Sante Gaiardoni
I tre giorni d’oro di un grande pistard
Piangeva, Bepi il meccanico. Piangeva di gioia, s’intende. Incurante dei flash dei fotografi, l’uomo baciava la medaglia d’oro ancora cinta al collo del figlio ciclista, fresco alloro olimpico nella specialità del chilometro da fermo.
È questa una delle istantanee che restano più impresse a chi ha vissuto la XVII Olimpiade, quella romana. Ciò che non sapeva, l’orgoglioso padre, era che il trionfo del suo ragazzo non sarebbe rimasto isolato. Di lì a poco Sante Gaiardoni avrebbe infatti vinto anche la prova della velocità.
Ventunenne, veneto di Villafranca, Sante era da tutti considerato un sicuro medagliato. Solo poche settimane prima, a Lipsia, aveva infatti vinto il titolo mondiale nello sprint su pista battendo il fortissimo belga Leo Sterckx e interrompendo il dominio del connazionale Valentino Gasparella, dietro il quale si era piazzato nelle due edizioni precedenti.
L’inizio delle gare
Il calendario prevedeva le prime gare nel magnifico velodromo olimpico (oggi demolito, dopo anni di colpevole incuria) già a partire dal 26 agosto 1960, il giorno dopo l’emozionante cerimonia d’apertura. Davanti a un migliaio di spettatori, trenta atleti di diciotto paesi furono impegnati per tutto il pomeriggio nelle eliminatorie della velocità. Due gli azzurri in gara, Gasparella e – appunto – Gaiardoni che scese per primo in pista contro Clyde Rimple, delle Indie Occidentali. Un ciclista evidentemente non eccelso, dal momento che durante un surplace perse l’equilibrio e cadde malamente, costringendo i giudici a far ripetere la manche. Gaiardoni passò il turno a occhi chiusi.
Nella seconda batteria il temibile australiano Ron Baensch corse da solo per la mancata presenza degli avversari, mentre Gasparella ebbe facilmente ragione dello spagnolo José Errandonea e dell’irlandese Martin McKay. Agli ottavi passarono anche, tra gli altri, il belga Léo Sterckx, il francese André Gruchet, l’inglese Lloyd Binch e il tedesco Günther Kaslowski.
La giornata volgeva ormai al termine, ma non le gare al velodromo. Subito dopo cena era infatti prevista la finale del chilometro da fermo. Il primo a partire fu l’olandese Pieter van der Touw che concluse in 1’ 09” 20, un risultato che gli valse il primo posto per almeno mezz’ora, quando fu scavalcato dal tedesco Dieter Gieseler che percorse la distanza in 1’08”75. A seguire gli altri atleti, tra cui il sovietico Rostislav Vargashkin, l’australiano Ian Chapman, il brasiliano Anísio Argenton, il belga Jean Goaverts e lo svizzero Josef Helbing. Nessuno di loro riuscì però a scavalcare in classifica il tedesco.
A partire per ultimo fu il nostro Gaiardoni che, come abbiamo visto, nelle eliminatorie della velocità di quel pomeriggio non aveva faticato più di tanto. Il ciclista veneto era dunque riposato, motivato e in gran forma. La prova cominciò però sotto i peggiori auspici. Un battibecco tra il tecnico azzurro Guido Costa e il commissario di gara su quale dovesse essere la giusta sequenza vocale di avvio («pronti-via-sparo» in luogo dell’abituale «attenzione-pronti-sparo») fu interrotto dal giudice che, evidentemente stufo di quell’insulsa diatriba, pronunciò all’improvviso la sua formula. Sante, preso alla sprovvista, partì con un attimo di ritardo. Il suo tentativo di recuperare fu inizialmente vanificato dalla pista, resa scivolosa dall’umidità serale. Ma non si perse d’animo: aspettò che la ruota aderisse bene al fondo in mogano, per poi dare il tutto per tutto nella seconda parte. Fu bravo: con una progressione impressionante, Gaiardoni tagliò il traguardo come un proiettile, finendo sul vertice più alto della curva successiva per l’enorme spinta. Il tempo che comparve sui tabelloni (1’ 7” 20) significava oro e nuovo primato del mondo.
