa centrale deve ancora smaltire l’odore di fumo e polvere che si sente nell’aria. In un paesino al confine tra Ungheria e Slovacchia, un ragazzino di undici anni cerca di lasciarsi la guerra alle spalle lanciando per ore con una racchetta una palla contro il muro dietro casa. Inizia così l’avventura nel mondo del tennis di Ladislav Hecht.
Se cercate in giro notizie sul suo conto, ne troverete ben poche, perché il suo ricordo si perde ormai lontano nella memoria, perché la sua carriera agonistica non è stata di primissimo piano, e perché la riservatezza ne ha sempre contraddistinto l’esistenza. Ladislav Hecht era un normolineo dal tennis elegante e dalla tattica di gara intelligente, un tipo che molti temevano e rispettavano più per la qualità del suo gioco che per i successi che riusciva ad ottenere, ma dal suo braccio poteva uscire in qualsiasi momento una magia, capace com’era di ricorrere con la stessa efficacia al pallonetto come alla smorzata. Negli anni Trenta Ladislav Hecht fu uno dei più forti giocatori europei tanto da venire considerato come uno dei sei più forti al mondo. Prova della stima che si era guadagnato in campo fu il fatto che persino le teste coronate di Danimarca e Svezia lo scelsero come sparring partner di alcune delle loro divagazioni sportive. Un piccolo maestro insomma, i cui colpi al volo fecero scuola, l’antesignano di ciò che sarebbe stato, molti anni dopo, ricordandolo nel fisico oltre che nel tocco, l’australiano Ken Rosewall negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. A modo suo fu un precursore delle tecniche moderne, dal top-spin allo slice, così come per la potenza espressa nel colpo lo fu l’americano Ellsworth Vines, suo contemporaneo.
Di origini ebraiche, Hecht può vantare il merito di essere riuscito nell’impresa di tenere testa e talvolta superare persino leggende del calibro di Bobby Riggs, Jack Crawford e Fred Perry, ma soprattutto quello di aver opposto uno storico «No, grazie» all’offerta che la Germania di Hitler gli fece, una volta annessa parte della Cecoslovacchia, per portarlo a giocare con la loro squadra di Coppa Davis. Hecht non ebbe indugi, rifiutò decisamente, ma cosa pensasse dell’evolversi della situazione politica europea lo testimonia la scelta di lasciare definitivamente il suo paese nel 1939 per trasferirsi negli Stati Uniti dove durante la Seconda Guerra Mondiale avrebbe lavorato in un’industria di munizioni.
Nella sua carriera, fanno bella mostra tornei prestigiosi, come quello di Montecarlo vinto in doppio insieme a Roderich Menzel, o i Campionati di Ungheria del 1934, in cui ebbe la meglio in finale sul fortissimo tennista polacco Ignacy Tloczynski oltre ad un quarto di finale raggiunto in singolare a Wimbledon nel 1938, in cui dovette arrendersi al tedesco Henner Henkel, e due semifinali di doppio in prove del Grande Slam, quali gli US Open e ancora Wimbledon. Insieme all’amico Menzel partecipò poi anche ad una delle prime tournèè internazionali che li vide cimentarsi in Giappone ed India, prima di far ritorno in patria dove Hecht perse la finale dei Campionati internazionali di Cecoslovacchia del 1936 contro il numero uno mondiale Fred Perry.
La Coppa Davis
Ma le soddisfazioni maggiori Hecht le raccolse probabilmente in Coppa Davis, in cui con la Cecoslovacchia, di cui fu anche il capitano, disputò tra il 1930 ed il 1937 trentasette incontri raggiungendo per tre volte la finale di interzona. Con l’inseparabile compagno Menzel, affrontò le squadre del Regno Unito nel 1931, dell’Australia nel 1934 ed infine della Germania nel 1937, ma di fronte a campioni del calibro di Bunny Austin, Fred Perry, Jack Crawford, Vivian McGrath, Henner Henkel e Gottfried Von Cramm, dovettero arrendersi.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, Hecht riprese a giocare a tennis negli Stati Uniti e diventò il numero uno delle classifiche nazionali della zona orientale del paese. Nel 1941 raggiunse la finale del torneo di Brooklyn, dove dovette però inchinarsi al leggendario Pancho Segura allora appena ventenne, salvo poi riuscire a vincerlo finalmente nel 1947 a trentotto anni battendo in finale il peruviano Enrique Buse. Finì i suoi anni nella casa comprata nel Queens a New York. Nel 1996 rifiutò di intraprendere il viaggio di ritorno a Bratislava per presenziare alla cerimonia con cui gli veniva dedicato un centro sportivo multifunzionale, perché a suo dire gli onori erano cose non importanti. Si portava dentro quello che era stato e questo gli bastava: si spiega anche così, con questa sua ritrosia a mostrarsi, la relativa fama di un giocatore del quale il noto commentatore di tennis Allison Danzing diceva fosse un concentrato di esperienza ed intelligenza, un tipo senza punti deboli, straordinariamente forte sia sul diritto che sul rovescio.
Il tempo di Ladislav Hecht è un tempo lontano anni luce dal tennis di oggi ma anche dalla società di oggi, un tempo in cui i tennisti scendevano in campo rigorosamente vestiti di bianco e sfoggiando eleganti pantaloni lunghi, di cavalieri nobili che con piccole racchette di legno inventavano colpi vellutati e precisi. Il tempo di un ragazzino con una racchetta nel cortile dietro casa e di una pallina che vola con i suoi sogni nascosti dentro.
Marco Tonelli
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