Valeria Vismara

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Valeria Vismara in azione (© Stefano Schwetz)

 

Il football americano femminile in Italia

«Il football americano non è una disciplina per donne»; «con cozzate sulla linea di scrimmage e placcaggi si perde la verginità»; «la dimensione atletica degli scontri fisici è maschile»; «il football americano in gonnella non si può guardare»; «non sono capaci a giocare le americane, figuriamoci le italiane»… Al di là delle vecchie convenzioni, gli stereotipi sul football americano femminile sono gli stessi da più di mezzo secolo. La stampa è un po’ più clemente nei confronti delle ragazze con gli occhi tratteggiati di nero e inglobate nelle divise spaziali del football, tuttavia continua a preferirle in lingerie, come le modelle della LFL che, oltre a protezione e calzature, indossano solo slip e reggiseno.

Nonostante i preconcetti, il football americano femminile è praticato a livello agonistico negli Stati Uniti e in varie altre nazioni. In alcuni casi, come accade nei campionati universitari statunitensi, le giocatrici sono incluse in squadre maschili. E anche se in Italia le parole “punt”, “end zone”, “shotgun” e “snap” mal si accordano all’altra metà del cielo, la scintilla scoppia nell’estate 1984 a Ferrara, con le Regine, imitate dalle Black Sheep milanesi. La Federazione Italiana non segue il movimento, quindi le squadre cessano l’attività qualche anno dopo senza aver giocato il campionato.

Si chiude per le italiane l’era del football americano fino al 2011, quando la voglia d’indossare casco e spalliera diventa incontenibile.

Il campionato italiano

 Cosa rappresenta per te questo sport?

«È stato innanzitutto un modo per avvicinarmi a mio padre, con cui iniziai a stringere un rapporto, prima inesistente. Ho sempre vissuto questa disciplina come un qualcosa in più di un semplice gioco da praticare o da seguire: ci respiro il clima di unione e famiglia che il football riesce a creare. Sono veicolati valori molto importanti, che ti formano e modellano caratterialmente. Questo sport come e più di tanti altri insegna cosa sia la fratellanza, il sacrificio, l’impegno e il lottare per qualcosa, che sia una yard in più, una meta in più oppure un obiettivo nella propria vita personale».

Cosa ti senti di ribattere a chi dice che il football americano femminile non funziona perché c’è un problema di durezza nello scontro e nella forza; che, per dirla in termini fumettistici, fate solo “sbang” mentre gli uomini fanno “S B A N G !”.

«Sono stereotipi maschilisti. Ormai mi fanno sorridere questi commenti scettici e un po’ bigotti. Dovrebbero vedere una partita delle donne: magari questo sport è duro perché è molto fisico ma non diverso da altre discipline di contatto largamente praticate anche ad alto livello dalle donne di tutto il mondo. Io penso che le donne possano assolutamente praticare questo sport al pari dei propri coetanei uomini. Venite a vedere quanti “S B A N G !” tiriamo in campo… Dopo il successo del primo vero campionato femminile italiano – che si è svolto nel 2013 – tutti gli scettici sono stati messi a tacere ed è con molta gioia che ho accolto i pensieri ricreduti ed entusiasti proprio di quegli stessi scettici. Siamo riuscite ad abbattere molti pregiudizi e a trasformarl in entusiasmo. D’altra parte il football americano femminile è molto diffuso anche in tutta Europa (vedi i mondiali femminili appena disputati a Vantaa questa estate)».

Hai cominciato a giocare nelle Furie a Cernusco sul Naviglio, a fine campionato avete conquistato il diritto al Rose Bowl, il primo in Italia. Organizzare il campionato è stato già una sfida in sé, com’è andata?

«Questa prima stagione è stata un vero successo, un bellissimo primo step che ha posto le giuste prerogative per i prossimi a venire. Ovviamente tutto questo è stato possibile grazie al coordinamento delle cinque squadre partecipanti, ovvero Neptunes di Bologna, Black Marines di Roma, Sirene e Tempeste di Milano, Lobsters di Pescara e Furie di Cernusco sul Naviglio. E allo staff della Federazione Fidaf diretto dall’ex commissioner Simone Paschetto».

Quali sono stati le maggiori difficoltà?

«Redigere un regolamento ad hoc per noi donne e organizzare un campionato con squadre di città lontane».

E il touchdown più bello?

«In senso figurato per me personalmente è stato vedere la mia squadra arrivare in finale, al Rose Bowl Italia tenutosi a Ferrara, come altrettanto bello è stato vedere avverarsi questo mio sogno di sempre: giocare a football americano assieme ad altre ragazze con la stessa passione».