Per Sante non era però ancora il tempo di esultare. Un quarto d’ora dopo la vittoria, gli toccò scendere ancora in pista per gli ottavi di finale della velocità. Caricatissimo, il giovanotto fece valere la sua maggiore classe, superando facilmente il sovietico Imants Bodnieks e il tedesco Kaslowski. Passarono il turno anche il francese Antoine Pellegrina, il tedesco August Rieke, l’inglese Binch e il belga Sterckx. Grazie ai ripescaggi rientrarono in lizza anche Baensch e il nostro Gasparella, sconfitto a tavolino nel turno regolare per una scorrettezza commessa proprio ai danni dell’australiano.
Quella lunga prima giornata era finalmente finita. Il giorno dopo, il 27 agosto, erano in calendario i quarti di finale. Gasparella superò in due prove Pellegrina, mentre Baensch vinse contro Rieke, nonostante una scorrettezza non rilevata dai giudici. La stessa cosa accadde con Sterckx che vinse contro Bynch dopo averlo danneggiato in maniera evidente. Nell’ultimo quarto toccò a Sante Gaiardoni, diventato nel giro di una notte l’idolo dei romani. L’italiano non ebbe difficoltà a superare Argenton in due manche senza storia.
Dopo un giorno di riposo, il 29 agosto andò in scena l’epilogo. In semifinale Sterckx batté Gasparella, mentre Gaiardoni superò in due manche spigolose Baensch, temuto dall’azzurro più per le sue proverbiali scorrettezze che per la sua bravura. Timori giustificati, perché nel secondo turno l’australiano urtò di proposito il nostro pistard mentre era in fase di sorpasso.
Una finale entusiasmante
La finale, in programma quella sera, sarebbe stata dunque Gaiardoni – Sterckx, la stessa di Lipsia. Davanti a un velodromo pieno come un uovo partì la prima prova. Sante, che si era portato in testa, ai trecento metri scattò improvvisamente cogliendo di sorpresa l’avversario che, dopo una timida reazione, si arrese, rialzandosi sul manubrio. La seconda manche fu ancora più esaltante: l’azzurro, che era davanti, ai duecentocinquanta metri finse l’attacco decisivo; Sterckx cadde nella trappola e passò l’italiano all’interno spingendo sui pedali come un forsennato. Ma era partito troppo presto e andò in debito d’ossigeno. Venne rimontato e superato proprio nell’ultima curva da Gaiardoni che tagliò il traguardo dimostrando a un pubblico in delirio tutta la sua esplosiva potenza.
I tre giorni d’oro del pistard veneto erano finiti. Tre giorni intensi che gli valsero due allori olimpici. Tre giorni che spalancarono le porte a una carriera da professionista che lo vide rivale di Antonio Maspes al quale, nel 1963, strappò la corona iridata. Ma furono anche i tre giorni d’oro del ciclismo italiano che vinse pure nella cronometro a squadre (Antonio Bailetti, Ottavio Cogliati, Giacomo Fornoni e Livio Trapè), nel tandem (Sergio Bianchetto e Giuseppe Beghetto) e nell’inseguimento a squadre (Marino Vigna, Luigi Arienti, Franco Testa e Mario Vallotto). Tutti grandi campioni, s’intende, eppure solo Sante Gaiardoni rimase nel cuore degli italiani. Una misteriosa alchimia legò infatti per sempre il corridore di Villafranca al suo pubblico.
Eh sì, Bepi il meccanico poteva andare davvero fiero di suo figlio. Lui non lo sapeva, ma le lacrime di quella sera – lacrime di gioia, s’intende – oltre alla medaglia stavano bagnando anche la nascita di una leggenda.
Marco Della Croce
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Buongiorno, sono nata e risiedo a Verona. Faccio la pedagogista. Mi occupo di educazione. Da sempre il mio cognome è legato a quello di Sante. Non so se siamo parenti: so che in quasi tutte le occasioni, la prima domanda che mi viene fatta è se sono parente del ciclista . Volevo sapere se Sante Gaiardoni ha una mail a cui risponde. Da poco ho pubblicato un libro che vorrei condividere con questo grande campione. E’ possibile avere un contatto? Grazie! Buona giornata. Barbara Gaiardoni
Buongiorno, Barbara! Purtroppo non abbiamo il contatto di Sante, ma ci piacerebbe avere le coordinate del tuo libro. Se ti va, potremmo pubblicarne un estratto.
Un caro saluto,
la Redazione