Eusébio
La Pantera Nera
Domenica 5 gennaio 2013 Eusébio da Silva Ferreira, il grande giocatore di football portoghese originario del Mozambico, è morto a 71 anni per una crisi cardiocircolatoria all’Hospital da Luz di Lisbona. Considerato uno dei più bravi calciatori del XX secolo (il prestigioso Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio – IFFHS – lo classifica al nono posto), a partire dagli anni Sessanta Eusébio diventa bandiera indiscussa del Benfica, con cui vince tutto, in patria e all’estero. Nel 1975, grazie alla Rivoluzione dei Garofani, il calciatore lascia il club lusitano per emigrare oltreoceano, dove gioca ancora per qualche anno nei campionati statunitense, canadese e messicano. Tra nazionale e squadre di club Eusébio realizza ben 626 gol in 635 presenze complessive.
Di seguito un breve ricordo del campione portoghese da parte della redazione di Storie di Sport
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Nell’autunno del 1966 al cinema uscì Operazione San Gennaro, film di Dino Risi ambientato e girato a Napoli, in cui una scalcinata banda capeggiata da Nino Manfredi progetta di rubare il tesoro del santo. In una delle scene clou Manfredi e i suoi complici entrano nel Duomo per chiedere direttamente a San Gennaro (in realtà alla sua statua) il permesso di portargli via il tesoro. Il protagonista, in piedi e vestito impeccabilmente di bianco, incomincia a parlare tutto compunto:
«[In giro] ci stanno santi più conosciuti di te, forse meno meritevoli. Ma tengono le città col loro nome: San Marino, San Francesco, San Tropez [sic]. Gennarì, col dovuto rispetto, li dobbiamo offuscare a tutti. Ma per arrivare a questo dobbiamo fare qualche cosa di grande. Dammi l’autorizzazione e io ti faccio diventare il santo più importante del mondo. Primo in classifica, San Gennà. Che dici?».
Segue lunga pausa silenziosa.
Un complice dietro di lui chiede: «Che dice?».
Altra pausa silenziosa. La telecamera indugia sulla statua. Quindi Manfredi riprende la sua perorazione:
«Lo so che sei troppo modesto, e allora fallo per Napoli. Noi siamo poveracci e triboliamo. Certamente hai tribolato pure tu, sennò santo non ti facevano. Adesso c’hai un tesoro. Ma che te ne fai di un tesoro? Qui tu stai bene, non ti manca niente. E invece con trenta miliardi possiamo fare cose da far schiattare d’invidia a tutti: un ponte sospeso fra Napoli e Capri. Grandi alberghi per i senza tetto».
Un altro complice timidamente suggerisce sottovoce: «Eusébio».
Manfredi, perplesso, si gira di scatto verso il suo uomo: «Che?».
Il complice ribadisce: «Eusébio!».
Manfredi si volta di nuovo verso il santo: «Ah, e ti compro pure Eusébio, così vinciamo la Coppa dei Campioni e tu rimani famoso in eterno!».
Ecco, basterebbe forse questo sketch per far capire cosa rappresenta il nome di Eusébio – in Italia e nel mondo – a metà degli anni Sessanta.
Reduce dal trionfale mondiale inglese, giocato nel luglio precedente, in cui trascina a suon di gol il suo Portogallo a uno storico terzo posto, il calciatore nato in Mozambico vive forse la sua stagione più esaltante, iniziata l’anno prima con la conquista del Pallone d’oro. Perfino O Rey, Sua Maestà indiscussa Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé, in quei mesi viene messo in ombra. E già, perché in pochi anni il ragazzo proveniente dalla colonia africana diventa l’idolo delle folle, e non solo di casa sua. I bambini di tutto il mondo, nelle loro interminabili partite in strada, nei cortili o in campi pieni di sassi e di buche, fanno la conta per stropicciarsi il viso col carboncino: chi vincerà farà Eusébio, mentre i panni dell’asso brasiliano li vestirà lo sconfitto!
L’exploit dell’attaccante lusitano non ha però nulla di casuale: è dal 1960, da quando cioè è stato prelevato dal club africano dove ha mosso i suoi primi passi calcistici, che il Benfica è una delle più forti squadre del mondo, temuta e rispettata dai principali club europei e sudamericani dell’epoca, come Inter, Milan, Real Madrid, Independiente, Celtic ed Estudiantes. In quegli anni vince infatti due coppe dei Campioni, per non parlare dell’infinita teoria di successi nel campionato portoghese e nella Taça, la coppa nazionale. Gli va male solo nella coppa Intercontinentale, persa per un niente con gli uruguaiani del Peñarol e un po’ più nettamente con il Santos di Pelé.
Il fatto è che il ragazzo non si stanca mai di segnare. Non c’è terzino, stopper o mediano, per quanto arcigno e roccioso, che riesca a controllarlo per tutti i novanta minuti. In quasi ogni partita che disputa Eusébio fa gol: di destro, di sinistro, di testa, di rapina, di potenza, su rigore o su punizione. Alla fine realizzerà qualcosa come 317 reti in 301 partite. E solo con i rossi di Lisbona!
Qualcuno che lo vede, stropicciandosi gli occhi, gli affibbia l’appellativo di Pantera Nera. A pensarci bene, mai soprannome fu più azzeccato. Perché della pantera il mozambicano-portoghese ha la stessa bruciante falcata, i medesimi imprevedibili riflessi, la solita incredibile resistenza. Se poi li unisci a una tecnica sopraffina, un fisico formidabile, un dribbling ubriacante, una straordinaria visione di gioco, un’eleganza nei movimenti che, a volte, sembra quasi che danzi tra gli avversari, capisci perché i più importanti club del mondo sono disposti a far follie pur di farlo giocare con i propri colori (Napoli a parte, che per ingaggiarlo può – per davvero – sperare solo in un miracolo del suo amato santo).
Inutilmente, però, perché vuoi per attaccamento al Benfica, vuoi per ostracismi di vario tipo, Eusébio rimane nella squadra di Lisbona fino al 1975 quando, abbattuto finalmente il regime autoritario di António Salazar, ottiene il via libera per cambiare casacca. L’africano passa quasi tutti gli ultimi anni della sua carriera in alcuni campionati d’oltreoceano dove, nonostante l’età non più verdissima, non perde il vizio di violare le porte avversarie.
Chi ha conosciuto Eusébio negli anni del suo splendore non se l’è più dimenticato. Il suo viso, dagli zigomi larghi e dal sorriso accattivante, il carattere disponibile, la pelle nera esibita con orgoglio, la gioia spontanea con cui scendeva in campo, il rispetto per compagni e avversari… chiunque avrebbe potuto tranquillamente scambiarlo per un calciatore brasiliano cresciuto a pane e pallone nelle favelas o nelle spiagge assolate di Copacabana.
Eusébio era questo. Un formidabile attaccante, ma anche un un uomo gentile e pacato. Chi l’ha visto giocare, dagli spalti di uno stadio o attraverso le prime, nebulose immagini televisive trasmesse in mondovisione, non se l’è più scordato. Semplicemente, non poteva: una Pantera, in effetti, non si dimentica.
Soprattutto quando è Nera.
Redazione di Storie di Sport
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