Daniele Cassioli
La sfida oltre la superficie
Parla di possibilità, Daniele Cassioli, è questa prospettiva sempre tesa al futuro ad animarlo. Ciò che ancora deve accadere accende la sua grinta, mentre ne discute trasforma il domani in qualcosa già sul punto di succedere e nella corsa sfrenata incontro ad un destino così prossimo quasi non si sofferma sulle sue vittorie. Otto ori europei e sei titoli mondiali conquistati nella disciplina dello sci nautico, due record del mondo siglati, ma, come specifica, «ancora da limare», e a tanta grandezza appena un accenno. «Certo, dopo ciascuna medaglia mi sono sentito molto Vip, con il telefono che squillava tutto il giorno per le interviste». Quando racconta sul suo viso irrompe un sorriso aperto, che brilla di onestà. «Ovviamente se sei fresco di vittoria tutti vogliono ascoltare la tua storia, poi, col tempo la quotidianità prende il sopravvento. Torno al mio lavoro, agli allenamenti di sempre. Il messaggio che voglio trasmettere lo porto con me».
Dei suoi titoli è orgoglioso, senza dubbio, ma evita di esibirli come un vanto, piuttosto li trasforma in un’occasione di comunicazione. Così giovane, classe 1986, non può dire di aver già raggiunto uno scopo; inoltre è competitivo quindi sposta l’ostacolo sempre più avanti con la ferma intenzione di arrivarci. Nominato atleta disabile dell’anno per tre anni consecutivi, oltre la patina dorata dei trofei e l’incanto dei podi svela ben altro, una realtà in evoluzione in cui lui sa di poter apportare un cambiamento. «L’impresa sportiva serve per fare notizia» ammette con decisione «ed è utile perché la gente possa venire a conoscenza di possibilità che magari non aveva nemmeno considerato. Tutti i giorni mi capita di assistere ad episodi legati il più delle volte a mancanza di informazione».
A questo punto il suo tono si alza, a sottolineare il concetto o, forse, l’indignazione. «Purtroppo di queste storie se ne sentono troppe. Per esempio, il ragazzino cieco che non può andare in gita con i suoi compagni di classe perché nessuno se ne prende la responsabilità. Oppure bambini non vedenti di cinque, sei anni che a scuola non sono ancora stati avviati all’uso del computer. Viviamo in una società in cui un oculista sa correggere perfettamente un astigmatismo, ma non è in grado di indirizzare un cieco. Spesso si attesta il problema come un dato di fatto, senza cercare di rendere la vita più agevole a chi ne soffre. È importante, invece, che le persone capiscano di avere molte possibilità da sperimentare. Lo sport è una di queste.»
Questa realtà Daniele l’ha toccata con mano: non vedente dalla nascita, non nasconde di aver dovuto affrontare momenti duri, specialmente nell’infanzia. «Sono stato spinto dalla mia famiglia a vivere tutte le esperienze possibili, inserendomi in un contesto di normalità. Ho frequentato le stesse scuole dei miei coetanei e fin da bambino ho praticato svariati sport. A quattro anni nuoto, poi karaté in competizione con mio fratello che mi trasmise la passione. Ogni occasione era buona per scatenare risse per casa. Il mio grande rammarico, allora, era di non poter giocare a calcio, attività praticata da tutti i miei amici. Al liceo riuscii ad organizzare qualche partita, ma con una tattica di gioco differente. Superata l’infanzia sono diventato più sicuro di me, ho acquisito consapevolezza nelle mie capacità. Spesso gli altri bambini non capivano la difficoltà, sono tutti così smaniosi a quell’età, io ero più lento».
La prima svolta sportiva Daniele la compie sulla neve con il Gruppo Verbanese sciatori ciechi, nato nel 1982. Si trattava di una realtà ancora nuova, avviata da poco tempo, certamente una buona occasione per provare il brivido del ghiaccio. «Lo sciatore può muoversi da solo sostenendosi ad una sbarra sorretta ai lati da due guide» spiega a Storie di Sport. «Compiuto qualche progresso riuscirà a procedere con l’aiuto di una sola guida posizionata alle sue spalle.»
L’esperienza si rivela elettrizzante, nulla ostacolerà quelle emozionanti discese per i pendii innevati, Daniele sembra aver trovato nella velocità una nuova dimensione. La sfida con i monti continuerà ad affascinarlo anche negli anni a venire, tanto da spingerlo a partecipare a molteplici eventi, come l’Interski in Norvegia nel 1999, fino a renderlo protagonista della quinta edizione del Rosa Challenge nel 2011, una discesa libera di oltre 10 chilometri sulle piste di Alagna, in Valsesia.
Il suo elemento, tuttavia, è un altro, e lo scoprirà presto grazie al consiglio di Susanna Prada, compagna di discese sulla neve, che gli propone di tentare l’impresa dello sci nautico. Ecco, dunque, la seconda svolta.
«Era l’estate del ’95» ricorda Daniele. «Quella prima esperienza mi apparve come una gita fuori porta: andammo ad Ossuccio, sul lago di Como. Fu Mino Cazzaniga, in seguito mio allenatore, a passare all’atto pratico di buttarmi in acqua. Si trattava di un metodo ancora sperimentale di affrontare lo sport, non esistevano tecniche precise. Era una sensazione molto diversa, rispetto alla neve, finalmente mi sentivo libero da imbracature e vincoli, potevo lasciarmi trascinare dal motoscafo che fendeva l’acqua».