Il primo Rose Bowl femminile italiano

Una delle sfide del primo Rose Bowl femminile italiano (© Stefano Schwetz)

 

Avete perso in finale, che considerazioni puoi fare sul risultato?

«Il primo Rose Bowl è stato ancora prima di iniziare un successo; la mia squadra è uscita sconfitta per un punto ma ne è uscita sicuramente a testa alta. Mio rimpianto è quello di non aver potuto giocare insieme alle mie compagne. Assenza forzata, dovuta alla rottura del legamento crociato anteriore alla fine della seconda partita di campionato. Posso dire che la sconfitta è stata amara ma come si sa aiuta a crescere tanto quanto una vittoria. Le nostre avversarie sono state molto brave e non hanno mollato mai fino all’ultimo, cosa che forse è mancata di più alle Furie in generale. Lacrime a parte, questa sconfitta ha sicuramente aumentato la grinta della mia squadra a migliorare e a imparare dai propri errori».

Il Rose Bowl femminile secondo te apporta visibilità alla disciplina?

«Sì, credo fermamente che il lato femminile del football porti visibilità al movimento intero, dando una ventata di innovazione e novità e coinvolgendo nuovi appassionati».

Il pubblico come ha accolto le partite?

«In questo primo campionato è stato grandioso. Tanti i curiosi (anche scettici, e qui mi ricollego al discorso di cui sopra) e tanti fans di football americano che salutano con entusiasmo la versione al femminile».

Le Furie, la squadra di Valeria

Le Furie in un huddle pre azione (© Stefano Schwetz)

 

Come va la preparazione invernale? Quante siete in squadra?

«La preparazione è iniziata a settembre e procede molto bene, tantissime le nuove reclute quest’anno, che vanno ad aggiungersi alle riconferme delle “anziane”. Contiamo un numero attuale di 25 atlete; abbiamo un team molto rinnovato di tante ragazze che sono approdate da poco a questa disciplina ma che da subito si dimostrano atlete dalle ottime potenzialità. Purtroppo mancherà in campo una delle nostre stelle, Giorgia Pezza, ragazza stupenda e atleta impeccabile, protagonista del Rose Bowl, infortunatasi a fine gara (rottura crociato anteriore anche per lei). È proprio lei che ha vinto il premio Erika Lazzari, trofeo per la miglior runner del campionato, in memoria della giocatrice bolognese scomparsa alla vigilia del primo campionato che aspettava con tanta gioia».

In che ruolo giochi?

«Per questo primo anno ho giocato prevalentemente in difesa, con il numero 29. Non ho mai avuto particolari preferenze sul numero con cui giocare, nemmeno quando praticavo la pallavolo, ma in questo caso l’ho scelto apposta poiché ha un significato famigliare, essendo lo stesso numero con il quale giocavano mio padre e mio fratello».

Un numero da cornerback e runningback, che quindi si può usare in attacco e difesa. C’è un motto di squadra?

«Uno dei nostri motti, scritto anche su delle nostre t-shirts è “NOI SIAMO FURIOSE…. E VOI ?”

La frase gioca sul nostro nome ma vuole anche esprimere il nostro carattere battagliero e combattivo. Allo stesso modo il nostro rituale è un canto di guerra, trasmesso da amici, un crescendo sonoro di voci che all’unisono ripetono le parole della canzone, chiuse in un cerchio simbolico. Cerchiamo con questo di infonderci energia positiva e la carica necessaria prima di scendere in campo».

Che caratteristiche – fisiche ma anche caratteriali – deve avere una giocatrice di football americano?

«Le caratteristiche fisiche variano da ruolo a ruolo ma direi che in via generale essere atletiche aiuta sempre. Molto importante è la personalità perché in questo sport fondamentali sono in modo assoluto la grinta, la determinazione e lo spirito di sacrificio sia fisico che mentale».

Il prossimo obiettivo?

«Personalmente il mio obiettivo è quello di poter tornare in campo in condizioni migliori di prima, dato che, per l’appunto, esco da una recente operazione al ginocchio. Spero di poterlo fare al meglio, e di poter aiutare le mie compagne a conquistare il titolo italiano sfuggitoci. Bisogna sempre puntare in alto per progredire e migliorare come individui e come team».

E anche per avanzare negli stereotipi.

Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata

 

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Comments To This Entry
    • BELLISSIME! grazie per la condivisione!

      admin on December 4, 2013

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