A quella prima gita sull’acqua ne seguono altre e ben presto si trasformano in qualcosa di più; a nove anni Daniele inizia ad allenarsi nel Centro Federale di Recetto, sperimentando la specialità dello slalom grazie ad un rilevatore sonoro che deduce quando lo sci giunge all’altezza della boa. Con la preparazione di Enzo Molinari partecipa ai campionati europei EAME in Giordania nel 1998. Le gare di Coppa Europa entrano nella routine, con l’appoggio dell’allenatore federale Daniele D’Alberto, che consolida lo spirito di squadra nel gruppo unendo la complicità ad un’impeccabile preparazione tecnica.
Daniele diventa uno dei pionieri dello sci nautico per disabili, un settore di cui l’Italia dovrebbe andare fiera vantando, per l’appunto, la squadra più forte d’Europa e seconda nel mondo. «Un merito al nostro Paese dobbiamo riconoscerlo» commenta ironico. «Inoltre Francia e Italia sono le nazioni che promuovono l’Eurotour, una competizione a tappe in giro per l’Europa che vede disabili e normodotati gareggiare insieme. Abbiamo fatto un grosso passo avanti in questo senso, non considerando l’handicap come un fatto di nicchia, ma giungendo ad unificare le categorie». Lui stesso ha partecipato ad una gara “per vedenti” grazie all’appoggio dell’allenatore, Tino Mazzola, che dando il segnale di ingresso permetteva il suo passaggio fra le boe allo stesso modo degli altri concorrenti. I risultati sono stati lontani da quelli dei vincitori, ma la dimostrazione significativa. A rimarcare che, forse, alcuni limiti esistono semplicemente per essere superati. Certo è che Daniele sarebbe un campione in ogni caso, quell’aggettivo “disabile” aggiunto al suo titolo è solo una specificazione di categoria dovuta, ma chissà che un giorno anche questa sottile differenza non venga rimossa.
Nei Mondiali di casa, disputati all’Idroscalo di Milano, tutte le vittorie sono state sue. Cinque ori ed un argento: non ha lasciato agli avversari neppure l’avanzo di una medaglia. Con modestia, però, Daniele si dissocia subito dall’immagine del supereroe. «Da bambino vivevo le gare con un’angoscia terribile. Soprattutto quando mi sono reso conto di aver qualcosa da perdere. Durano soltanto cinquanta secondi ed in quel tempo ti giochi tutto. In quei momenti avrei preferito fare dieci compiti in classe piuttosto che rischiare la sconfitta. In un certo senso, sono contento di essere cresciuto».
Doveva amare davvero tanto la scuola per rimpiangerla in simili occasioni. L’immagine del bambino studioso però gli è rimasta incollata addosso, non è sufficiente la figura trionfante dello sportivo ad eclissarla. Perfino sul piano scolastico, infatti, i risultati non fanno una piega: ha ottenuto una laurea in fisioterapia che gli permette di esercitare la professione nel suo studio di Castellanza, nei pressi di Varese.
«Io e la mia socia, Elena Fedeli, svolgiamo un lavoro di équipe. La pratica sportiva mi ha aiutato molto nella conoscenza degli schemi motori. Seguiamo delle squadre, come la Legnano Basket. Ci occupiamo anche della gestione di infortuni, per questo per me è importante seguire personalmente le partite, mantenere un rapporto con i giocatori. A volte la gente non riesce a capacitarsi di vedermi seduto sugli spalti durante una partita, ma per il mio lavoro serve moltissimo».
Fra gli impegni non manca lo spazio dedicato agli allenamenti, fondamentali soprattutto in previsione di una gara, quattro volte a settimana sfruttando mattine e weekend. C’è stato un tempo in cui ha dovuto affrontare mille peripezie per allenarsi, quando la sveglia suonava alle cinque del mattino per poter usufruire del lago di Recetto prima che servisse ad altre squadre. Fatiche non vissute come tali, perché lo sport in lui aveva sempre parlato con la voce della passione, mai con quella dell’obbligo. Una passione da primato, mondiale. Daniele ha siglato infatti il record del mondo di salto, con 21.10 metri, e di figure, con 1530 punti, ciononostante la sua disciplina preferita rimane senza dubbio lo slalom: «Mi sento sicuro nello slalom, perché sono più capace. È come se avessi soltanto dodici anni sul piano delle figure. Di norma si inizia subito a praticarle, ma nel mio caso non è stato così. Si adottano pratiche diverse rispetto a quelle usate per i normodotati. È stato il mio allenatore Marco Degasperi a spingermi a provare, ora riesco ad ottenere risultati più convincenti».
Basta questa parola, “convincenti”, a dimostrare come Daniele non dia nulla per già conquistato, come se il successo fosse ancora da confermare. Non solo in termini di medaglie: sono molte altre le barriere che cerca di abbattere: «Spesso la cecità è legata a stereotipi. Pare che un non vedente sia destinato a diventare pianista o pittore, come ci ha insegnato la visione romantica della letteratura. Dovremmo smentire questa idea. Non parlo di superpoteri né di sottopoteri, ma di normalità. Ammesso che di normalità si possa parlare».
Se la normalità esiste, per l’appunto, in un mondo che cerca di costringere qualsiasi caratteristica entro canoni stabiliti, spesso dimenticandosi dell’eccezione che pure, essendo estranea all’ordine, può rappresentare un valore aggiunto. È la sorte che capita alle persone speciali.
Alice Figini
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